Francesco Bortolozzo, I vermi grigi
Alter Ego Edizioni, Collana Specchi, 2022

Un ringraziamento, amaro e provocatorio, lo rivolgo campanilisticamente al nostro Paese, che offre la continua possibilità di raccontare intrecci simili a questo, ma che in un modo o nell’altro costringe qualcuno a tenerli a galla. (I vermi grigi, p. 318).
Ebbene sì, è proprio dai ringraziamenti che ho deciso di partire per parlare del romanzo d’esordio di Francesco Bortolozzo “I vermi grigi”, edito quest’anno dalla casa editrice Alter Ego. In effetti, il primo aspetto che mi ha colpito, è senza dubbio la dedizione con cui l’autore ricostruisce alcuni importanti frammenti della storia del nostro Novecento, che tanto si presta tra le pagine di un libro, rendendola protagonista indiscussa del suo racconto. Di solito, in narrativa, alla vita e alla storia di determinati personaggi fa da sfondo un certo periodo storico. Nel caso de “I vermi grigi”, invece, succede esattamente l’opposto: se la storia dell’Italia degli ultimi cento anni è in primo piano, è solo sullo sfondo che veniamo a conoscenza della vicenda personale del senatore Alberti con i suoi scheletri nell’armadio e indecifrabili personaggi che gli ruotano attorno.
Bortolozzo riscrive e narra dell’ascesa di Mussolini prima del Fascismo, del rapimento di Matteotti del 1924 avvenuto davanti agli occhi increduli e spaventati di due ragazzini, dell’attentato all’ingegner Mattei che morirà a Bascapè, in Sicilia, in seguito all’esplosione dell’aereo privato su cui viaggiava, dopo aver lungamente lottato per ottenere permessi che avrebbero reso finalmente l’Italia autonoma a livello energetico e infine, in uno dei capitoli più commoventi, di ‘Paulin’ Pasolini, dei sentimenti che l’animavano ma soprattutto della sua opera oscura e rimasta purtroppo incompiuta “Petrolio”. Per fare questo, Bortolozzo si avvale di una scrittura un po’ barocca, di uno stile tutt’altro che sobrio ma che, tuttavia, ben si presta ad una narrativa storica. Non si pensi, però, di trovarsi di fronte a un vecchio libro noioso di storia: la narrazione di Bortolozzo è vivace e non priva delle tanto agognate tecniche odierne di scrittura creativa – che un po’ di preparazione non guasta mai – che prevedono la messa in azione dei personaggi e lo spiegamento di dialoghi efficaci che portino avanti da soli la narrazione piuttosto che lunghe descrizioni barbose sugli avvenimenti storici.
Fin dalle prime pagine il lettore è coinvolto. Siamo ad una festa nella villa del senatore Federico Alberti e i domestici, nelle cucine, stanno ultimando i preparativi per il ricevimento quando all’improvviso un branco di dodici cani trascina all’interno il corpo di una donna mentre ai piani superiori qualcuno sta frugando nelle carte del senatore alla ricerca di alcuni documenti. Si alternano a questo punto non solo le vicende personali del senatore e le sorti generali del Paese ma anche grossi salti temporali che, se da un lato potrebbero spiazzare il lettore, è vero anche che lo incuriosiranno e porteranno alla scoperta dei vari misteri da cui è segnata la storia italiana del Novecento.
In mezzo a tutto questo si annidano i vermi grigi, uomini che dispongono di molto denaro e influenza e hanno quindi la capacità di svoltare la Storia di un Paese, di prendere le redini del destino di uno Stato, di dirottare le masse, restando però nell’anonimato più totale e agendo nell’ombra.
Noi non siamo mai esistiti (Ibid., p. 315)
Nascemmo prima di cento anni fa, e nascemmo ieri, anzi, verosimilmente nessuno ci ha mai partoriti; siamo stati sempre presenti nel mondo. Esistiti da quando fu inventata l’agricoltura e di conseguenza la scrittura. […] Discendiamo dai teorici e il nostro lavoro, lo scopo per cui siamo stati creati, è quello di mantenere le divisioni. (Ibid., p. 298)
Come sempre, prima di iniziare a leggere un libro, sbircio la biografia dell’autore. Ho scoperto che Bortolozzo di mestiere fa l’attore di teatro e il regista. Se non l’avessi letta però, avrei comunque immaginato di trovarmi di fronte a un conoscitore di teatro e di arte drammatica. L’avrei capito dall’entrata in scena dei suoi innumerevoli personaggi: il loro susseguirsi uno dietro l’altro senza sovrapporsi, il loro modo di presentarsi al pubblico-lettore, le entrate e le uscite di scena, le loro brevi apparizioni funzionali all’avanzamento della storia, ricordano proprio il modus operandi dei personaggi teatrali. La servitù del senatore Alberti, ad esempio, sembra ricoprire il ruolo del coro come nelle opere greche: la capocuoca Lucia, il cuoco Leone, il maggiordomo Dolcino, i camerieri Dedè e Callisto e infine Verde, una giovane domestica, rappresentano in effetti un personaggio collettivo, una prefigurazione di pubblico e partecipano alla vicenda interagendo con gli attori (in questo caso con i protagonisti). Come avviene per il coro a teatro, anche qui la servitù assiste all’azione senza poterne veramente cambiare le sorti, sentendosi però in dovere di commentare e esternare le proprie emozioni.
La servitù viveva in un clima di serena autogestione per ventotto giorni su trenta. Le ore si consumavano nella consuetudinaria manutenzione della residenza e supervisione del lussureggiante parco. Facile, quindi, intuire quanto poco comune fosse per i dipendenti una situazione in cui, privati della luce, nessuno riusciva a stare dietro neppure a se stesso e in cui nulla andava come si era previsto con quieto ordine da una settimana. (Ibid., p. 30)
Il fil rouge del libro è da ritrovare in queste figure oscure e misteriose che danno il titolo al romanzo e di cui a volte sentiamo la voce – anonima – durante la narrazione. I vermi grigi non esistono eppure sono tra noi, tramano per far girare la Storia e la nostra storia, a loro piacimento. E per farlo non conoscono limiti e sono disposti a tutto. Bortolozzo, con il suo romanzo d’esordio, sembra quasi strizzare l’occhio a chi crede che le nostre vite siano segretamente governate e gestite da un gruppo ristretto e segreto di uomini potenti, che stringono saldamente tra le dita i fili attaccati alle nostre schiene, così come, in effetti, accade per il senatore Alberti, ignaro tassello di un gioco più grande di lui.
Veronica Nucci