Gli ansiosi si addormentano contando le apocalissi zombie: un esordio punk

Gli ansiosi si addormentano contando le apocalissi zombie, Alec Bogdanovic
Rogas Edizioni, 2020

Quando un libro è strutturato per essere ironico, tagliente, dissacrante e un po’ cazzone, personalmente mi preoccupo un po’. Temo che sia tutto fumo e niente arrosto: un bel involucro che poi, una volta scoperchiato, nasconda un vuoto – dolorosissimo per un lettore.

Gli ansiosi si addormentano contando le apocalissi zombie, di Alec Bogdanovic, invece riesce a rispettare le aspettative di chi gli dà fiducia e inizia a leggere il libro.

Uno stile “punk”

Il linguaggio e lo stile sono in linea con il carattere del personaggio principale e, azzardo, dell’autore del libro: irriverente, caotico, sperimentale e un po’ saccente. Niente di male, anzi, fa piacere ascoltare una voce scritta che non abbia un tono impomatato: è questa una tendenza che si osserva in certi ambienti letterari-indipendenti.

L’altra tendenza che si osserva, diametralmente opposta ma scaturita dalla stessa sorgente lit-indie, è proprio quella che usa Bogdanovic: per mio gusto, preferisco di gran lunga la corrente irriverente, un po’ punk e sperimentale del panorama underground italiano. Anche perché in generale, e in questo caso in particolare, questo utilizzo stilistico è accompagnato da uno humor pungente e poco “corretto”: il che può far arrabbiare più di una persona; io personalmente mi diverto molto a essere spettatrice delle reazioni più disparate.

Se, però, da un lato questo “sperimentalismo punk” risulta interessante, il rovescio della medaglia è che si spinga un po’ troppo l’asticella fino a diventare un ritornello ridondante: non mi riferisco alle battute di cattivo gusto né allo humor nero, ma all’eccessivo uso che se ne fa lungo tutta la storia.

Insomma: il problema non è la qualità in sè ma la quantità: il perenne uso di questo linguaggio rischia di far venire il dubbio al lettore che forse questi espedienti narrativi siano stati usati come riempitivo o come difesa dell’autore verso un intimismo troppo spinto con l’ipotetico lettore o, peggio ancora, con la storia del protagonista.

Non c’è nulla di male nel voler scrivere un libro “tragicomico”, anzi, è un’impresa complessa: il rischio di scadere nel ridicolo o grottesco è dietro l’angolo. Attenzione: mi riferisco qui al grottesco non voluto, non al grottesco ricercato di Laiseca, Arlt et similia, quello è tutta un’altra cosa: un miracolo letterario.

Regola 0: non giudicare un libro dalla trama

Ciò detto, la trama è piuttosto semplice – come, in realtà, la maggior parte delle trame fatte bene – ma che la struttura del romanzo, frammentata, apparentemente senza soluzione di continuità, rende accattivante. Il romanzo, sin dalla prima parola, fa ciò che dovrebbe fare un buono scritto: rende curioso\a chi lo legge, non annoia neanche per un momento. Ed è tutto dire, considerando che c’è relativamente poca azione nel romanzo e moltissima speculazione da parte del protagonista, occhio assoluto di questa storia che guarda, giudica, si incattivisce e ci descrive il mondo sempre attraverso la sua lente. Inizialmente, la scelta può essere interpretata come la scelta di comodo di un narratore onnisciente.

In realtà, a una più attenta lettura, l’onniscienza del protagonista non è una scelta di comodo ma una necessità narrativa: così com’è vero che in un attacco di panico il mondo sembra ripiegarsi su di sé ma fuori di noi tutto scorre normalmente, così era necessario che ci fosse solo un punto di vista, in questo scritto, per poter davvero comprendere e apprezzare almeno l’idea di cosa possa essere un attacco di panico, la depressione, l’ansia patologica.

Nulla cambia affinchè tutto cambi

Bisogna che la lettura proceda oltre la prima metà del libro accorgersi del cambio graduale di registro e tematiche che Bogdanovic attua mentre scrive: è un cambiamento costante e minimo e poi improvviso, così che – quando si arriva all’acme del romanzo – ci si chiede: “Ma come? Due minuti fa ridevo”.

E anche questo, in qualche misura, ricorda il meccanismo del panico: lentamente, inizialmente in modo impercettibile e poi, sul finale, tanto fortemente da sembrare incontrollabile, l’attacco di panico ti monta dentro e ti si cuce sempre di più addosso, inondandoti della sua ombra fino a che non c’è che buio davanti ai tuoi occhi.

Il ritmo

Il pregio indiscusso di questo romanzo è il ritmo: il romanzo è molto ben strutturato e dà un senso di angoscia e claustrofobia nei punti giusti, proprio quando c’è da immedesimarsi nell’ansia del protagonista. Da persona che ha vissuto gli attacchi di panico, ho percepito le descrizioni dell’autore come fedeli e ben fatte, e si intuisce che sono un chiaro richiamo autobiografico.

Per finire, l’impresa che si propone Bogdanovic è da considerarsi encomiabile, e gli effetti sono positivi: il ritmo mantiene bene sia la storia che l’attenzione, e sicuramente lo sforzo massimo è tutto volto a rendere puntuale l’esperienza dell’ansia. Ciò che manca è ancora forse un senso della misura, che non è auto-censura ma auto-critica: credo che sia sintomo di maturità letteraria saper discernere tra queste due cose. Concludo dicendo che spero di non essere stata una RECENSITRIC* troppo spietata (semi-cit. al romanzo).

In copertina: immagine tratta da Trainspotting 2

Clelia Attanasio

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