Lou Andreas Salomé. La ribelle. La favorita (Parte seconda)

Qui trovi anche la prima parte dell’articolo.

Berlino, Parigi, Vienna, Pietroburgo, Monaco, Stoccolma: il mondo era in subbuglio. Con la fine del secolo si diramarono correnti di pensiero nuove dal punto di vista sociale, intellettuale, politico; alcune, purtroppo, propedeutiche alla futura disastrosa ideologia tedesca ante guerra. Si è ad ogni modo trattato un periodo eccezionale, un cambiamento che riguardò anche il tempo percepito e le distanze: comparvero le prime automobili, il telegrafo, gli areostati; grazie all’elettricità cambiò il volto delle città, delle notti, e di conseguenza si modificavano le abitudini.

Uomini e cose erano travolti da un gorgo di velocità e progresso. L’inquietudine di Lou era in fondo quella di un’epoca: molte idee tradizionali crollarono e accanto a chi confidava in un benessere che sarebbe cresciuto in parallelo alla scienza c’era anche chi restava scisso, turbato, scettico rispetto al futuro atteso. L’uso delle macchine in effetti non portò solo avanzamento, o meglio lo portò ma a scapito di ben altri valori, in quanto disumanizzò le attività e l’esistenza, rese gli uomini schiavi e annientò mestieri, derubò parte del lavoro, creò ritmi innaturali, giornate infinite scandite nella gestualità ritmica e ripetitiva, robotica, di coloro che lavoravano nelle fabbriche. Trafugò il tempo sottraendolo alla vita. Pochi si arricchirono, i molti rimasero in povertà nonostante la mostruosità del lavoro, degradati in abitazioni fatiscenti e putride, prive di sistema fognario, ammalati per via delle sostanze tossiche inalate nelle fabbriche o per le condizioni igieniche. Anche le città si avvelenarono, i dipinti dell’epoca mostrano paesaggi naturali deformati da fuochi e vapori, infernali. Le industrie cambiarono le campagne imponendosi nette sui declivi, sulle colline dolci, intristendo gli orizzonti. I bambini, per la loro corporatura minuta, vennero sfruttati per lavorare nel buio malsano e claustrofobico delle miniere, mentre uomini e donne vennero impiegati negli opifici in condizioni degradanti e senza alcun diritto. Stuoli di disoccupati, alienati, sciamavano deambulanti fame per le strade e vi morivano di stenti. Cominciarono le sommosse, le ribellioni, gli scioperi, la presa di coscienza. Nacque il socialismo, la propaganda rivoluzionaria.

In Germania, si levarono movimenti di protesta in nome dell’uguaglianza, del diritto, della giustizia. A Berlino si unirono scrittori, giornalisti, artisti, socialisti e rivoluzionari che fondarono associazioni drammatiche di denuncia. Come la Freie Bühne, la Deutsche Bühne, la Freie Volksbühne, sul modello del Teatro Libero di Parigi. Accanto a queste c’era la rivista Freie Bühne fur modernes Leben, della casa editrice S. Fisher. Il fine era opporsi alla cultura capitalista, cercare attraverso l’arte e la contestazione di liberare l’uomo dalle catene dei potenti; tramite la politica socialista si auspicavano leggi più eque sul lavoro, sui salari, sulla distribuzione del tempo; mentre nell’arte, con il naturalismo, si aspirava a svelare la disumanità mostrandola, soppiantando una letteratura di evasione per innalzare l’uomo dai terribili meccanismi in cui era imbrigliato. L’Europa si agitava alla ricerca di un nuovo spirito comunitario. Idealisticamente si scriveva sul Frei Bühne “Resurrezione! Viviamo in un’epoca di resurrezione. La zolla morta si sfalda e fa posto a una vita nuova!”. Lou, ricettiva a tali voci, venne travolta dal turbine della nuova rivoluzione artistica e sociale e divenne un membro significativo del Freie Volksbühne e amica degli uomini più importanti del movimento, di scrittori e artisti che avevano spezzato il patto con la morta cultura ufficiale, Otto Brahm, Maximilian Harden, Bruno Wille, Arno Holz, August Strindberg, Knut Hamsum, Frank Wedekind, che la corteggiò fortemente e le cui avances lei raccontò in Fenicka, e che infine dovette riparare a Parigi per lo scandalo del suo Risveglio di primavera.

Lou entrò a far parte della bohemien berlinese e iniziò a frequentare il famoso Schwarzes Fekel, il locale dove si passavano notti intere dibattendo di politica e letteratura. I suoi articoli divennero famosi, infervoranti, la sua intelligenza e la brillante dialettica ammirate, così come la sua scrittura, il tono nuovo che contenevano i suoi libri, la cui particolarità di unire cenni autobiografici, motivi psicologici e finezza di analisi, anticipò un gusto stilistico successivo, e finanche attuale. I temi stessi erano rivoluzionari vertendo sulle dinamiche psicanalitiche della creazione artistica nonché su quelle sessuali legate alla donna e alle relazioni con l’altro. Il suo pensiero era esatto e profondissimo, la sua riflessione mai scontata.

Nel 1892 uscì il suo libro su Ibsen, Figure di donne, un’opera sulle eroine femminili portate in scena dal drammaturgo e che ebbe grandioso successo. Le storie di Nora, Helene Alving, Hedvig, Rebekka, Ellida, Hedda Gabler, vengono rielaborate al fine di indagarne le differenti prigioni psicologiche, entrando a fondo dentro la psiche femminile e inquisendo il difficile rapporto/scontro tra i desideri personali e le convenzioni sociali.

In quegli anni, inoltre, si diedero alle stampe anche il romanzo Ruth e poi Fenicka, (in cui per la prima volta si parla di amore masochistico e del piacere che ne deriva, dell’errore di considerare la carne meno elevata dello spirito), Ma, Zona crepuscolare, La casa, in cui la protagonista Renata è oppressa dal desiderio insanabile di sottomettersi completamente a una volontà maschile: tema inaudito all’epoca, ancor di più perché trattato da una donna.

In dieci anni pubblicò più di cinquanta saggi, recensioni, articoli e otto libri.

Per viaggiare si rese indipendente attraverso la carriera letteraria e questo la salvò dall’amarezza del matrimonio. Sostò a Vienna, dove si radunavano gli spiriti più innovativi d’Europa e dove conobbe Arthur Schnitzler e Hugo von Hofmannsthal, Peter Altenberg e tanti scrittori e poeti. Se a Berlino gli intellettuali erano impegnati soprattutto sul fronte politico e sociale, di denuncia, concentrati sui fattori esteriori della vita, a Vienna l’interesse era direzionato verso l’interiorità, l’esplorazione dell’animo umano. Qui gli scrittori trattavano sul piano della finzione ciò che Freud sperimentava sotto il profilo medico. Inoltre, a Vienna, i toni erano maggiormente distesi e le menti più aperte, la bohème letteraria era spregiudicata e il discorso erotico non disgiunto da quello prettamente intellettuale.

A Vienna, Lou ebbe un grande amore, il medico Friedrich Pineles. Fu un sentimento fortissimo e segreto, e durò per molti anni. Ma Lou non sapeva cosa fosse la fedeltà, non vi credeva, convinta che fosse impossibile mantenere quella promessa per gli esseri umani, i quali, per natura, esigono il cambiamento. Quindi, fedele invece alla sua indole e alla sua pelle, non lasciando mai Pineles e continuando ad amarlo nei loro incontri, volò verso un’altra libertà e s’innamorò ancora e contemporaneamente, stavolta come una donna che conosce un uomo, ne desidera il corpo e vive con lui la sintonia dell’appartenersi delle anime, del possedersi.

Lui era un poeta allora ancora poco conosciuto ma che sarebbe diventato un grande, Rainer Maria Rilke. Lo conobbe a Monaco, presentatogli dagli amici del quartiere bohemienne di Schwabing dove erano soliti radunarsi. Lui aveva letto il suo Gesù l’ebreo ammirandone intelligenza e riflessioni argute, e si era innamorato di lei a distanza. Anonimamente le aveva scritto lettere e poesie. Quando l’ebbe conosciuta la volle non solo nello spirito. Rilke era di aspetto fragile, pallido, magro, ma aveva una forte carica energica e virile. Lou capitolò a dispetto della differenza di età, lei avrebbe potuto essere sua madre, e il loro fu quel tipo di amore che incarnava la follia. La lirica e disincantata adorazione di Rilke verso l’amata disarmò qualsiasi resistenza, toccò Lou nella sua emotività, nella sua parte delicata e poetica, ma le entrò anche nel copro, nelle viscere, nel desiderio scevro. Lui rappresentava due realtà, il volo delicato del carme, e l’amante volitivo ed esigente. A questo binomio, lei non seppe resistere. Scrive di lui nelle Memorie: “Sono stata per anni la tua donna perché tu sei stato per me la prima realtà, uomo e corpo inscindibili l’uno dall’altro, realtà incontestabile della vita stessa. Avrei potuto ripeterti io pure, alla lettera, le parole che tu mi dicesti nel confessarmi il tuo amore ‘Tu sola sei reale’. Per questo siamo marito e moglie prima ancora di diventare amici, non per scelta, ma per l’insondabile mistero di questa unione compiutasi quasi al di fuori della nostra volontà. Non due metà che si cercavano; ma la nostra totalità che si riconosceva tremante in un’unità incomprensibile, preordinata. Così fummo fratello e sorella, come in un passato lontano, prima che l’unione del fratello con la sorella divenisse sacrilegio”.

Furono tre anni di poesia e amore. Lou influenzò l’opera di Rilke; le sue splendide liriche soffrivano all’inizio di troppa oscurità, divenendo fuggevoli alla comprensione; fu grazie al consiglio di lei se egli iniziò a scrivere in maniera più semplice esprimendosi a partire dalle cose quotidiane. Lui stesso le scriveva ancora dopo la loro rottura e parlando del loro incontro: “Il mondo perse per me il suo aspetto nebuloso, quel continuo fluire di sensazioni e di cose che si formano e si dissolvono, che era la maniera e anche la povertà dei miei primi versi; le cose assunsero il loro valore, divennero animali che si distinguono, fiori che esistono; da te appresi la semplicità, imparai lentamente e con difficoltà come tutto è semplice e acquistai la maturità sufficiente per dire le cose semplici. E tutto questo avvenne perché ebbi la fortuna di incontrarti, allora, mentre per la prima volta ero in pericolo di perdermi nell’informe”.

I versi di Rilke di quel periodo conservano il segno delle passeggiate con Lou nei boschi, dei piedi nudi a cercare l’aderenza con la terra, delle mani il contatto della pelle; e recitano le parole di lei che esaltano la meraviglia attonita davanti alla bellezza, al miracolo del creato, a tutta questa vita che con gioia va vissuta, con immensa instancabile vitalità e stupore, così come lei viveva assaporando ogni attimo, così come gli aveva insegnato:

La terra è lieve e buio il pergolato,

e tu parli piano e un miracolo si avvicina.

E ogni tua parola pone la mia fede

Come immagine di preghiera sul mio sentiero silenzioso.

Ti amo. Tu riposi nella poltrona del giardino

e le tue mani dormono, bianche, in grembo.

Reggono la mia vita come una spola d’argento.

Ti prego, sciogline il filo.

Insieme viaggiarono attraverso l’Europa e la Russia, conobbero Tolstoy e attraversarono i paesi sul Volga amando lo spirito del popolo russo, l’infantilismo e la passionalità del carattere, la religiosità ingenua e primitiva, vivendo come una festa le notti dentro l’ibsa fumosa dove soggiornarono, i cieli lattei, le distese infinite della terra che sembravano, in quella infinità nuda, ricalcare il loro amore.

Poi anche questo idillio finì, ma Rainer e Lou si amarono, e il loro amore vivrà perenne dentro ai versi. “Tu mi hai preso il cuore mia sorella, mia sposa”. Quel cuore, Rilke, non lo dimenticherà mai.


Silvia Penso

Silvia Penso

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto