“Rosa Spinacorta”: Una Regina di legno e un corpo di carne Mario Ferraguti

Mario Ferraguti, Rosa Spinacorta
Exorma ed., 2022

Iniziare la lettura di Rosa Spinacorta è come muovere i primi passi nel mondo, niente nomi e niente spiegazioni. E tuttavia, già dalla prima visione della vecchia donnadischiena in procinto di morire, il lettore può farsi un’idea dell’atmosfera del malinconico orfanatrofio gestito dalle suore dove vive la protagonista, della paura silenziosa e della superstizione che avvolgono ogni cosa, degli echi lontanissimi e inquietanti della Seconda Guerra Mondiale.

Chi legge familiarizza anche con il procedere ingenuo dei pensieri della ragazzina. Tecla racconta la sua storia in prima persona e lei a noi sembra abitare in un mondo diverso dal nostro e magico, dove l’irrazionale pervade la vita quotidiana, dove le pratiche stregonesche hanno effetto, la paura è un grumo scuro che si cava dal corpo e i morti possono tornare a disturbare i vivi. Ma il punto di vista del lettore non viene mai a coincidere con quello della narratrice, e anzi chi legge comprende ciò che succede con più chiarezza di quanto non faccia la ragazzina che ancora fatica ad abbandonare l’infanzia.

In poche immagini viene inquadrata l’inospitalità dell’ambiente: si avverte il freddo dei pavimenti di coccio, l’odore di polvere e di chiuso delle vecchie case o dei luoghi sacri, ci si ritrova al buio delle notti umide nelle foreste di pioppi. Eppure l’uso di questi elementi non ha un fine estetico, la descrizione non è un esercizio di stile, ma fa da contrappunto ai temi centrali del romanzo. Rosa Spinacorta  è una storia che parla prima di tutto di corpi, e lo fa con un intensità che sarebbe impossibile se l’autore non coinvolgesse da subito tutti i sensi dei lettori e delle lettrici.

Mario Ferraguti costruisce un contrasto insanabile tra i due personaggi principali del libro: la preadolescente Tecla e la Regina, la statua di legno della Madonna affidata alle cure della bambina che deve vestirla e ornarla per presentarla ai fedeli durante le cerimonie. Tecla viene incoraggiata dalla donnadischiena, che le rivela la stanza segreta dove la statua è custodita e che la istruisce nel suo compito, ad annullarsi per “diventare niente”, a rinunciare ai contatti sociali, a scordare la propria fisicità per mostrarsi umile di fronte alla Regina e a educare le proprie mani alla vestizione. Ma l’ingenua ragazzina, che sembra incapace di una ribellione cosciente e ragionata, si oppone tuttavia d’istinto a questa condizione, prima per paura e poi per l’irrefrenabile voglia di vivere e scoprire il mondo fuori dal convento.

Tecla sembra infatti del tutto in balìa del proprio corpo, di quel corpo che però – come presto scopre – coincide con lei stessa e che è nel pieno della sua fioritura e della sua forza mentre lei si affaccia all’adolescenza. Proprio a questa creatura quasi animalesca, questa abitante dei boschi abituata a vedere il ciclo della natura compiersi e che ricerca il segreto del momento del passaggio tra la vita e la morte, viene affiancata come migliore amica, confidente e protettrice, una statua di legno che sotto le vesti non possiede nemmeno un vero busto o delle vere gambe.

Eppure la Regina è la coprotagonista del libro. Le suore sembrano volerle assomigliare, le vediamo trasformarsi per assomigliare anche loro in tronchi di legno, esseri estranei dal mondo, privi di quella scintilla negli occhi che illumina solo i vivi. Vorrebbero che anche Tecla aspirasse a questo, ma lei è l’unica a capire che, come nella storia di Pinocchio, dovrebbero essere i ciocchi di legno a voler diventare bambini e non il contrario.

 Se devo pensare a una caratteristica che rende appassionante ai miei occhi un libro senza quasi mai mancare il bersaglio è, più ancora che l’analisi psicologica dei personaggi o la trama ben costruita, la capacità dell’autore o dell’autrice di trascinarmi nell’ambiente specifico di una realtà altra che abbia i propri colori e i propri profumi. Questo è proprio il caso di Rosa Spinacorta, un romanzo che punta tutto sulla costruzione paziente di una riconoscibile e particolarissima atmosfera. Lo scrittore non aspetta a mostrarci il proprio valore e mettere in chiaro quale sia la propria voce, a definire il ritmo della prosa che, grazie all’uso di un vocabolario semplice ed evocativo e alle ripetizioni che stabiliscono collegamenti anche tra concetti e punti della narrazione lontanissimi, viene ad assomigliare ad una poesia, una poesia dove ogni periodo si apre a cercare i successivi.

Per fare un esempio, il parallelismo tra la ragazza e la Madonna si rafforza, insieme al loro intimo e ambivalente legame, quando la prima rimane incinta a seguito di una violenza e perciò diviene anche lei madre. A quel punto Tecla si scopre più cosciente, in grado di distinguere tra la realtà e la finzione, di capire quali sono le differenze tra lei e la Regina e di decidere finalmente ciò che vuole.

Nelle ultime pagine il romanzo chiarisce il collegamento rimasto sotterraneo per tutto il romanzo tra vita e follia, perché proprio adesso viene introdotto un personaggio di eccezione, l’artista Toni Ligabue, capace, con la sua arte e i suoi occhi spiritati, di riconciliare la ragazza con la Regina e di far divenire finalmente quest’ultima una persona vera.


Cecilia Cerasaro

Cecilia Cerasaro

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