Ragazza, donna, altro, Bernardine Evaristo
Edizioni SUR, 2020 – trad. Martina Testa

Un gioco da lettore molto divertente da fare è quello di accostare l’esperienza della lettura di un romanzo a quella di un qualsiasi altro atto; non importa se quotidiano o meno, purché sia un atto passivo: gustare un pasto, vedere un film, ammirare un quadro, assistere a un monologo, ascoltare un album, guardare un paesaggio e così via.
Leggere Ragazza, donna, altro di Bernardine Evaristo, edito da SUR nella traduzione di Martina Testa, è stato come attraversare una mostra fotografica: storie di donne nere inglesi che si intrecciano eppure mantengono una loro indipendenza, come se si stesse attraversando il corridoio corredato delle opere di un’artista. Si riesce, insomma, a percepire chiaramente l’identità di ogni donna raccontata, ma allo stesso tempo se ne intuisce l’appartenenza fondamentale a un mosaico più grande, di cui spesso neanche tutte le protagoniste sono consce.
Il collage fotografico.
Sono storie di donne diverse: femministe, bigotte, di sinistra, di destra, lesbiche, etero, omofobe e non-binarie. Ciò che le tiene legate è “solo” l’appartenenza a una minoranza, ma per il resto queste protagoniste non potrebbero essere più diverse. E questo è il grande merito che va reso all’autrice, che è riuscita in due intenti essenziali:
- Ha raccontato la minoranza attraverso gli occhi di chi la vive e la sente tutti i giorni, rendendo la minoranza stessa non più minoritaria;
- Ha finalmente reso chiaro che non basta “essere parte di” qualcosa, minoranza o etnia o genere o orientamento sessuale o tutto questo insieme, per “appartenere”: non basta, e non serve, un colore o un genere per descrivere una persona nella sua totalità.
Seguendo questa scia, la Evaristo è riuscita a tracciare una fotografia fedele di ciò che vuol dire essere una donna nera inglese, e contemporaneamente ha tracciato uno schema molto dettagliato di cosa è la Gran Bretagna oggi (in tutte le forme: la UK povera della working class, quella mid class e quella posh delle grandi università di Oxford e Cambridge), anche attraverso il racconto di cosa è stata la Gran Bretagna ieri.
L’autrice riesce a far tutto questo senza scadere nel diktat dei protagonisti positivi a tutti i costi, piatti come una foglia; i suoi personaggi sono tridimensionali, vivi, commettono errori e provano invidia, fanno del male, volontariamente o meno, sono frustrate e vendutesi inconsapevoli a un sistema.
Le donne di Bernardine Evaristo sono anzitutto vive, e questo traspare sin dalla prima pagina, in cui facciamo la conoscenza di Amma, collante indiscusso (e forse un po’ debole) di tutto il collage fotografico. È proprio attraverso Amma che forse è più immediato fare un confronto con l’autrice e, soprattutto, recepire più chiaramente quali siano state le ispirazioni e le fonti della Evaristo nella stesura di questo romanzo corale.
Le fonti e la speranza
For Colored Girls Who Have Considered Suicide/When the Rainbow Is Enuf, opera teatrale della poetessa Ntozake Shange, è la fonte diretta – esplicitata dalla stessa autrice in più d’un intervista – alla quale il romanzo si ispira. Nell’opera della Shange, sette donne nere vanno in scena alternativamente per descrivere la propria esperienza, spesso di oppressione e abuso, nel quadro di una società sessista e, in più, razzista.
La somiglianza con l’opera teatrale della Shange è evidente, ma c’è una differenza sostanziale che rende l’opera di fotografia corale di Bernardine Evaristo così coinvolgente e, soprattutto, veritiera: la speranza.
Le storie della Evaristo non sono mai, o quasi mai, di chiusura totale. Nelle storie della Evaristo c’è sempre uno spiraglio di luce: anche dove sembra che la situazione sia irrisolvibile, la Evaristo ha la forza e la volontà per trovare, se non un lieto fine, almeno la possibilità di riscatto, di rivincita, di un nuovo inizio.
Questo non rende la narrazione più debole, più fiabesca, forzata o ingenua; anzi, la rende ancor più vera e tridimensionale. La vita non è sempre tragedia, morte e distruzione: c’è più possibilità di redenzione e riscatto di quanto siamo abituati a pensare.
Il fatto che Bernardine Evaristo abbia coscientemente scelto di non lasciare al buio le sue protagoniste, di accendere loro la luce anche quando sarebbe stato più facile – e forse più accattivante – non dare speranze, è il segno evidente che un’inclusione e una lotta al razzismo sono possibili proprio grazie alla speranza, alle piccole vittorie quotidiane; grazie alle mille donne fotografate e che ancora verranno fotografate per lasciare a chi verrà un quadro completo e fedele.
La maternità: accendere la luce sulla speranza
Concludendo, il tema della maternità – rifiutata, potenziale, desiderata, non desiderata – è un tema portante all’interno del romanzo, e infatti l’epilogo avrà come cuore pulsante proprio il concetto di maternità e figliolanza. Ed è proprio questa maternità che si collega a doppio filo con il concetto di fotografia, con l’intento di Evaristo di cucire un collage di storie che potessero dare una visione di gioia e speranza.
Se è vero che queste donne sono madri, figlie, nipoti, nonne e bisnonne, e se è vero che è proprio questo legame madre-figlia, difficile e duro e a volte inconciliabile, a dare spessore a tutto il romanzo, allora Bernardine Evaristo è la madre delle sue storie proprio in virtù della speranza infusa in ognuna di esse: una mamma accende la luce quando attorno è troppo buio, per non far arrivare i mostri.
Non sempre si riesce a difendere i propri figli dai mostri, e questo le donne della Evaristo lo sanno fin troppo bene, ma nemmeno si è accerchiati dalle tenebre per sempre.
In copertina: Bernardine Evaristo, David M. Benett