G. Lish, Come scrivere un racconto. Un libro di narrativa
Trad. R. Serrai, Racconti, 2022

“Dio, si diventa così stufi di tutti questi discorsi. La semplice idea di raccontare qualcosa a qualcuno è sufficiente a darti il voltastomaco, con ogni parola che pesa tonnellate di più di quanto pesasse l’ultima volta che l’hai pronunciata – o l’hai letta – o l’hai sentita – o l’hai scritta – o pensata. Chi ce l’ha tanta energia? Chi ce l’ha tanta forza? Non è per questo che la mela cade dall’albero, per la pesantezza della vita, perché ciò che la lega al ramo si indebolisce?” (Pg. 194)
Come si scrive un racconto?
La Racconti Edizioni affida la risposta a questo gigantesco anelito – la vera essenza forse di chi vuole scrivere, se il racconto rappresenta il vero campo di battaglia dell’arte- a Gordon Lish. Gordon Lish è stato il noto editor, tra gli altri, di Raymond Carver, avendo contribuito a crearne, in maniera più o meno dibattuta dallo stesso Carver, quella voce così riconoscibile: sintetica, sia nella narrativa che nello stile asciutto e omissivo.
“Però, Gordon, giuro su Dio e tanto vale che te lo dica subito, non posso subire l’amputazione e il trapianto che in un modo o nell’altro servirebbero a farli entrare nella scatola, di modo che il coperchio chiuda bene”, dirà Carver a Lish in una lettera in occasione dell’uscita di Cattedrale, a riprova di un processo violento di editing che Lish rese famoso.
Gordon Lish è indubbiamente la mente dietro un’idea di letteratura e ne è stato il braccio, anche, per molti decenni, in quanto direttore di riviste influenti come Esquire, di case editrici quali la Alfred A. Knopf e capo di influenti scuole di scrittura sparse per le università statunitensi. Chi meglio di lui, in quanto lui stesso e in quanto editor, può spiegare come scrivere un racconto?
Come scrivere un racconto, allora, e più in generale, come scrivere? In tutti i modi in cui la scrittura consente di farlo: che è anche dire, bene.
La meravigliosa scelta della Racconti Edizioni è di far scoprire il poco conosciuto (in Italia) Lish scrittore, derivandone non un manuale di scrittura in senso stretto, ma una scuola pura per chi vuole imparare a scrivere, che porta a capire, tramite la narrativa, la sapienza dell’editor.
Un bravo scrittore sa essere anche un bravo editor (di se stesso)? Deve esserlo? Gordon Lish direbbe forse di no, ma la raccolta di racconti di Gordon Lish sembra suggerire di sì, nella misura in cui la lingua reca in sé un grande onere, se si presume di saperla usare bene, che non può mai essere tralasciato, che non scampa e non deve scampare allo sguardo di chi scrive, e non sono a quello di chi legge.
Come scrivere un racconto per prima cosa mette bene in evidenza questo rapporto ambivalente che esiste tra editor e scrittore, attraverso la scrittura di Lish stesso. Si tratta di un rapporto di potere, che in Lish si realizza in parte nella stessa penna ma in parte anche col suo pubblico. In ognuna delle short stories della raccolta a essere centrale è il potere manipolatorio del linguaggio, così che i racconti rappresentano quasi esperimenti di scrittura e lezioni da impartire a un continuo pubblico di studenti. Questo presuppone un rapporto alla pari con un lettore in grado di cogliere lo stratagemma della letteratura in ogni istante, ma il tono è così provocatorio da lasciare il dubbio sull’opinione che il narratore ha di questo auditorio, o dell’intera umanità, da un punto di vista continuamente sarcastico.
Ci si accorge, poi, in ogni istante, dello sguardo intruso e martellante dell’editor che quasi arriva a scardinare se stesso come narratore (Non è difficile. Guardate negli occhi ciò che ha messo tanta paura a quel coniglio. Poi scrivete la vostra versione, e firmatela, Pg. 28) e instaura, come fil rouge dell’intera raccolta, una meta-narrativa sulla narrativa, che fa della scrittura soggetto e non solo mezzo del raccontare.
La produzione di Lish scrittore descrive relazioni e sentimenti (che sono più elucubrazioni intellettuali) di una serie di narratori accomunati dall’inaffidabilità. Ne risulta più interessante (per l’autore stesso) il modo singolo di raccontarli, che non è disonesto (perché troppo sapiente) ma invischiato in un’individualità così dirompente e furbesca, ingannevole, da indossare la maschera della disonestà. Ogni racconto si arrotola su un fuso di singolarità che rapisce la lingua e la sfrutta e maneggia a suo piacimento.
Dell’individuo, Lish si sofferma sulle emozioni più intriganti (la violenza, la seduzione, il punto di vista della moralità bigotta e tutto l’opposto possibile – un padre che vuole uccidere il figlio e un padre che rimprovera il figlio per aver cambiato il suo nome in un acronimo, la perdita dei genitori) e sul soggetto più originale plausibile: l’egocentrismo, il narcisismo, il rancore. Soggetto diventa anche un oggetto inusuale nel prestigio di un racconto ben scritto: un orologio, per esempio, o una slitta, una pesca, e su quelli la narrativa si arpiona vorticando in giochi sapienti di lingua: spostando, reinventando, ricreando il modo di raccontare qualcosa.
In sottofondo risalta un’acuta presenza dello “stile di vita americano”, speso dal punto di vista di una certa classe sociale e una certa comunità di provenienza, come quella ebraica, che non esula da un tenore cinico, umoristico, originale di critica e osservazione sociale.
Ognuno dei temi trattati dalla scrittura di Lish arriva sempre allo scardinamento dal punto di vista inattendibile del narratore, e questa sospensione della credibilità deriva tutta dal dilemma dell’invenzione. Emerge cioè fortemente dalla narrativa dell’editor l’infinita possibilità che saper usare la scrittura, un atto di immaginazione, in cui cioè l’immaginazione supera, a volte di molto, la realtà del mondo, offre, di oltrepassare i limiti del sentire, del dire, del comporre. Quasi ad arrivare a una dichiarazione di poetica:
Quanto lo detesto, l’equilibrio! Quanto è meglio una spaventosa sproporzione! (Pg. 32)
L’arte narrativa di Lish allora racconta una storia ma solo al suo picco narrativo; sposandone l’opposto della voce narrante; tornando sui passi falsi compiuti da altri narratori giudicati disonesti dal quasi onnisciente primo punto di vista scorretto; anticipando e screditando flash-forward e plot-twist. La qualità di scrittura è cristallina, arrivando a raccontare per completa negazione del soggetto trattato. La padronanza della lingua è multiforme e potenzialmente infinita. E diventa più che arte e sapienza, si configura come visione morale del mondo, con una rassegnazione sempre sarcastica:
È per questo che non provo grande interesse per la gente, e nemmeno per me stesso. Sappiamo tutti esattamente cosa dire, e lo diciamo. (Pg. 38)
E con il tocco sempre sapiente del bravo scrittore, per cui ogni narrazione, in base alla voce sposata, non è mai lineare, ma ragionata e sezionata, e, in accordo a questa visione morale del mondo, se vuole raccontare l’incertezza esistenziale, si disintegra in locuzioni di continua perdita di punti fissi. (Emblema di questo il racconto Il signor Goldbaum).
Stanno finendo i giochi a quiz e stanno per cominciare le soap e mia sorella si è appena alzata per andare a sdraiarsi sul letto di mia madre e posso dirvi che andrei a fare lo stesso se fossi assolutamente certo che non fosse contro la mia religione, perché chissà a cosa potrebbe andare contro, sdraiarsi sul letto del proprio padre? Potrebbe essere una specie di maledizione tale da tormentarvi per il resto della vostra vita finché, ah ah, proprio come lui, ecco fatto, siete morti. (Pg. 178)
Il dilemma dell’invenzione, che pone chi scrive (che “deve preoccuparsi di sopravvivere ai libri che hanno fatto fiasco”) sempre nell’altro mondo, o in un mondo moltiplicato, è anche il potere di questo narratore onnipotente e guardingo di salvare o condannare i personaggi della sua storia, in certi casi anche letteralmente, come nel famoso racconto A Rupert, senza promettere niente – che Lish scrisse imitando lo stile di J.D. Salinger lasciandolo non firmato, finendo per essere a lungo attribuito a Salinger stesso.
Ora capisco che è solo grazie al miracolo della finzione che posso salvare coloro che amo dalla realtà e dalle conseguenze di quello che potrebbero fare. In confronto, il prezzo che devo pagare io è irrisorio: un’eccezione alla regola del silenzio. (Pg. 89)
Guardate, però: vedete come noi, che raccontiamo ciò che viene raccontato, non siamo immuni a ciò che viene detto? (Pg. 218)
Questa è la verità: non ricordo bene quale fosse la battuta finale. Credo però di non avere raccontato con grande fedeltà nemmeno il resto. (Pg. 201)
Il dilemma che pone l’invenzione a Lish si squaderna dunque in lui in tutti i significati possibili, consentendogli tutto, anche perdersi nello stile degli scrittori che ha contribuito a creare seminando, tagliando, litigando. Ed è un perdersi ovviamente troppo sapiente per essere mero esercizio intellettuale, uno stile in cui il proprio non è mai perso, anche fosse per piccole tracce, ed è forse questo l’insegnamento più sopraffino, difficile da comprendere per uno scrittore in erba.
A J.D. Salinger, Lish dedica un racconto in cui parla di Salinger a Salinger per bocca di suo padre, da un punto di vista nevrotico, che lo rimprovera della scelta dell’estrema sintesi del nome (“devi aggiungere, non togliere”), della sua assenza di celebrità e mondanità, criticandone la volontà di non rilasciare fotografie e interviste, facendo di questo pretesto narrativo un specchio della sua prassi di editor. Un esempio superbo di narrativa che trova il modo di criticare e ridere di questa prassi, ma anche di difenderla e portarla avanti, sempre considerando il rapporto-scontro tra scrittore e editor, tra scrittura e editing, da uno scrittore che può tutto, e può a maggior ragione perché immagina e può superare i limiti di un’immaginazione che ha saputo vedere un modo di fare letteratura.
Come si scrive un racconto quando si sa scrivere? Quando si vede la letteratura nel mondo, quando la si crea?
Il rischio di una penna del genere è di scadere nel giocherello, nello scherno di tutto al punto che niente vale più, nella maschera, ma questo rischio Lish non potrebbe mai correrlo. L’insieme dei racconti ne è riprova, poiché tutto lo spettro dell’umano è coperto, fino a trovare perfino l’inafferrabile sé stesso. Lo spirito dello scrittore, che batte il continuo sabotaggio e intervento giocoso dell’editor, palpita al centro della raccolta, in un modo che è sapiente proprio perché invita a essere trovato, anche nel mezzo di roboanti tifoni di letteratura. E nel trovare Lish, superando l’intera arte della scrittura, nel mentre, volendolo e capendolo, si è diventati scrittori.
«È affascinato da se stesso.»
«Be’, certo, ma insomma, chi non lo è?»
«No, non è questo. Voglio dire che a Lish è capitato grossomodo quello che càpita a tutti. Cioè, il mondo non c’entra in realtà, perché il mondo tutto sommato non è così importante, se capisce cosa voglio dire. Oh, cribbio, mi sto confondendo. Guardi, il fatto è, riguarda, secondo me, il tempo, il tempo e il momento: essere testimoni, essere testimoni di troppe cose. Sa cosa intendo, con essere testimoni?»
«Essere testimoni di troppe cose del mondo?»
«No, il contrario… il mondo che è testimone di troppe cose tue. O forse è il tempo. Non lo so.» (Pg 172)
Chantal Salvinelli