Né uomo, né animale: La pelle dell’orso di Joy Sorman

La pelle dell’orso, J. Sorman
Alter Ego, 2022

Non è un uomo, né un animale, il protagonista de La pelle dell’orso, racconto decisamente sui generis scritto dalla francese Joy Sorman, premio Marguerite Phul Damage nel 2015.

Giunto in Italia nel 2022 grazie ad Alter Ego Edizioni, il romanzo mette al suo centro l’esistenza dolorosa di un essere senza nome, un ibrido tra bestia e umano.

Come il lungo prologo dall’aura mitologica ci suggerisce, in tempi immemori, l’uomo e l’orso convivevano in pace. Sorman sembrerebbe attingere a piene mani dalle leggende e culti del passato: nei tempi più antichi infatti la figura dell’orso godeva di uno status divino, era uno dei totem sciamanici più ricorrenti nonché simbolo di forza, soprattutto virile, per diverse civiltà dell’Europa centro-settentrionale[1]. Basti pensare alla figura del guerriero noto con il nome di berserk, centrale in alcune saghe nordiche e germaniche.  

Ma torniamo alla convivenza tra umani e orsi. L’idillio, o quello che sembrava tale, a un certo punto si spezza. La causa di questa rottura non può essere che uno scontro tra due tipi di violenza, quella vitalista, fisiologica, dell’orso e quella ben più calcolata, perciò ancor più crudele, dell’umano. Ed è proprio da una violenza che deriva la nascita, anch’essa narrata con toni quasi mitologici, del protagonista-narratore: figlio dell’unione tra una donna e un orso, trascorrerà tutta la sua vita escluso dalla comunità degli uomini.

Da questo momento in poi si dipana un monologo intenso, che assume le sembianze di una fiaba per certi versi “collodiana”, ma senza redenzione. Una fiaba nera utile alla narrazione di una vita che è un interminabile viaggio, fisico e intimo. Un’esistenza in continuo movimento e di continui, forzati, modellamenti, adattamenti identitari: il protagonista è prima animale da combattimento, poi da circo; ancora, diventa un animale da esposizione allo zoo, costantemente alla mercè degli sguardi più morbosi, e, infine, come cavia, oggetto di un’osservazione a scopi medici: carne da laboratorio, sacrificabile in nome della scienza. Il narratore-protagonista è condannato a un eterno peregrinare in catene, a un percorso di formazione che non può scegliere, accompagnato da un crescendo di brutalità e annichilimento, di negazione di ogni esigenza vitale di base. La forza e la ragione in lui si fondono, ma non possono esprimersi se non quando manipolate e guidate dall’umano che ne è sempre padrone.

Sottese a questa storia troviamo due chiare direzioni. La prima è quella verso la ricerca del sé, l’altra è quella relativa alla critica sociale.

La pelle dell’orso è innanzitutto un romanzo di formazione, che mette al centro un essere vivente alla ricerca di una propria identità in un mondo ostile, crudele, bestiale. La forma ibrida dell’uomo-orso sta proprio a indicare una non appartenenza, uno stato dell’essere che può solo tendere a una forma definita: più si va avanti con le pagine, più cogliamo una disperata ricerca, verso una configurazione della propria identità che ben si allontana dalle forme più canoniche. In un primo momento prevale la divisione: il protagonista vive separato dagli uomini, è un semplice animale da combattimento e da circo. In un secondo momento, invece, il protagonista troverà asilo nella comunità dei freaks, uomini – non uomini da sempre ai margini della società.

E in questa scoperta del sé, di centrale e fondamentale importanza sono le figure femminili che spiccano nel romanzo. Spesso sfociando in un approccio di tipo femminista di stampo essenzialista, l’autrice pone al centro di questa scoperta le donne. Profonde conoscitrici dell’animo umano e di quello animale, custodi della vera essenza di entrambi i mondi, le donne sono in grado di accogliere con entusiasmo e armonia il lato più bestiale, e sensuale, della vita. Sono le uniche in grado di intercettare il tormento esistenziale del protagonista, il suo smarrimento, coloro che lo fanno sentire amato, accolto.

È grazie alle figure femminili del romanzo che Sorman svela quanto il confine tra umanità e animalità sia, in realtà, sfumato, in modo da trasportarci in un livello di lettura più ampio. Il secondo filo è infatti, come è anticipato sopra, quello della critica sociale: lungo le pagine de La pelle dell’orso scorgiamo uno spiccato approccio anti-specista. Non è tanto la bestialità animale a destare preoccupazione. È la bestialità umana a fare paura, è la spietatezza umana ad aver compromesso il legame ancestrale con la comunità animale e quindi con la natura stessa. Sono a questo proposito illuminanti i capitoli iniziali del romanzo, in cui vediamo l’uomo che commercia, fa violenza e attribuisce valore di capitale agli animali. È una metafora pessimista, quasi marxista, quella anti-specista di Sorman: tra mondo umano e mondo animale le dinamiche che prevalgono sono quelle di sopraffazione e sfruttamento. La via di uscita da questo stato di cose è banale e passa attraverso la riscoperta, o meglio, l’accettazione, da parte degli uomini, della loro parte più spontanea, istintuale, bestiale.


[1] Alessandra Orlandini Carcreff, Sciamanesimi, Storia, miti e simboli dal Grande Nord al Mediterraneo, Lindau, 2019


Claudia Palmas

Redazione

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