Lou Andreas Salomé. La ribelle. La favorita (Parte prima)

Nell’anno 1861 il mondo si stava spolverando il volto. Abraham Lincoln era stato eletto sedicesimo presidente degli Stati Uniti e poco dopo era scoppiata la guerra di secessione,  Il neonato Parlamento italiano apriva i lavori con la proclamazione del Regno d’Italia, in Russia era stata abolita la servitù della gleba. A San Pietroburgo, sulla bellissima, innevata, abbacinante Prospettiva Nevskij, correvano le trojke sorpassando i palazzi principeschi, colorati e classicamente ornati; mentre le slitte traghettavano alle feste l’aristocrazia colta, impellicciata, sfarzosa nelle vesti, nelle divise degli ufficiali.

È in questo clima fiabesco che il 12 febbraio nasceva Louise von Salomé, per tutti Lou, la donna che avrebbe scandalizzato mezza Europa con le sue idee e i suoi amori, amica dei più grandi pensatori vissuti a cavallo dei due secoli, da Nietzsche, al filosofo Ree, da Rilke a Freud. Scrittrice di racconti, romanzi, saggi, articoli, dotata di intelligenza finissima, con le sue tesi e le sue intuizioni sull’uomo e su Dio, influenzò le filosofie degli uomini che l’ebbero conosciuta e amata, e fu per suo tramite, spesso, che i concetti dell’uno si trasferirono, evolvendo e personalizzandosi, nell’altro.

Il padre di Lou era un generale dell’esercito dello Zar e la famiglia Salomè abitava nella meravigliosa dimora semicircolare dello Stato Maggiore, davanti al Palazzo d’Inverno. La sua residenza era frequentata da uomini brillanti, come Puškin e Lermontov, di cui Gustav von Salomé, uomo di grande cuore e nobili ideali, amava circondarsi. Lou fu sempre molto attaccata al padre: unica femmina dopo cinque figli maschi, crebbe in un clima d’amore, nell’allegria selvaggia dei giochi, permeata dall’affetto protettivo dei fratelli.

Come raccontò nell’autobiografia, ebbe un’infanzia molto felice ma un evento la cambiò profondamente. Una notte, mentre pregava, ebbe un’epifania circa l’inesistenza di Dio. La razionalizzazione di questa assenza influenzò la sua sfera ideologica e Lou cercò per l’intera vita una risposta intellettuale capace di prendere il posto del divino, del dio silente che con la sua caduta aveva scavato una voragine in tutto il mondo moderno.

Scrisse nell’autobiografia che da allora, da quella sensazione di caducità e morte di Dio, un nuovo sentimento le si palesò “quello cioè di sentire un’incommensurabile solidarietà d’essere con tutto l’esistente, non tanto inteso come sentimento rivolto a un oggetto, quanto piuttosto come un’entità esistenziale, sensibile non solo all’umanità ma comprendente nella sua illimitata disponibilità perfino la polvere cosmica”. E questo amore per il tutto, di certo, fu il tratto caratteristico della sua vita, tangibile nella passione per lo studio, nella ricerca di un senso dell’esistere, nell’amore per gli uomini, ma anche per l’umanità intera, per gli animali, per il sentimento di panico benessere che le risvegliava la natura quando se ne trovava circondata. E poi, certo, lei era Lou e non si consacrò a nessuno, passò come una chimera, una cometa scintillante fuoco, nella vita di tutte le persone che incontrò restando fedele solo a sé stessa e a ciò che davvero per lei contava: la realizzazione delle proprie aspirazioni.

Quando Lou era una ragazza e viveva a San Pietroburgo, fuori dai palazzi il clima era incendiario. I narodniki, missionari che viaggiavano attraverso la Russia predicando l’amore tra gli esseri umani, andavano scomparendo: al loro posto venivano istituiti comitati politici e iniziava a diffondersi la propaganda terroristica. Ci si preparava alla rivoluzione.

Lou era attirata per indole verso l’incendio sedizioso che andava fluendo attraverso il Volga; spesso si fermava a parlare con cocchieri e manovali, contadini e operai, subendo il fascino del popolo, e teneva nel cassetto la foto di Vera Zasulič che nel 1878 aveva attentato alla vita del governatore della città. La piccola Salomè aveva un temperamento ribelle e preferiva immergersi nel clima di fermento piuttosto che partecipare ai balli in cui le coetanee si mostravano, in tripudio di fiocchi e décolleté, ai futuri mariti, come in una fiera le giumente migliori. Lei, sin da molto giovane, aveva deciso di non sposarsi: ciò che pretendeva dal rapporto con l’altro era semmai un’unione basata sull’uguaglianza, la complicità assoluta o, come l’avrebbe definita Nietzsche, “amicizia dionisiaca”. Scrisse nel romanzo Rodinka:“Ma perché non conosciamo altro che cavalieri, amanti o padroni? Abbiamo dimenticato di essere fratelli”.

L’amore, nel senso convenzionale e matrimoniale del termine, non le interessava. Neanche quando conobbe Hendrik Gillot. Gillot era pastore della chiesa olandese riformata a san Pietroburgo. Figura carismatica, coltissimo, i cui sermoni pungenti, liberali, erano ascoltati da moltissime persone. Era un bell’uomo, affascinante, e si vociferava che molte nobildonne ne avessero subito lo charme. Lou lo conobbe quando, senza temere l’opinione altrui, aveva ormai deciso di abbandonare la chiesa luterana e la pratica di ogni religione. Studiò con Gillot di nascosto dalla famiglia e lui le insegnò ogni scibile: la storia delle religioni, la filosofia, la logica, la metafisica; insieme lessero Kant, gli illuministi, Schopenhauer. Si potrebbe pensare che Gillot fosse un pericolo, un uomo maturo, sposato, di cui lei, poco più che bambina, poteva subire un fascino duplice, intellettuale e fisico. Invece no. Fu lui, l’uomo di mondo, il pastore delle anime, ad essere soggiogato dalla bellezza di lei, dalla mente minerale, colorata, direbbe Pietro Citati. Lui le chiese di sposarlo, lei rifiutò. Forse anche lei lo amava, ma a modo suo, l’essenziale era essere libera, e dedicarsi alla propria aspirazione, e la sua era la ricerca intellettuale. La madre era disperata, in famiglia si temeva il clangore dello scandalo. Lei puntò i piedi, pretese gli stessi diritti degli uomini, dei suoi fratelli. E vinse. Nonostante l’opposizione materna, lasciò la Russia per dedicarsi allo studio e partì per Zurigo. La vera vita di Lou aveva inizio.

Dopo gli studi a Zurigo, Lou si recò con la madre a Roma. Qui le venne presentata Malwida von Meysenburg, la cui casa può essere considerata simbolicamente lo snodo della sua vita. Malwida era stata una figura molto importante del movimento femminista tedesco, da giovane si era unita ai combattenti rivoluzionari dei moti del 1848, rinunciando agli agi che le spettavano per nascita al fine di seguire un’idea, partecipare all’affermazione della donna, lottare per la giustizia sociale. Ancora sessantenne esercitava la sua natura generosa nell’aiutare gli oppressi, elevare l’uomo alla libertà. Era stato durante un soggiorno nella casa di lei a Napoli che Nietzsche e Paul Ree, filoso tedesco di stampo schopenhaueriano, avevano cementato il loro sodalizio di idee. I due amici condividevano, oltre la ricerca dell’assoluto e l’indagine sulle problematiche dell’etica, il sentimento dell’inesistenza di Dio. Così, se Nietzsche affermava nella Gaia scienza che “Dio è morto”, Ree faceva eco asserendo che Dio è solo il prodotto di un’illusione, una necessità degli uomini. Erano pronti per incontrare Lou.

Lou conobbe Paul una sera a casa di Malwida, e si stabilì tra loro, da subito, un’intesa potentissima. Già quella prima notte, quando lui si offrì di accompagnarla nel suo albergo, parlarono per ore camminando, il cielo bucato di stelle s’involava nelle tavolozze di blu che infine avrebbero condotto all’alba; e loro dimentichi, presi l’uno dall’altra, si aggiravano tra l’immensità muschiosa delle rovine e i bassifondi di una Roma lunare, postribolare, senza uno chaperon come sarebbe stato d’obbligo allora per le ragazze bene. Paul s’innamorò di Lou. Lou la bella, alta, bionda, slanciata, dinoccolata, dagli occhi chiari, intelligenti, e di argomentazione arguta, fine, profonda. Lou, ragazza insolita, caparbia, capace di trattare con noncuranza temi per cui le donne di allora sarebbero impallidite demandando sali: il matrimonio come una gabbia, il sesso senza legami ma come una necessità del corpo, la libertà, le idee rivoluzionarie. Lei godeva del confronto dialettico, avere alla sua portata menti che equivalessero alla propria, che risalissero il dominio della cultura borghese, risaltassero e rimbalzassero concetti nuovi, arditi, penetrassero nelle cose per scoprirne l’essenza, indagare il reale, l’umano. Ree era come lei, ma al contrario di lei si era innamorato. Lou, invece, aveva le idee chiare. Non voleva un fidanzato, voleva un sodalizio, un matrimonio bianco, una convivenza, una dimora-studio in cui gli inquilini coabitassero in armonia, parità, mente aperta. Dovevano essere almeno un trio, spiegava lei. E Ree acconsentì, sperando, come tutti gli innamorati di ogni epoca, di conquistarla standole accanto, col tempo. Per questo le presentò Nietzsche, il terzo candidato. Ed ecco principiare il triangolo d’amore che sarebbe durato anni. Anche il grande filosofo perse la testa per Lou, le chiese la mano e lei rispose ancora una volta: no. Lou non aveva ancora conosciuto il sesso. Non lo contemplava, quello che lei desiderava era fratellanza, comunità d’intenti, una società letteraria cameratesca che crescesse insieme, accanto ai lumi delle idee. Un progetto mirabile e per i tempi davvero incredibile. Ma Lou sottovalutava la propria femminilità o non le importava. I due filosofi usciranno distrutti da questa impasse d’amore, dalle convivenze che saltuarie effettivamente avverranno, tra slanci intellettuali e disperazione amorosa. Resta una foto, il cui coreografo è Nietzsche, c’è un carro e sul carro Lou. Lei tiene una frustra per spronare, comandare i suoi cavalli: Ree, Nietzsche.

La volontà di Lou, quindi, era fondare una comunità dello spirito. Non vi riuscì del tutto. Con Ree non ruppe mai e visse con lui per cinque anni come fratelli, sebbene lui restasse innamorato. Nietzsche cadde sempre più nella follia, nel vittimismo. Da questo amore non corrisposto, dal deliquio amoroso nacque però una perla: Così parlò Zarathustra, opera profondamente influenzata dai discorsi intercorsi tra Lou e Nietzsche, dai loro scambi di idee, dalle scintille dei diverbi nei quali ribaltavano qualsiasi cosa fosse ritenuta sacra. Nei periodi che avevano trascorso insieme avevano dibattuto su dio decapitandolo, trasferendo la ricerca sulla centralità dell’uomo, e intanto passeggiavano nei boschi di Tautenburg, dove lui l’aveva ospita e ancora una volta corteggiata sperando di sottrarla alla sua indifferenza verso il sentimento d’amore. È a causa della delusione, della sofferenza di un cuore frustrato che germogliò l’idea del superuomo, e sappiamo a quali fraintendimenti portò. Lou, anni dopo, scriverà un libro imperniato su Nietzsche, Friedrich Nietzsche appunto, interpretandone la dottrina lei che lo conosceva così bene, e ancora oggi rimane un saggio importantissimo per toccare le profondità recondite di lui, le sue idee, la sua personalità. È facile pensare che senza il rifiuto di Lou il libro e la teoria del superuomo non sarebbero germinati. L’opera è attraversata infatti da un erotismo esasperato, il tono profetico è lo stesso che Nietzsche usava negli ultimi tempi, demoralizzato dal rifiuto di Lou, dal tradimento di Ree, che intanto era andato a vivere con lei mentre Nietzsche li aspettava solo e speranzoso nella sua stanza di Lipsia, ancora convinto del progetto comune di convivenza. Così, gli influssi nefasti che la teoria del superuomo ebbe negli anni che seguirono va ricercata lì, nel 1882, le sorti di un impero, di un mondo friabile, elargito dalle mani ignare di una ventenne e di un uomo, grande, ma sopraffatto dalla malattia d’amore.

Nei cinque anni in cui abitò con Ree a Berlino, Lou si circondò di una cerchia di intellettuali di cui era l’epicentro effervescente, straripante di concetti inconsueti ed entusiasmo parlava agli uomini da uomo, senza tabù, senza pregiudizi o ipocrisie, senza sesso, lei era una persona, loro, erano tutti esseri umani. In molti si innamorarono della magnetica donna che portava con sé un tale vento liberale, come il sociologo Tönnies o lo psicologo Ebbinghaus. E poi, che fermento Berlino all’epoca di Bismark, una concitazione di intellettuali e stimoli culturali, innovazioni, conferenze, teatro, musica, lezioni all’università, seminari, feste, scampagnate, gite e passeggiate ai laghi vicino alla città. Le correnti positivistiche si andavano sostituendo al sistema postkantiano, si aveva fede nella scienza, nel cammino dell’uomo verso un crescente benessere costante. Tutto era in trasformazione, scorreva un flusso ininterrotto di idee che scuotevano il sapere fino allora conosciuto, dalla filosofia alla religione alla scienza sociale, ogni branca, ogni sistema, era setacciato al colino della critica, vagliato dall’indagine dialettica. In linea con questi principi, Lou ispezionava gli ideali dell’uomo, esigeva sull’umano la verità ontologica. E pensava di vivere per sempre con Ree, in sodalizio. Invece arrivò Friedrich Carl Andreas. Con la cappa nera che sempre indossava parafrasava i sembianti di un uccello esotico. Uomo affascinante, accentrava in sé oriente e occidente, nelle sue vene scorreva sangue malese da parte della madre e persiano da parte del padre, appartenente a un’antica famiglia di sangue reale, i Bagratuni. Andreas era uno studioso di lingue, un filologo certosino. Aveva approfondito il persiano antico recandosi in Persia e svolgendo molteplici lavori per mantenersi. Tornato in Germania era divenuto professore di lingue. Quando conobbe Lou, stregato, decise di conquistarla. Vi riuscì pugnalandosi al cuore per amor suo. Letteralmente. Nei suoi diari Lou scrive che a farle sposare Andreas fu un destino ineluttabile. Ad oggi per noi, come all’epoca per lei, è difficile dare una spiegazione alla capitolazione davanti ad Andreas: perché lei acconsentì al matrimonio se aveva altri principi, e perché lui la sposò sapendola com’era? Lou vedeva in lui probabilmente più una figura paterna che un marito, quel padre che tanto aveva amato e che tanto le mancava.

Dopo il matrimonio la vita di lei cambiò, almeno all’inizio, costringendola entro convenzioni che schiacciavano la sua vitalità. L’amore non fu mai consumato, e Lou iniziò a trascorrere la maggior parte dell’anno in viaggio, tornando però sempre alla sicurezza della casa di Andreas. Un uomo che non volle mai ma che, allo stesso tempo, non lasciò mai.


Silvia Penso

Silvia Penso

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