Shugri Said Salh, L’ultima nomade, E. Crisafulli (Trad.)
Mar dei Sargassi, 2022

Shugri nasce in Somalia, in una terra ancora fortemente legata alle proprie tradizioni ancestrali in cui le donne sono costrette a mantenere una condotta di vita rigida e monacale, lontano da svaghi e divertimenti. Esse vengono trattate senza alcun rispetto, picchiate e violentate se vengono scoperte essersi unite ad un uomo prima del matrimonio; sono inoltre costrette a sottoporsi a un barbaro rituale di circoncisione in giovane età. In questo clima di intransigenza e conservatorismo generali cresce Shugri che trascorre l’infanzia sotto la tutela della nonna materna nel deserto somalo.
Quest’ambientazione, che fa da sfondo alle prime battute del libro, simboleggia la tradizione somala nella sua accezione più positiva e genuina: la bambina lavora e aiuta la nonna facendo pascolare le capre e proteggendole dagli animali feroci. Il deserto, con il suo fascino ma al contempo la sua severità, tempra e funge da palestra di vita per la giovane facendone una ragazza forte e coriacea, pronta ad affrontare le difficoltà che la vita le porrà innanzi. La ragazza infatti dimostra coraggio fin dalla fanciullezza, nel momento in cui viene sottoposta al rituale della circoncisione femminile. Shugri si dimostra determinata e risoluta davanti ai suoi carnefici condannando senza mezzi termini questa macabra usanza che destina la donna a un avvenire di dolore; questo è un retaggio di una cultura spiccatamente misogina che la considera alla stregua di un oggetto che porta con sé una dote da lasciare alla famiglia dell’uomo a cui andrà in sposa. L’ambiente desertico inoltre è il luogo dei costumi tradizionali che Shugri valorizza: lì viene acceso il fuoco attorno al quale vengono narrate antiche storie, lì risiedono quelle abitudini e quegli usi in cui la ragazza si identifica e che ricorda con nostalgia. Vi è poi quel lato della tradizione che la protagonista condanna di cui la figura paterna è la personificazione. Il padre di Shugri è autoritario e piega i suoi numerosi figli al proprio volere percuotendoli e condizionando le loro scelte di vita. Nonostante ciò, nella figura del padre permane un aspetto positivo, vale a dire il suo desiderio di garantire un’istruzione anche alle figlie femmine, cosa innovativa e in controtendenza con gli usi della nazione.
La protagonista sembra dunque assurgere a un universo maschile che non le pertiene fin dalle prime battute del romanzo e, successivamente, quando viene mandata nell’orfanotrofio assieme ad alcuni dei fratelli, si dimostra impavida davanti ai soprusi. Una nuova eroina sofoclea dunque, foriera di valori quali libertà, giustizia e pari opportunità della donna nei confronti dell’uomo in una società dominata dal maschilismo. Dal punto di vista affettivo ama i suoi uomini in modo travolgente e passionale senza curarsi del consenso del padre o di altri membri della famiglia. Shugri si dimostra pronta ad affrontare non solo difficoltà limitate al proprio microcosmo, ma anche di portata più ampia come la guerra civile che imperversa in Somalia. In occasione del conflitto la famiglia si disperde e la narrazione diviene sempre più frammentaria. L’autrice infatti tratta anche delle vicende dei propri familiari rendendo il romanzo spesso cronachistico e disorientante poiché la narrazione sembra sviluppare una serie di propaggini. Ciò che conferisce unità alla vicenda è il suo carattere autobiografico ma quest’operazione viene attuata in modo macchinoso dal momento che il lettore finisce per perdersi nei meandri della narrazione delle vicende familiari. I personaggi sono molti e questo rende la narrazione farraginosa: certamente è arduo districarsi e tenere le fila della vicenda tanto quanto risulta difficoltoso per la protagonista affrancarsi dal vincolo della tradizione e dei legami familiari; la famiglia è l’orizzonte di senso che investe l’intera vicenda e, nonostante Shugri dimostri affetto per i propri fratelli e i propri parenti, questi vincoli tradizionali sembrano talvolta impedirle di costituirsi come soggetto autonomo. In primo luogo vi è il ghenos e trasgredire alle sue leggi equivale andare verso la rovina, collassare su se stessi o essere severamente puniti. Il rapporto della protagonista con la tradizione è quindi ambivalente: da una parte riconosce di non poter fare a meno di essa, l’uomo necessita di radici sempre e comunque ma queste spesso lo imbrigliano e non gli consentono di costruirsi una vita propria, gli impediscono di cambiare minando la sua libertà.
Alla fine la protagonista riesce a costruirsi una nuova dimensione esistenziale approdando prima in Canada e successivamente in California. L’America rappresenta la modernità con le sue opportunità ma anche le sue complicazioni e, nonostante simboleggi questa propulsione energica verso novità e cambiamento, la presenza dei familiari e dei vincoli tradizionali rimane costante: quando Shugri deve sposarsi necessita del consenso della propria famiglia. La protagonista quindi incarna dei valori positivi ma la sua spinta innovativa deve sempre fare i conti con la tradizione e l’orizzonte familiare.
In conclusione, il bilancio del testo è per me ambivalente; se, da un lato, ho apprezzato tutti gli elementi di cui ho fatto menzione durante la recensione, mi sono ritrovato non totalmente soddisfatto nella mia curiosità di conoscere la componente introspettiva e di analisi interiore. Il testo avrebbe forse beneficiato di un ulteriore approfondimento, per trasportare il lettore ancora di più all’interno dell’elemento autobiografico, che in fondo è la vera forza di questa storia, già di per sé potente.
Giorgio Pietrobon