Mi ricorderò di te, Mary South, trad. di Stefano Pirone
Pidgin, 2022

Il segreto dello stile non è adattarsi a uno scenario dell’immaginazione, ma farlo all’emotività umana. Alla vibrazione del sentire che ha il potere (distruttivo) di trascinare potenzialmente ovunque, molto in alto, molto in basso, in posti inquietanti, oscuri e kitsch. Questo pregio lo ha tutto l’ultima raccolta edita da Pidgin Edizioni, Mi ricorderò di te, scritta da Mary South.
La letteratura del futuro, più o meno distopico, tocca picchi molto interessanti quando lascia il posto non all’improbabilità estrema, ma allo scivolamento tollerato, minimale, come fosse già accaduto, come fossero passati solo pochi decenni plausibili, verso una realtà che già in fondo viviamo, anche non accorgendocene. La riflessione sul progresso tecnologico in tutti i media artistici sempre arriva a note critiche e spaventate; eppure conosco ingegneri che non sono mai pessimisti sul rapporto con la tecnologia, che un po’ non ritengono che raggiungeremo lo sviluppo adatto a fare della tecnologia, un universo così parte di noi che potremmo definire il nostro settimo senso, un’entità senziente volta al malevolo; un po’ ritengono che non accadrà proprio perché essa rimarrà sempre in mano nostra. E quindi si rimbalza il pallone di questo perenne moderno dubbio circa il destino della tecnologia agli artisti.
Mary South non sembra essere negativa sul rapporto con l’ultra-reale; nella sua declinata narrazione non è pessimista come Charlie Brooker in Black Mirror, non è inquietata come notevoli esempi già pubblicati da Pidgin (vedi Natalia Guerrieri https://quaerere.it/sono-fame-di-natalia-guerrieri-ecco-perche-non-si-dovrebbe-mai-fare-un-piano/) e soprattutto non è giudicante, quasi mai. È solo una, come noi e forse come i nostri figli, che vive una settima dimensione, in cui vigono un impoverimento di contenuti, sì, e manifestazioni scialbe di intelletto, ma non troppo diversamente che dalla realtà comune.
Non c’è dubbio che il nostro legame col tecnologico ci stia sfibrando, in quanto creature intellettuali. L’impoverimento di cui prima sembrerebbe provenire da una dipendenza che abbiamo lentamente ma ineluttabilmente instaurato col veloce e col facile. Questi non sono mai lontani dallo sciatto, dal perverso, dallo strambo e dal malizioso. Ma quello che farà sempre da contraccolpo all’emotività asettica che parla in codice binario, e si stordisce su video di mezzo minuto strabordanti di musica e parole, è l’emotività umana. A dire che essa, quando presente, è l’unica energia capace di penetrare i mezzi e le circostanze.
Questo è molto ben espresso in un racconto che dà il nome alla raccolta di Mary South, Mi ricorderò di te, in cui una vittima di stupro finisce per innescare un meccanismo di stalking, sia social che reale, nei confronti del suo stupratore. In questo racconto una fine riflessione sul controllo di ciò che facciamo in rete, rappresentato dal lavoro stesso della donna, moderatrice di contenuti online, si scontra a gran tenzone con i sentimenti, eterni, di chi subisce il male ed è lasciato a raccogliere se stesso. Con la nostra parte creaturale, anche, che a volte si rende all’altezza dell’incomprensibilità del mondo con meccanismi folli, violenti verso la propria anima, perduti. Nel racconto, pervaso dallo scenario urbano dei nuovi potenti (i geni tech a capo di continue start up per connettere gli esseri umani nell’ultra-mondo) e dagli schermi coi video shock della rete, l’anima ferita della donna si fa gemella del leone di montagna di Mountain View, che va depredando le case dei quartieri bene e che tutti ritengono esistere, ma nessuno ha mai visto veramente.
«Non capisco perché abbiamo bisogno di altri strumenti per connetterci con gli altri. A volte non conosciamo le persone che conosciamo già. Quello con cui stai, quello che ti fa sentire fortunata di essere innamorata, potrebbe rivelarsi uno stupratore».
Mi ricorderò di te, Mary South, pg. 157
I traumi sono al centro della raccolta di Mary South. Quelli che pongono lo stesso eterno quesito ai feriti e agli spiriti rotti, i quali chiedono appunto solo d’essere ricordati. E non nella maniera crudele delle reti del web, («Quando saremo morti e marciremo sottoterra o verremo cremati e trasformati in cenere, le nostre vagine saranno ancora su un server da qualche parte per gli occhi di tutti», Mi ricorderò di te, pg. 145), ma nella maniera gentile che appartiene solo alle corde dei cuori umani.
Keith dimora in se stesso come un parcheggio durante una nevicata, un modo di esistere che io non sono capace di imitare. Lui non ha quella fame di appartenere al mondo che in così tanti proviamo.
Mi ricorderò di te, pg. 11
Così scenari che sono andati un passo troppo oltre nel mondo connesso formano lo sfondo delle storie della raccolta: un centro di fornitura d’organi in forma di umanoidi creati in laboratorio che si trova ad affrontare una coscienza senziente; un ospizio in cui gli infermieri mettono su un sistema di registrazione delle telefonate erotiche degli anziani lì accuditi; un centro di ritiro che ospita uomini che hanno la possibilità di succhiare il latte dal seno di una ragazza; la sezione Q&A di una clinica privata che si propone di dare risposte sulla craniotomia; l’intervista di una giornalista a un’architetta geniale promotrice di un’architettura-mostro in cui la tecnologia cerca di rendere materiale la corporalità umana; un campeggio di riabilitazione per troll di internet in cui uno degli adolescenti rinchiusi tenta la fuga in seguito a attacchi di bullismo; un gruppo di fan di una serie tv elabora il lutto della perdita d’infanzia quando l’attrice della loro eroina decide di sottoporsi alla chirurgia plastica; un marito elabora la morte della moglie messaggiando con il suo presunto fantasma; una madre elabora il rapimento e la morte della figlia attraverso continui cloni di una bambina plasmata dai ricordi impostele delle sue precedenti vite.
Ma, nell’economia della narrazione, questi scenari sembrano rimanere scenari e non rubare la scena al vero tema della raccolta: quello dei sentimenti vividi e corporei, sentimenti debordanti e palpitanti, mai anestetizzati dal mezzo del racconto, il mezzo -tecnologia, che in altri contesti è usato per esaltare l’annebbiamento dell’umano. L’umano, qui, è così umano da trascinarsi fuori dal contesto narrativo stesso. E questo è ottenuto attraverso una mimesi dello stile a tutto tondo e a tutta profondità, come se l’umanità si portasse appresso la narrativa. Questo dolore che sento, una fame viva in ogni cellula. (Mi ricorderò di te,pg. 129)
Che nessuno dica che il linguaggio non è materiale. (Mi ricorderò di te, pg. 115)
Sono tutte storie sulla paura di restare orfani o di essere espulsi dalla famiglia ed essere lasciati alla mercé di mostri. Oggigiorno è l’opposto, non è così? Abbiamo il mondo adulto terrorizzato all’idea di essere divorato dall’infante (Mi ricorderò di te, pg 117)
I traumi riguardano perdita e superficialità, una sostanziale mancanza d’amore che unisce tutti i personaggi delle storie, i quali trasportano lo stile trascinandolo su e giù in onde più o meno umoristiche, rozze, emotivamente dense, fantasiosamente bizzarre, scurrili persino. Madri noncuranti, padri violenti, lutti improvvisi, nevrosi, la tristezza di vivere, l’imperscrutabilità delle persone, la deformazione fisica, la lontananza dall’amore, l’assalto fisico, la solitudine sono i sentimenti che fanno e disfano i protagonisti della raccolta.
Scarichiamo tutti la tensione e sentiamoci meglio riguardo alla nostra vita, mentre ammazziamo i nostri recettori dell’empatia. (Mi ricorderò di te, pg. 177)
Forse il problema era che oggigiorno il mondo era troppo pieno di persone dimenticate da Dio. (Mi ricorderò di te, pg. 185)
La critica sociale sottintesa alla raccolta, che non si svolge mai in maniera eclatante, è se la tecnologia ci sta davvero fagocitando oppure restiamo sempre noi gli dèi col pugno di ferro, vera origine di tutti i mali del mondo, costituiti per lo più dall’incapacità di essere all’altezza dei sentimenti altrui.È giusto imporre la coscienza sugli altri?, chiede Mary South. In una certa maniera, il mondo connesso schiaffa in faccia a tutti, in ogni istante, i sentimenti di tutti; rende partecipe di idee mal formulate, di paure e convinzioni, e questo contribuisce ad allontanare tutti da tutti. Raccogliendo indizi qui e lì nella raccolta della South, questo ha anche dei lati positivi, lati che noi tutti, nella nostra intimità, alle volte proviamo di fronte a un cellulare. Siamo di più, in ogni momento, e questo ci consola, come consola alcuni personaggi della raccolta.
«Come pensi che sarà la nostra generazione quando arriveremo a quello stadio? I vecchi si faranno le seghe su montaggi di gente che eiacula invece di telefonare a donne e chiedere loro di comportarsi da infermiere ninfomani? Queste sono le domande dei nostri tempi». Mi ricorderò di te, pg. 36.
Quando vivevamo in società di tribù nomadi come quelle delle pitture rupestri in Laos, tutti conoscevano tutti per nome. Ciò significava che se eri malato o se quel mese avevi bisogno di carne di cinghiale in più, i membri della tua tribù intervenivano per dare una mano a un amico, ma se eri una testa di cazzo, suonavano un gong e ti accerchiavano e ti lapidavano a morte. Era qualcosa di intimo. Non potevano arrivare pezzi di merda aziendalisti con disinvoltura, estorcerti focolare e capanna, per poi non doverti neanche guardare negli occhi. I troll non potevano photoshopparti un hot dog in bocca impunemente o twittare che eri la copia sputata di Rob Reiner in Arcibaldo e continuare a menzionarti nei loro thread su Rob Reiner in Arcibaldo. Appartenevi a qualcosa. Il lato negativo era che eri costretto a rimanere con quelle persone. Nel mondo moderno ti dimenticano facilmente, ma potresti anche scavarti una tua nicchia. Potresti trovare un posto che fa per te.
Mi ricorderò di te, pg. 186
La parte migliore di questi racconti rimane ancora la loro costruzione. Ogni racconto presenta un’architettura e un tempismo sapiente. I risvolti sono studiati, degni della sintesi di un dinosauro di sceneggiatura, con stampo cinematografico e a volte fanfarone, stringente, furbo. E lo stile della South è superbo, perfettamente calato e denso, multiforme, non privo di un cinismo strutturato, divertente e mai irrancidito. Sono notevoli alcune incursioni nel genere -ad esempio nella fantascienza, anzi, ancora meglio, nel filtro del genere della fantascienza dagli occhi degli appassionati sfegatati che la adorano attraverso lo schermo di un computer; oppure nel soprannaturale, attraverso un paio di storie di fantasmi declinate da app di messagistica e dal più classico espediente dei cloni. L’ingegno di questo stile è tutto evidente nella declinazione del punto di vista, con l’uso di quasi tutti pronomi nelle narrazioni.
Tutto questo rende Mi ricorderò di te un’ode alla narrazione più pura, una raramente fondata sull’emotività e sul gioco della lingua, che ricerca, come dovrebbe sempre, la sua radice umana. Questo è quello che salva l’universo della tecnologia e, in ultima analisi, prima noi stessi.
Ci vorrebbe un organo che raccogliesse la sofferenza, che la filtrasse attraverso un labirinto flessibile di lobi o valvole, e quell’istmo di tristezza dovrebbe anche essere sostituibile, una volta consumato, ché così come un Keith non ha nulla da sognare, non ha neanche nulla da rimpiangere. Il suo organo della pena resterebbe sempre rosa e vitale. Mi ricorderò di te, pg. 16.
Mr. Rogers: Vorrei baciarti.
Jill: Intendi per telefono?
Mr. Rogers: Sì, per telefono.
Mi ricorderò di te, pg. 39.
Chantal Salvinelli