Andrea Gatti, La fuga dei corpi
Pidgin Edizioni, 2021

La storia di cui sto per parlarvi è una storia di smarrimento, una storia che forse ha origine addirittura da una “non-storia”, una volontà di esprimere qualcosa – un sentimento, una sensazione, una meta – di non verbale. “La fuga dei corpi” di Andre Gatti, edito da Pidgin Edizioni, è un’ascesi mistica al contrario: invece di arrivare all’apice del piacere, si arriva a un apice distruttivo.
Ma andiamo con ordine.
La storia narrata nel romanzo parla di due ragazzi, Vanni e Daniel, che decidono di intraprendere una vita vagabonda – guadagnandosi da vivere solo grazie alla musica suonata per le strade – per arrivare a Cala Bruja, una spiaggia che è quasi un miraggio lungo tutta la narrazione. Cala Bruja è un luogo mistico, dove le canoniche regole sociali sembrano scomparire, per lasciare il posto a una libertà salvifica e sfrenata. Questo, almeno, è quello che sembra.
La storia però, a un certo punto, sembra corrodersi, collassare su sé stessa mano a mano che la trama procede e i due protagonisti diventano sempre più simili tra loro (anche se, all’inizio del romanzo, Vanni e Daniel sembrano essere agli antipodi da un punto di vista caratteriale). L’identità dei due personaggi collassa, fondendosi e generando un paradosso lettario che non può che tradursi nel silenzio.
Il lettore capirà presto che il viaggio di Daniel e Vanni è un pellegrinaggio spirituale, dove i luoghi narrati sono luoghi metaforici dell’anima, dove la musica ha un ruolo egemone nella vita dei due ragazzi perché è un mezzo spirituale per giungere a una consapevolezza incorporea: non è un caso, infatti, che i due ragazzi disegnassero un cerchio magico per le strade, ogniqualvolta decidessero di suonare.
Ho avuto il piacere di conoscere Andrea Gatti a Napoli, durante il festival “Ricomincio dai libri”, e ho addirittura avuto la fortuna di poter presentare il suo libro in quella stessa occasione. Abbiamo parlato di misticismo, di esoterismo, della magia che permea il suo romanzo, del valore mistico e spirituale della musica, ma soprattutto dei non-luoghi che i due protagonisti raggiungono e dell’identificazione dell’Io con un Sé più grande.
Essendo io una studiosa e appassionata di filosofia medievale, “La fuga dei corpi” non mi ha solo affascinata, piuttosto mi ha stupita: leggendo il romanzo si percepisce la maestria con la quale Andrea è riuscito a mettere su carta – e in una trama, soprattutto – delle tematiche così difficili e contorte, controverse e a volte dolorose.
Questo romanzo si trascina dietro una voglia propulsiva e distruttrice, rappresentata egregiamente da una gran parte dei personaggi descritti, non solo Daniel e Vanni, che non può che culminare in un silenzio confuso, pieno di vecchie parole assemblate, carico di non-sensi e significati simbolici. In conclusione, direi che “La fuga dei corpi” non è un romanzo semplice: tutto ciò di cui la trama parla è solo la punta dell’iceberg, la superficie di un viaggio interiore molto più profondo e universale.