Con l’attuale diffusione delle piattaforme di streaming, e la contingente popolarità acquisita negli anni dalle serie tv, non è improbabile che ci si sia trovati nell’elenco dei consigliati qualche anime dalla trama intrigante, che ha spinto a guardarlo anche se l’animazione la si considerava una cosa per bambini.
Allo stesso tempo, ma in maniera autonoma, anche il mondo delle graphic novel e del fumetto ha cominciato ad essere timidamente sdoganato in ambiti che erano prima considerati riservati alla letteratura nel suo senso più classico, come testimonia la candidatura di una storia di Gipi al Premio Strega del 2014.
I manga, ovvero i fumetti giapponesi, fanno invece categoria a sé: con lo scoppio della pandemia sono diventati popolari tra i più giovani, e tuttavia a loro spetta ancora un posto marginale all’interno della fruizione di massa, e posso anche ipotizzarne il motivo: gli stilemi e gli standard comunicativi dei manga, agli occhi di chi non vi è avvezzo, possono talvolta lasciare spiazzati.
Il mondo manga può tuttavia offrire tantissimo anche ai lettori più tradizionalisti; ed è per questo che siamo qui, io e voi: nell’elenco che segue troverete una serie di titoli che possano agevolare la vostra entrata nel mondo dei manga, pensati e selezionati per chi nella vita non legge che principalmente libri.
Accanto a volumi singoli, o comunque serie brevi, troverete anche due serie lunghe che però sono state, nella mia esperienza, ampiamente apprezzate anche da chi alla serialità fumettistica non sia abituato.
Volumi singoli
“Perché non mi hai chiesto almeno di morire assieme a te?”
My broken Mariko è la storia di un lutto. Tomoyo Shiino, giovane donna la cui vita è scandita dai noiosi ritmi di un lavoro d’ufficio che non le dà nessuna soddisfazione, scopre da un notiziario che la sua migliore amica, Mariko Ikagawa, è morta suicida – si è lanciata dalla terrazza di casa senza lasciarle alcun messaggio, alcun preavviso, senza neppure darle la possibilità di provare a fermarla.
A Tomoyo non resta che ripercorrere a ritroso i lunghi anni della loro amicizia, contare i momenti felici e soprattutto quelli tristi, e sentire più greve con mai il peso della propria impotenza davanti all’infelicità che ha costellato la vita di Mariko e che l’ha spinta a porre fine a tutto con un solo salto.
My broken Mariko è la storia di chi resta indietro, di chi deve venire a patti con la sparizione prematura e volontaria di una persona amata – di chi aveva ancora troppo da dire e di chi non aveva ancora fatto abbastanza. Chiunque abbia attraversato esperienze simili riconoscerà negli umori e nei pensieri della protagonista quelli che ha attraversato anche lui, con picchi altissimi e bassissimi che vanno dalla rabbia più distruttiva alla depressione più profonda, ma che non arrivano mai a comprendere il perché.
Lo stile di disegno di Waka Hirako ha un’espressività molto marcata, che va dalla deformazione quasi grottesca dei volti dei personaggi durante i momenti di emotività più violenta a grandi primi piani di volti ritratti con delicatezza ed espressività.
Per via dei suoi momenti più caricaturali, potrebbe effettivamente cogliere alla sprovvista il lettore poco avvezzo al fumetto giapponese, ma il modo in cui vengono trattati i temi dell’abuso, della perdita e del dolore (da un punto di vista abbastanza inusuale: non quello della vittima, del suicida, ma da quello di chi ne è stato spettatore) farà passar sopra alle tavole meno realistiche. È un volume consigliato a chi ama le storie di forte impatto emotivo, a chi non vuole digerire in fretta le sensazioni sperimentate – ed in particolare a chi nell’esperienza di Tomoyo rivede la propria.
Una piccola ma necessaria nota a margine: le ultime venti pagine del volume, oltre a un piccolo extra sulla storia principale, contengono un altro racconto totalmente staccato intitolato Yiska, ambientato nel West degli anni Novanta. Rispetto a My broken Mariko è abbastanza dimenticabile, anche se godibile: il consiglio è di leggerla in separata sede, magari il giorno dopo, perché spezza un po’ il picco emotivo dato dalla conclusione della storia precedente.
“Com’è possibile che, in un mondo dove si intrecciano tante vite, si possa trovare la felicità con un’unica persona?”
Nel suo genere (ovvero quello delle storie d’amore tra uomini, in gergo yaoi), Il gioco del gatto e del topo è considerato un capolavoro. Mi sbilancio ad affermare che una parola così forte non andrebbe usata per un manga che ha numerosi difetti (primo tra tutti un inizio abbastanza banale, che saprà di già visto a chiunque abbia già letto storie d’amore incentrate sui un triangolo che coinvolge lui, lei e l’amante), ma risulta tuttavia un’ottima lettura per chiunque adori le storie d’amore tormentate – anche se più dello stampo moderno di André Aciman che di quello classico di Jane Austen. Lettura riservata però ad un pubblico maturo, perché ci sono diverse scene di sesso abbastanza esplicite.
I due protagonisti sono uomini tremendi: Kyoichi Otomo è un fedifrago seriale, accondiscendente verso tutte le compagne della sua vita e contemporaneamente incapace di sentire verso di loro un vero attaccamento; Wataru Imagase invece, innamorato di lui dai tempi di scuola, non si fa scrupoli ad usare il ricatto per ottenere una relazione sessuale che soddisfi finalmente i suoi desideri adolescenziali.
Ma è proprio nel trovarsi faccia a faccia con i lati peggiori dell’altro che i due sono costretti ad affrontare anche i propri, spinti dal desiderio di diventare persone se non migliori, almeno capaci di star insieme senza ferirsi in continuazione.
La difficoltà nel comunicare quello che si sente davvero, le incertezze di chi per la prima volta esplora l’omosessualità (in una società, giova dirlo, che la ghettizza e la giudica come deviata), il rifiuto di cambiare sé stessi ma anche la frustrazione davanti all’incapacità dell’altro di lavorare sui propri difetti e riconoscere i propri errori: questi alcuni dei temi che moltissime coppie devono affrontare e che vi cattureranno nel manga di Setona Mizushiro.
Purtroppo lo stile di disegno soffre dell’anno in cui è stato pubblicato per la prima volta il manga, il 2006, che nell’ambito del sottogenere yaoi non godeva di un tratto particolarmente espressivo o particolareggiato. Resta comunque funzionale alla storia, e la ricchezza di dialoghi e di monologhi faranno sì che la maggior parte delle tavole possano passare facilmente quasi inosservate.
“Sono nato così, uscendo dal buco del culo di mia madre.”
L’ultimo suggerimento per la categoria “volumi singoli” non è affatto un volume per tutti, ma solo per i lettori che abbiano un debole per storie malate che parlano di persone ancor più malate – lettori che riescano insomma a gestire racconti di violenza, fisica e sessuale (in questo caso specifico ancor più cruda, perché tutto si svolge all’interno di una società di bambini).
Il bambino di Dio è una storia amorale che non parla di redenzione e che non trova alcun risvolto positivo: è nichilismo accompagnato a violenza, e difficilmente è adatto agli stomaci più delicati. Anche questo volume, dunque, è assolutamente inadatto ad un pubblico di minori.
Si tratta di un’opera estremamente polarizzante: o la si ritiene geniale, o mera e squallida rappresentazione di violenze gratuite. Più riletture potrebbero addirittura tradursi in un’oscillazione tra i due poli. Il manga è uno sguardo sul mondo lanciato dalla mente malata di un narcisista, uno psicopatico che fin dall’infanzia pratica violenza sugli umani suoi simili e li sottomette a sé in una setta di bambini dai rituali brutali e grotteschi.
La cosa che rende questo volume una lettura morbosamente intrigante è proprio la possibilità di entrare nel cervello di chi ha una visione del mondo distorta e crudele – di chi non vede redenzione nell’universo, ma solo una catena di disgusto, di violenza, letteralmente (come viene specificato dal protagonista) di merda. È un po’ quello che avviene con diversi gradi di successo anche in libri come American Psycho di B.E. Ellis o Crash di J.G. Ballard, ma con l’aggiunta di un’atmosfera onirica, quasi sacrale, che trascina in una religiosità sporca i cui rituali si consumano tra viscere e fluidi corporei.
I disegni contribuiscono ad alimentare il disagio nel lettore: il tratto è estremamente stilizzato, caratterizzato da linee pulite e volti inespressivi, inquietanti, che a volte sembrano fissare direttamente oltre la pagina. Per gli stomaci forti rappresenta una lettura senz’altro intrigante – se non altro perché fumetti del genere, non solo nel panorama manga, non si trovano tutti i giorni. Lo adorerete o lo odierete, ma di certo non potrà esservi indifferente.
Serie brevi
“I pervertiti sono delle persone che hanno dato forma ai propri desideri più nascosti. Ne hanno attentamente tracciato la forma, così come un uomo non vedente utilizza il tatto per misurare la forma di un vaso.”
Proseguiamo con un altro manga vietato ai minori – stavolta non per contenuti di natura violenta, ma sessuale. Memorie di un gentiluomo è un manga in due volumi chiaramente ispirato alla letteratura erotica e romantica di epoca settecentesca ed ottocentesca: protagonista della storia è infatti Colette, prostituta del bordello parigino Les Nuit des Oeufs all’inizio del XX secolo.
Innamorata perdutamente di un uomo che non fa che spremerla per soldi, Colette ci racconta attraverso i propri occhi la quotidianità di chi vende il proprio corpo per sopravvivere – la solidarietà ma anche l’invidia e la competizione tra le ragazze, le perversioni più assurde e ridicole dei clienti, le scappatoie che si cercano per sfuggire allo squallore di questa esistenza. Tutto raccontato con un tono che non scende mai nel vittimismo e nell’autocommiserazione, ma che resta digeribile fino alla fine.
Per chiunque abbia amato autori del tenore di De Sade (quello di Justine, non quello de Le 120 giornate di Sodoma) o libri come Teleny, questo manga non potrà che ricordare quel tipo di atmosfere per la capacità di intrecciare all’estrema perversione raccontata personaggi realistici che coinvolgono il lettore nelle proprie vicende quotidiane e straordinarie, ispirando simpatia e comprensione.
I disegni, abbastanza realistici e dettagliati senza rinunciare ad uno stile estremamente riconoscibile, contribuiscono alla costruzione dell’atmosfera e sicuramente non spiazzeranno il lettore meno avvezzo come potrebbe succedere con altri suggerimenti in lista.
“Quando morirò, potreste dare il mio nome alla malattia?”
L’ossessione di essere unici – sacrificare la propria esistenza, immolandola alla solitudine e all’isolamento fino alla morte precoce, pur di sentirsi un caso irripetibile tra miliardi e miliardi di esseri umani. Questo è il perno attorno a cui ruota Shounen Shoujo, manga in tre volumi (reperibile però solo in cofanetto singolo) che racconta la storia di un ragazzino affetto da una malattia assurda: i nomi delle persone intorno a lui, i loro volti, le loro identità e personalità, qualsiasi cosa li caratterizzi, per lui non sono che una sorta di scarabocchio, un rumore bianco; per questo l’umanità non gli sembra che una distesa piatta di figure tutte uguali, indistinguibili tra loro.
Anziché disperarsene, però, la cosa lo esalta – soprattutto quando scopre che il destino di chi è affetto da questa malattia è quello di morire a 12 anni, e che il suo nome potrebbe restare immortalato nella storia dell’umanità per sempre, legato alla patologia che lo affligge.
Questo delirio narcisista però si infrange durante l’incontro con una ragazza sua coetanea di cui improvvisamente può vedere il volto: una ragazzina affetta dalla sua stessa identica malattia, ma poco più grande di lui – e quindi destinata a morire prima, ad impadronirsi del privilegio del lasciare in eredità ai posteri il proprio nome.
Come se non bastasse, al contrario di lui, che non ha particolari qualità al di là della propria patologia, lei è un genio come non se ne sono mai visti prima: insomma, davvero una persona al di là ed al di sopra della massa, a prescindere dalla propria malattia.
Nel confronto tra questi due poli opposti si dipanano riflessioni sull’identità e sull’unicità, sul senso dell’esistenza e sul suo scopo – riflessioni che rimbalzano tra un ragazzino dai sogni enormi ma la mente in fondo piccola ed una controparte brillante, geniale, ma proprio per questo sempre ambigua. Lo stile tipicamente manga, con gli occhi e le teste enormi da bambola, che ad un pubblico occidentale può sembrare infantile, accompagna in realtà un filo di ragionamenti (che da un certo punto di vista si possono considerare come rimasti irrisolti fino all’ultimo) sull’esistenza, sul significato impresso da una vita umana nel mondo, su cosa dia valore alla nostra identità e su cosa sia poi, esattamente, quest’identità individuale di cui andiamo vantandoci.
Shounen Shoujo è una lettura consigliata per gli amanti della saggistica filosofica, da Freud a Nietzsche, ma anche dei cervellotici romanzi esistenzialisti e magari un po’ assurdi come Lo straniero di Albert Camus o come tutta la produzione kafkiana.
Serie lunghe
“L’umano il cui nome viene scritto in questo quaderno morirà.”
Se dei manga si conosce qualcosa, sicuramente si conosce Death Note (reperibile in serie da tredici volumi o anche in un enorme volume unico, in realtà poco maneggevole). Trattasi infatti di un classico che viene continuamente ristampato e che non passa mai di moda sia tra gli appassionati sia di vecchia data che di nuova scoperta.
Rispetto ad altri fumetti è molto verboso, perfetto per gli amanti dei dialoghi brillanti e dei ragionamenti elaborati, pieno di colpi di scena e di continue svolte di trama che terranno chiunque incollato alle pagine.
La storia ruota attorno a Light Yagami, un ragazzo geniale a cui la vita sembra aver dato tutto: intelligenza, carisma, fascino, una famiglia amorevole e uno spiccato senso di giustizia – senso di giustizia che la sorte sembra mettere alla prova quando gli fa finire tra le mani un quaderno dalla copertina nera, che promette a chiunque lo usi il potere di uccidere senza lasciare nessuna traccia del proprio operato.
Basta scriverne il nome e tenerne ben a mente il volto, e l’individuo sarà stroncato all’istante da un attacco da cuore: davanti ad una possibilità del genere, il primo pensiero di Light è che si tratti di uno scherzo; ma, quando ne mette alla prova i poteri, non può negare che questo strano oggetto funzioni davvero.
È la serie che si suggerisce a chiunque si avvicini per la prima volta a questo mondo, e che finisce per piacere a tutti per la genialità dei suoi personaggi principali e i colpi di scena inaspettati: Light si trova infatti ad avere a che fare con antagonisti intelligenti quanto lui, il che rende la storia una lunga partita a scacchi su più livelli in cui i giocatori cercano sempre di anticipare le mosse dell’altro.
Oltre ad essere di grande intrattenimento per via dei continui stratagemmi che le varie parti in gioco devono elaborare nel tentativo di incastrarsi l’un l’altra, inoltre, è un ottimo spunto di riflessione sul significato di giustizia: tutti i personaggi si muovono in uno spazio grigio, seguono la propria moralità che però non può definirsi né totalmente ingiusta né totalmente giusta. Un criminale merita di morire? La pena di morte è il giusto prezzo da pagare per abbassare la criminalità – poche vite nel cambio della pace della moltitudine? Fino a che punto ci si può spingere per fare giustizia?
“Il tuo migliore amico, o la persona che ami. Puoi salvarne solo uno…”
Chiudiamo questa nostra breve lista di suggerimenti con Blue Flag, un manga in otto volumi, usciti in ristampa abbastanza di recente. Questa serie è uno di quei suggerimenti di cui bisogna fidarsi e basta, ad occhi chiusi, perché la sinossi e la copertina del primo volume non sono molto accattivanti: si presenta infatti come una banale storia di amori adolescenziali, sviluppata attorno ad un triangolo amoroso tra due ragazzi (l’uno il tipo popolare della scuola, l’altro quello che sta sempre sulle sue) ed una ragazza timida, incapace di dichiararsi al primo ma amica sempre più intima del secondo.
Ma KAITO non parla di una banale storia d’amore. KAITO parla dell’adolescenza con sguardo empatico ma adulto – è facile banalizzare le difficoltà di chi attraversa una fase della vita che agli adulti pare spesso melodrammatica, esagerata, ribelle per il gusto della ribellione; invece l’autrice in questo caso è in grado di tratteggiare personaggi realistici che oscillano tra l’essere ancora bambini e l’esser prossimi all’età adulta, che cercano se stessi nelle relazioni con gli altri.
Degno di nota anche che non manca mai nemmeno la voce di personaggi adulti nella storia, cosa che in molti racconti del genere purtroppo manca, o è relegata al margine di una pagina. La combinazione di tutti questi fattori rende la lettura coinvolgente per i coetanei ai protagonisti, ma anche per chi ormai a scuola non va più da molto tempo – anche perché Blue Flag non è soltanto un insieme di emozioni riversate sulle pagine.
Al contrario, lo sviluppo delle vicende per quanto realistico e mai sopra le righe, contiene numerosi colpi di scena che coinvolgono il lettore e riescono a lasciarlo col fiato sospeso, pur parlando a tutti gli effetti di una vita normale, che a raccontarla forse potrebbe apparire perfino noiosa, e che tuttavia qui risulta una lettura a tutti gli effetti d’intrattenimento.
Questo è un titolo consigliato davvero a tutti: a chi di solito ama le storie d’amore e a chi no, a chi legge molti romanzi di formazione e chi no, a chi legge solo thriller o solo horror o solo classici. A me è stato messo quasi a forza nella borsa degli acquisti, e non mi sono mai pentita di averlo permesso; non posso fare lo stesso con voi, ma posso chiudere l’articolo su una nota particolarmente personale ed insistente.
Francesca Parlapiano