Noam Chomsky: grammatica universale e innatismo linguistico (parte III)

Il presente articolo è il terzo di una serie di tre, rispettivamente nominati: “Introduzione”, “GU, teoria dei P&P, l’operazione di Merge” e “Innatismo della facoltà del linguaggio”. Clicca qui per leggere la prima parte e la seconda parte!

Innatismo della facoltà del linguaggio

Un caso a favore della tesi dell’innatismo linguistico è quello dei bambini affetti da disabilità uditiva. Poiché negli anni ’50 non esisteva ancora l’ASL (American Sign Language) ai bambini veniva insegnata la lettura labiale. Tuttavia, essi cominciarono di loro spontanea volontà ad usare un linguaggio non verbale. Di per sé questo è un fatto piuttosto comune: molti animali comunicano in modo non verbale, come il cane che muovendo la coda indica gioia, o il gatto che rizzando il pelo indica spavento o aggressività. Ma l’ASL presentava una caratteristica che nessun altro linguaggio animale possedeva: la ricorsività, applicata usufruendo della regola di Merge. Bambini che non avevano mai ascoltato una parola riuscirono a creare un linguaggio computazionalmente generativo (il caso è presentato a più riprese in Chomsky 1988 e in Berwick & Chomsky 2017). Può l’origine del linguaggio coincidere con l’emergenza dell’operazione di Merge?

Le aree di Broca e di Wernicke e la MRI

Un altro caso a favore è stato osservato in scienza cognitiva: in parlanti tedeschi privi di qualunque nozione di italiano come di giapponese, la ripetizione di frasi (prive del principio di struttura) come “Paolo mangia la no pera” o “Paul wa nashi nau o taberu”, “Pera la mangia Paolo” o “Taberu o nashi wa Paul”, ed altre ancora, non attiva i centri cerebrali specializzati nell’uso del linguaggio, ma quando si comincia a parlare per davvero producendo frasi come “Paolo mangia la pera” o “Paul wa nashi o taberu”, allora nel cervello dell’ascoltatore si attivano le aree cerebrali disposte al corretto funzionamento della facoltà linguistica: l’area di Broca e quella di Wernicke.[1]

Come si fa a capire che queste aree si attivano? Sfruttando una macchina MRI (Magnetic Resonance Imaging) puntata sul cervello dei parlanti tedeschi mentre ascoltavano le frasi non grammaticalmente corrette si è potuto constatare che i livelli di ossigeno nel sangue di alcune aree rimaneva imperturbato. Il cervello, infatti, richiede, proprio come i muscoli, un certo dispendio energetico per poter funzionare e questo dispendio si traduce nell’afflusso di sangue e ossigeno in quelle aree pronte ad eseguire un lavoro.

Il valore che misura il livello di ossigeno nel sangue si chiama BOLD. Man mano che ai parlanti tedeschi venivano sottoposte frasi di italiano o giapponese corrette il valore BOLD aumentava nell’area di Broca, dando luogo ad una correlazione positiva. Ma quando i parlanti ascoltavano frasi sgrammaticate, o prive del principio di struttura, sia in italiano sia in giapponese, allora il valore BOLD rimaneva fisso, dando quindi luogo ad una correlazione negativa (Moro et alii 2003).

Questo esperimento è importante perché sembra suggerire, o confermare, due conclusioni a cui le tesi di Chomsky avevano già accennato e senza le quali, forse, gli scienziati cognitivi non sarebbero stati in grado di sapere cosa cercare nel loro esperimento: la prima conclusione è che l’acquisizione di lingue conformi ai princìpi della GU è una caratteristica biologica, che è determinata dall’attivazione di alcune specifiche aree cerebrali la cui funzione è riconoscere e adoperare la facoltà del linguaggio, la seconda è che per quanto le lingue siano superficialmente diverse, nondimeno restano molto simili strutturalmente, tanto simili da riuscire ad attivare i centri specializzati nell’uso e nell’acquisizione del linguaggio (Moro et alii 2003) in un parlante totalmente ignaro del contenuto delle frasi prodotte in una certa lingua. L’ascolto o l’applicazione della regola di Merge è un dato essenziale per lo sviluppo del linguaggio in Homo sapiens?

Il caso di Genie: l’importanza dell’esercizio delle aree del linguaggio

Tristemente noto, poi, è il caso (risalente agli anni ’70) di Genie, una bambina che era stata abusata dal padre, il quale la rinchiuse in una stanza isolata dal resto del mondo, privandola di ogni contatto umano. Non le venne insegnata alcuna lingua. Una volta salvata, gli psicologi ed i medici appurarono che all’età di 13 anni ella non aveva ancora acquisito una lingua madre. Gli sforzi per insegnarle a parlare furono, però, poco proficui. Nonostante Genie avesse appreso un discreto numero di parole, le sue difficoltà nell’uso di regole grammaticali sembravano ostacolare la sua normale acquisizione del linguaggio e, infatti, non imparò mai davvero l’inglese.

Le sue abilità linguistiche, anzi, andarono riducendosi col tempo. Gli scienziati giunsero a credere che, passato il periodo critico in cui un bambino è in grado di acquisire tutte le informazioni necessarie per sviluppare le aree cerebrali specializzate nell’uso del linguaggio, non sia più possibile imparare alcuna lingua. Non è sorprendente, alla luce di quanto mostrato da Moro (in Moro et alii 2003), la constatazione dedotta tramite ECG che le aree di Broca e Wernicke di Genie non erano completamente funzionanti (Curtiss 1977). Se è così, allora il tragico caso di Genie suggerisce che le aree predisposte in modo innato allo sviluppo della facoltà del linguaggio vadano esercitate affinché vengano attivati i canali neuronali predisposti alla capacità di usufruire del linguaggio. Lo stimolo ambientale è tanto necessario per il linguaggio così come lo è per il camminare: non si imparerà a farlo senza un genitore che si impegni a fornire al bambino degli input minimi, perché altrimenti le aree predisposte evolutivamente per svolgere un certo compito si atrofizzeranno.

Linguaggio come facoltà della mente

Un più teoretico argomento risale allo stesso Chomsky (Chomsky 1959, 1968, 1980), il quale conclude che se l’intero linguaggio si acquisisse esclusivamente tramite apprendimento e/o correzione degli errori (come riteneva la scuola più influente dell’epoca, ossia quella degli psicologi comportamentisti capeggiata da Burrhus Skinner), allora la gamma di stimoli recepiti dal bambino sarebbe troppo povera per provvedere ad una conoscenza esaustiva del linguaggio. Se gli stimoli sono insufficienti, allora il linguaggio deve già essere una facoltà a cui la mente è predisposta, o preadattata. Consideriamo le seguenti frasi inglesi:

(8)  The girls are dancing.

(9)  Are the girls dancing?

Un bambino che voglia comprendere come si deriva (9) da (8) deve formulare due ipotesi:

(H1) Individua la prima occorrenza di V e spostala all’inizio.

(H2) Individua l’occorrenza di V che segue l’SN e muovila all’inizio.

La regola (H1) è più semplice e può, perciò, fungere da ipotesi di lavoro. Ma se la poniamo al test di (10), (11) e (12), indicando l’SN fra parentesi quadre, vediamo che essa è inadeguata:

(10)  [The girl who is in the castle] is Lara’s daughter.

(11)  Is [the girl who in the castle] is Lara’s daughter?

(12)  Is [the girl who is in the castle] Lara’s daughter?[2]

La (11) è costruita a partire da (10) usando (H1), mentre la (12) è costruita usando (H2). Frasi come (12) sono rare per i bambini nel periodo critico dell’apprendimento del linguaggio –e questo è uno dei motivi per cui Chomsky parla di povertà dello stimolo– eppure essi intuiscono che la (12) è corretta e la (11) no, a prescindere da ogni parametro non ancora appreso. Noi non impariamo che (H2) è corretta, la applichiamo istintivamente perché è la regola che lavora sulle proposizioni tramite Merge.[3] È la regola che corrisponde al principio della struttura, una predisposizione genetica delle aree del cervello deputate alla facoltà linguistica (i.e. un’abilità ricorsiva) che ci permette di ricostruire la sede corretta del verbo in base a legami di struttura.

Si evince che Merge deve essere il nucleo dell’attività computazionale, il cuore del \mathcal{L}_I ed il carattere specifico del linguaggio umano. Quali sono, però, i tratti comuni tra linguaggio umano e animale? Per entrambi sembra essere imprescindibile l’esistenza di un sistema senso-motorio, che è essenzialmente fonetico.

L’emissione di suoni conduce uno stimolo ad un ascoltatore che, se dotato delle stesse capacità linguistiche dell’emittente, riesce a decodificare il significato dei suoni. Deve esservi, allora, anche un sistema concettuale che interpreta, inferisce, organizza sia nell’atto produttivo degli enunciati sia nell’atto ricettivo e che è comunemente chiamato “pensiero”.[4]

Cos’è il linguaggio?

Il linguaggio è, quindi, articolato in (a) un sistema computazionale che si interfaccia con (b) un sistema senso-motorio e (c) con un sistema concettuale. Questo modello tripartito dà spazio a due possibili teorie sulla facoltà del linguaggio:
1. la teoria FLB (faculty of language – broad sense);
2. la teoria FLN (faculty of language – narrow sense).

La teoria FLB sostiene che l’intero insieme formato da (a), (b) e (c) definisca il linguaggio umano, mentre la teoria FLN sostiene che la sola (a) sia sufficiente a definirlo.[5]
La questione è ancora aperta e innumerevoli sono gli spunti di riflessione; in questa sede sarà opportuno chiedersi: qual è il punto di vista di Chomsky in merito? Che cos’è, per Chomsky, il linguaggio? È FLN, come indicato dalla seguente figura (Hauser et alii 2002):

Hauser et alii, 2002

Il linguaggio umano coincide con la proprietà ricorsiva, ovvero con l’uso ed il riconoscimento dell’applicazione della regola di Merge. Vediamo perché, procedendo però prima ad escludere la tesi FLB.

L’omologia evolutiva e l’interfaccia concettuale

Gli studi comparativi sul linguaggio umano e non-umano hanno mostrato un aspetto interessante: supponendo che il linguaggio sia FLB, allora esso è condiviso da alcune specie e non da altre. Per quanto concerne l’interfaccia comunicativa, ovvero senso-motoria, quindi fonatoria, vocale e in un certo senso percettiva, essa è condivisa da uomini e da uccelli canori (Hauser et alii 2003). L’interfaccia comunicativa implica la presenza, nelle specie che ne sono dotate, di una abilità particolare: l’imitazione sonora. Sia gli uomini sia, per esempio, i pappagalli sono in grado di imitare i suoni che ascoltano, così come i delfini. Nelle scimmie come gli scimpanzé, invece, questa capacità imitativa sonora è assente (Hauser et alii 2003).[6] Se i nostri più stretti cugini non dispongono del linguaggio come FLB, allora il linguaggio come carattere comune a umani, uccelli e alcuni mammiferi marini non è frutto di una comune storia evolutiva, perché altrimenti anche gli scimpanzé dovrebbero possederlo, o comunque averne una traccia, ma è il risultato di una omologia evolutiva, ossia di una evoluzione convergente ma storicamente indipendente da cui non è possibile ricostruire la parentela genetica fra le specie FLB-dotate.

Per quanto riguarda l’interfaccia concettuale, invece, la questione è più intricata e di non facile risoluzione. L’unico dato a favore per una sorta di presenza della mente (che svolge la computazione) nei primati quali lo scimpanzé è che essi sono in grado di contare. Uno scimpanzé è perfettamente in grado di contare per esempio. Tuttavia, anche quest’abilità è strettamente limitata: non è in grado di contare all’infinito, in altre parole non è in grado di gestire infinità discrete, che è un compito qualitativamente molto differente e che conduce dal linguaggio come FLB a quello come FLN (Hauser et alii 2003). Uno scimpanzé, dunque, non è dotato di un’interfaccia concettuale sufficientemente potente da poter generare le regole grammaticali.

Il linguaggio umano si è sviluppato a fini comunicativi?

Sembrerebbe perciò che il linguaggio in quanto interfaccia comunicativa sia un carattere comune nel regno animale, ma per quanto riguarda l’attività computazionale è esattamente il contrario. Vi sono alcune specie che dispongono solo di interfaccia senso-motoria, o comunicativa, ma a cui manca una vera e propria capacità ricorsiva: non dispongono di un linguaggio nel senso di FLN e pertanto, a differenza di noi umani, non sono capaci di gestire le frasi in quanto infinità discrete (Hauser et alii 2003). Quest’ultimo fatto conduce la ricerca linguistica intorno ad un’altra questione: il linguaggio umano si è sviluppato a fini comunicativi?

Se la teoria del linguaggio come FLN sembra essere l’unica adeguata a descrivere il linguaggio umano, allora la risposta è: no, non è per la comunicazione che il linguaggio è stato sviluppato (dato che lo strumento più semplice era già disponibile, ossia l’interfaccia senso-motoria che esternalizza i contenuti tramite la voce). Il linguaggio umano si è sviluppato, invece, per organizzare i propri pensieri. L’efficienza computazionale a discapito dell’esternalizzazione totale di ogni contenuto interno della mente è una prova che il linguaggio si è sviluppato non direttamente per la comunicazione, ma è stato successivamente riadattato per essa.

L’argomento di Chomsky, ancora una volta, è di tipo formale, cioè fa uso di categorie sintattiche e di strutture della frase. In particolare, egli fa riferimento alle cosiddette categorie vuote, ossia ad una categoria come NP che è presente nella struttura interna della frase ma che non viene pronunciata nell’esternalizzazione fonetica, cioè quando si parla.

Consideriamo, dunque, la seguente frase:

(13) Gianni si rade.

Semplificando un po’, sappiamo che il verbo richiede l’esistenza di un NP come complemento, per cui la struttura di (13), se non si vogliono introdurre nuovi elementi sintattici al di là di quelli già presenti[7], deve essere organiz-zata così:

(14). [_{NP}\ Gianni] [VP rade si].

Il “si” funge chiaramente da complemento del verbo radere. Tuttavia, così espressa tale struttura non funziona, perché il “si”, essendo un clitico con funzione pronominale, deve riferirsi a qualcosa. Il solo sintagma verbale “rade si” non sarebbe ben formato. Dobbiamo supporre, perciò, che per rendere “rade si” intelligibile e sensato, al posto del “si” doveva esserci un nome. Quel “Gianni”, unico nome disponibile in (13), si deve essere spostato frontalmente a sinistra per via del parametro della grammatica italiana che impone al soggetto di precedere il verbo, ma prima dello spostamento esso doveva fungere da complemento del verbo nella mente del parlante. Ecco qual è la struttura corretta di (13) nella mente del parlante:

(15). [_{NP}\ Gianni] [VP si rade t]

In conclusione

Con  che indica una traccia, o copia, del nome “Gianni” lasciata nella sua mente dopo lo spostamento (Chomsky 1988). Chiamiamo le categorie di questo tipo categorie vuote, perché il loro contenuto è determinato da qualche altro elemento della frase. Nel caso di (15) il contenuto di  è legato a Gianni, con quest’ultimo che poi ha obbedito al parametro della testa. Per rendere più esplicita la traccia lasciata si potrebbe anche scrivere l’occorrenza della traccia per intero ma barrandola, come se la si volesse cancellare:

(16). ``[NP Gianni] [VP si rade Gianni]''.

Ma perché non viene ripetuto “Gianni” formando una frase del tipo “Gianni rade Gianni”? Perché la soppressione della seconda occorrenza del nome, come in (13), è computazionalmente più efficiente, seppur comunicativamente meno efficiente, dato che l’ascoltatore dovrà ricostruire la frase (15) a partire dalla frase (13). Il conflitto fra richiesta computazionale e richiesta comunicativa viene risolto in favore della prima e questo è un argomento a favore dell’utilità del linguaggio come strumento del pensiero prima che come strumento comunicativo (Berwick & Chomsky 2017). In altre parole, il linguaggio è innanzitutto una specificità umana di tipo FLN.


[1] Moro et alii 2003.

[2] Cowie 2017.

[3] Ibidem.

[4] Berwick & Chomsky 2017. Anche Fodor (1975) parla di un linguaggio della mente, o del pensiero.

[5] Hauser et alii 2002.

[6] Per la verità, non è solo la capacità imitativa sonora a mancare nelle scimmie ma anche la capacità ricorsiva. Molti sono stati i tentativi di insegnare il linguaggio agli scimpanzé, uno fra i più noti è quello di Nim Chimpsky (nominato così in onore di Noam Chomsky), a cui venne insegnata la lingua dei segni americana. Purtroppo, lo studio evidenziò che Nim non aveva mai davvero imparato a parlare l’ASL e che, anzi, egli rispondeva a interazioni linguistiche involontariamente suggerite dalla sua insegnante. Anche comprendendo il significato di alcune parole, egli dimostrava di non riuscire a comprendere differenze di struttura e le frasi che produceva si fondavano non tanto sulla capacità ricorsiva di collegare sintagmi, quanto piuttosto sulla memoria dei gesti prodotti poco prima dalla sua insegnante. Si veda per ulteriori approfondimenti Terrace 1979

[7] Il principio di Occam, o principio di economia, ricopre un ruolo d’enorme importanza in linguistica: nella spiegazione di una formazione sintattica non si deve postulare l’esistenza di nuovi oggetti sintattici non già presenti nella frase. Altrimenti, per esempio, si potrebbero creare nuove categorie moltiplicando il numero delle categorie, ma rendendo ingestibile la trattazione di frasi analizzabili già solo con le categorie di base come “Miriam corre”.


In copertina, 2001 Odissea nello Spazio, S. Kubrick

Matteo Orilia

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto