La morte al centro delle nostre vite – Anna sta coi morti, di Daniele Scalese

Daniele Scalese, Anna sta coi morti
Pidgin Edizioni, 2023

Leggendo l’ultimo romanzo di Daniele Scalese, mi sono chiesta quanta importanza attribuiamo al dolore in quanto esseri umani. Soprattutto in letteratura. Esiste la letteratura scevra di sofferenza? E, in quanto autori, avremmo qualcosa da dire che non fossero le nostre disgrazie? E ancora, da lettori, cerchiamo davvero di empatizzare con i personaggi dei romanzi? Vogliamo rivedere il nostro dolore nel loro? Soffrire nella lettura, per uscirne purificati nella vita reale?

Come al solto – e com’è normale che sia – i libri sollevano in me molte domande. Anna sta coi morti è l’ultima uscita di Pidgin – che per me non sbaglia un colpo –, e ci conduce dritti davanti alla morte in molti modi. Scalese decide di parlare di morte guardandola dritta in faccia, che più di così non si può, facendo quello che fa un buon pensatore e quindi un buono scrittore: esaminare tutte le facce del prisma in modo critico e riflessivo. Ci porta di fronte al dolore che la morte comporta e al lutto della perdita, di fronte alla morte dei sentimenti anche nei momenti meno opportuni; perché siamo umani e non macchine, funzioniamo per contraddizioni e incoerenze. O forse, la coerenza sta proprio nell’accettazione della morte, intesa come concetto più ampio: la sofferenza umana da accogliere perché parte integrante della vita, delle vite di tutti.

Per Anna e Enzo, i due protagonisti della storia, la morte è uno sfondo sempre presente. Anna scopre di essere incinta di Enzo e contemporaneamente di avere la leucemia e dover scegliere tra la sua vita – curarsi, provare a sconfiggere la malattia – o salvare il bambino. Si troverà però anche a dover accettare la morte nel cuore dell’amore finito con Enzo, forse l’esperienza più difficile da accogliere. Perché possiamo anche sapere di dover morire, ma avere qualcuno che ci accompagni in quell’ultimo, terribile viaggio è confortante e rende le cose più semplici.

Scalese mette in atto una dinamica nuova: il dolore per la malattia e la morte, aspettata e temuta, sembra disunire la coppia invece di rafforzarne il legame, al contrario di come ci viene spesso raccontato, sia in letteratura che dalla retorica generale. Non funziona così, non siamo sempre quello che vogliamo essere; a volte risulta estremamente difficile piegare la propria volontà, il proprio essere a quello che ci sembra più opportuno in un dato momento.

A questo primo livello di lettura, se ne aggiunge un altro: Anna sta con i morti, letteralmente, poiché la protagonista lavora in obitorio, luogo che sembra essere il rifugio dei suoi due colleghi e successivamente anche di Enzo, che prenderà il suo posto, come se la nostra natura complicata e inquieta trovasse riparo proprio all’ombra dei cadaveri, della morte e del silenzio.

Non solo i morti però campeggiano nella narrazione di Scalese ma anche i fantasmi, soprattutto quelli di Enzo, voce narrante della storia – scelta narrativa rischiosa visto che parlare della malattia mortale della compagna avrebbe potuto alimentare un tono retorico e patetico. Invece, Enzo lo fa senza lacrime, in modo quasi onirico, riportando a galla traumi passati e mai risolti e incubi presenti e confondendoli con la realtà ma mai banalizzandoli. Enzo ha perso una sorella ed è stato abbandonato dal padre. Non sono anche queste due forme di morte? Questi due protagonisti ci dicono questo: tutto è morte, ne siamo circondati, averne paura è normale ma siamo più abituati e avvolti dal dolore di quanto ci sembri.

Come si può notare, Scalese porta la narrazione su più piani, stratificandola. Anna si fa portavoce della malattia in televisione, facendo quasi sfoggio di una forza che forse neanche c’è e la sua debolezza, anzi la sua fragilità fisica e psichica è palesata solo con Enzo. Vive il dolore in due modi distinti, contrapponendo alla sincerità che esprime con Enzo una sofferenza svelata, alla mercè di un pubblico televisivo. Il modo di chi sceglie di raccontarsi apertamente per esorcizzare la malattia – o forse, più semplicemente per trovare conforto – ma finisce per essere vittima due volte, della malattia in primis e di un voyeurismo del dolore che fa alzare lo share e la trasforma in caso mediatico. Prima segue un guru, poi in fin di vita anche lui, perderà a poco a poco ogni appiglio. A cosa ci attacchiamo quando la malattia avanza inesorabile come nel suo caso? Anna è fragile, il suo corpo è una macchina malfunzionante che ci fa capire la precarietà degli esseri umani su questa terra.

Ancora una volta – è così in moltissimi romanzi degli ultimi anni – scorgo l’importanza del corpo all’interno del testo. Quello di Anna è diventato delicato, sanguina in continuazione come se a poco a poco si prosciugasse e il sangue portasse via tutto, le impurità ma anche le cose belle. Il sangue è simbolo di aborto anche in un corpo sano e cosa possono pretendere Anna e Enzo da un corpo malato? Quale sarà il loro destino?

La prosa sperimentale di Scalese è davvero interessante. Poche descrizioni, dialoghi ridotti all’osso, un modo di scrivere scarno e asciutto che è molto funzionale alla narrazione della storia, che riesce a evitare le banalità, a scavare nell’animo dei personaggi, a dirci le cose con schiettezza e profondità. Non è un romanzo da approcciare con leggerezza, ma sicuramente è un’ottima lettura per chi ama la verità senza mezzi termini e rifugge le morali scontate. Non siamo combattenti in guerra contro le malattie ma esseri sfaccettati e pieni di contraddizioni. Impariamo quindi a trattare la vita per come è: esattamente come noi.


Veronica Nucci

Veronica Nucci

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