Noam Chomsky: grammatica universale e innatismo linguistico (parte II)

Il presente articolo è il secondo di una serie di tre, rispettivamente nominati: “Introduzione”, “GU, teoria dei P&P, l’operazione di Merge” e “Innatismo della facoltà del linguaggio”. Per leggere la prima parte clicca qui!

GU, teoria dei P&P, l’operazione di Merge

Ci si può ora occupare di P&P, proponendo qualche esempio sia di principio sia di parametro, per comprendere più facilmente la differenza fra queste due unità linguistiche e la loro derivazione a partire da GU. Introduciamo la discussione a partire dalle parole dello stesso Chomsky:

“Una teoria della facoltà del linguaggio è ciò che talvolta viene definito grammatica universale […]. La grammatica universale mira alla formulazione dei princìpi che entrano nel funzionamento della facoltà del linguaggio. La grammatica di una lingua particolare rende conto dello stato della facoltà del linguaggio successivo al contatto con i dati forniti dall’esperienza; la grammatica universale rende conto dello stato iniziale della facoltà del linguaggio precedente ad ogni esperienza. […]. I princìpi della grammatica universale non conoscono eccezioni perché costituiscono la facoltà stessa del linguaggio, cioè lo schema costitutivo di ogni particolare lingua umana, la base per l’acquisizione del linguaggio. […] i princìpi della grammatica universale sono dotati di parametri, che possono essere fissati sulla base dell’esperienza in un modo o nell’altro.”[1]

GU permette l’esistenza di un lessico di base formato dalle seguenti categorie: verbi (V), nomi (N), aggettivi (A), adposizioni (P), con quest’ultime che possono essere preposizioni o posposizioni. Gli elementi di base del lessico sono di questo tipo, sebbene non tutti gli elementi del lessico siano di questo tipo. Un determinatore, per esempio, non è un elemento di base ma è un elemento del lessico.[2] Esaminando i sintagmi possibili, ci si accorge che il principio che regola la struttura di ogni sintagma è il seguente:

(P1)  \forallX (SX = X - SY)

La formula si legge così: per ogni categoria di base X (V, N, A, P) esiste un sintagma SX tale che la categoria lessicale X è la sua testa ed il sintagma SY è il suo complemento (con SY che è costruito anch’esso in accordo a (P1)).

In altre parole, quando al parlante si presenta una categoria che sia o un verbo, o un nome, o un aggettivo, o una adposizione, allora questi può costruire un sintagma unendo quella data categoria con un’altra categoria.

La prima categoria, che funge da testa (perché senza di questa la seconda non potrebbe sussistere da sola) e la seconda, che funge da complemento (perché questa specifica una proprietà o un aspetto della prima) formano o un sintagma o una frase.

Qualche esempio

Dati, per esempio, “Miriam” e “corre” vediamo che il primo termine rientra nella categoria dei nomi ed il secondo nella categoria dei verbi. Unendo un nome e un verbo otteniamo una frase completa: “Miriam corre”, che rispetta il principio poc’anzi presentato. Dati, poi, la terza persona singolare del verbo andare declinato al presente, cioè “va”, e “da Miriam”, allora sarà generabile “va da Miriam”, che non è una frase –perché manca il soggetto – ma è quanto meno un sintagma, nella fattispecie un sintagma verbale, che comunque rispetta il principio (P1). Una conferma pratica di (P1) presentata in Chomsky 1988, inoltre, è questa:

(P1) SV = V - SN = parlare l'inglese = [{SV}[_V\ parlare] [SN l'inglese]].\\ SN = N - SN = traduzione del libro = [{SN}[N\ traduzione] [SN del libro]]].\\   SA = A - SN = pieno d'acqua = [{SA}[A\ pieno] [SN d'acqua]]].\\   SP = P - SN = a Gianni = [{SP}[{P\ }a][SN Gianni]]].


L’ordine della frase non conta, la relazione ‘–’ è simmetrica. Il principio della struttura determina la combinazione sintattica dei sintagmi. È noto, però, che l’ordine ha una certa rilevanza nelle lingue naturali ed infatti (2) e (3) sono rispettivamente ben formata e mal formata per un parlante italiano:

2. Gianni compra il pane.
3. Gianni il pane compra.

La correttezza di (2) non è stabilita dal principio (P1), è piuttosto una caratteristica della lingua italiana che il soggetto debba precedere il verbo ed il complemento in una proposizione dichiarativa. Ciò non è previsto da GU, che pone solo condizioni di possibilità e vincoli di variazione alla sintassi, bensì dai parametri che generano i sintagmi reali, ossia quelli appartenenti ad una lingua specifica e che vengono espressi dall’apparato fonatorio.

L’italiano, per esempio, è una lingua SVO: segue l’ordine soggetto-verbo-oggetto. Il parametro che fissa la posizione della testa di SV è appunto detto parametro della testa. Esso varia a seconda delle lingue, infatti in inglese e in giapponese possono costruirsi frasi con ordine diverso come (4) e (5):

4. The picture is hanging on the wall.
5. E wa kabe ni kakatte imasu.[3]

La corrispondenza di ogni parola in (5) con le parole inglesi equivalenti è espressa di seguito:

6. Picture wall on is hanging.

Mentre l’inglese, che è una lingua SVO, accetta il parametro della testa dell’SV a sinistra del complemento, il giapponese predilige il parametro della testa dell’SV alla destra del complemento. Nonostante la differenza parametrica, il principio (P1) resta valido per entrambe le frasi, così esplicitate:

I principi e Merge

Oltre al principio della struttura, in Chomsky 1988 ne vengono presentati altri: principio della proiezione, della copia, dell’anafora, del pronome. Non serve che se ne discuta qui in modo approfondito, basti sapere

  • che la proiezione implica che ogni proprietà lessicale di ogni singolo elemento della frase è conservato ad ogni livello della struttura;
  • che quello della copia è corollario del principio di proiezione: vi sono elementi presenti nella struttura che non sono esplicitati nell’enunciazione della frase;
  • che il principio dell’anafora (un termine il cui riferimento deve essere legato a un altro termine) permette di stabilire che il riferimento dell’anafora è legato entro il dominio minimo del soggetto;
  • e che il principio del pronome afferma che il riferimento del pronome è libero entro il dominio minimo del soggetto.

L’elenco di questi princìpi è importante nello sviluppo della teoria linguistica di Chomsky, perché tutti si riducono all’operazione di Merge. Merge è un operatore diadico M tale che presi come argomento due oggetti sintattici \alpha,\ \beta, produce un insieme a partire da questi (Chomsky 1995). L’operatore M è un formatore di insieme. Possiamo rappresentarlo così:

(M) M\left(\alpha,\ \beta\right)=\left{\alpha,\beta\right}.

Merge e P&P

Con l’introduzione di (M), Chomsky fornisce una solida base al programma minimalista (Chomsky 1995), cioè al programma secondo cui ai problemi riguardanti l’origine del linguaggio, le relazioni che il linguaggio intrattiene con altri sistemi operativi del cervello (il far di calcolo, ad esempio), la tipologia di costruzione sintattica della frase, le caratteristiche proprie di ogni lingua e così via, è possibile rispondere nell’ottica di un unico e medesimo modello teorico che faccia uso di pochi ma efficaci strumenti: Merge e P&P.

Per quanto concerne l’operazione Merge, essa è asimmetrica: o ad \alpha o a \beta viene assegnato un certo ruolo: quello di testa o quello di complemento.

L’insieme formato da M è un nuovo oggetto sintattico: il sintagma. Il secondo componente, P&P, è un’appendice del programma minimalista perché serve a rendere conto delle differenze fra le lingue singolarmente considerate. In realtà, basterebbe anche solo Merge a fondamento della facoltà del linguaggio. Infatti, il programma minimalista mira a dimostrare che le diversità parametriche fra le lingue sono solo apparenti e che ogni parametro ed ogni principio possano ridursi alla sola operazione di Merge (Chomsky 1988, p. 160).

In ogni caso, con la regola (M) è possibile dimostrare almeno tutto ciò che la teoria P&P riesce a dimostrare. Si vedrà una conferma di quanto esposto ricorrendo al seguente esempio. Sappiamo ormai che il sintagma può essere nominale, verbale, aggettivale, adposizionale. Al posto di costruire una frase ricorrendo alle varie regole ricorsive, si potrà ricostruirla facendo uso della sola regola di Merge. La frase da esaminare è questa:


(7) L’uomo scoprì quel mistero.

L’applicazione di Merge si verifica in ogni passo di una derivazione sintattica a oggetti a due a due disgiunti; che ci siano oggetti a due a due disgiunti significa che per formare un sintagma servono sempre almeno due parole e che Merge unisce queste due parole formando un unico oggetto sintattico.

Si rammenterà che prima, per costruire una frase, si doveva fare riferimento ad un bagaglio di regole diverse come quelle nell’elenco (i)-(vi). Con Merge, invece, si inizia generando i sintagmi più piccoli e si procede, poi, applicando di volta in volta la regola sì da formare nuovi sintagmi, fermandosi quando si giunge alla proposizione completa.

La frase (7) si costruirà in quattro passi. Indicheremo con una barra orizzontale una linea di demarcazione fra oggetti sintattici disgiunti al di sopra della barra, dove la regola di Merge non è stata ancora applicata, ed un oggetto unitario al di sotto della barra, conseguente all’applicazione della regola di Merge. Conveniamo d’indicare anche, per pura comodità di lettura, al lato destro della barra l’applicazione della regola di Merge. Si otterrà così una sorta di derivazione della costruzione di (7):

L’operazione di Merge è un fattore costitutivo del \mathcal{L}_I ed indica la presenza di una capacità ricorsiva che distingue il linguaggio umano da quello animale. L’operatore M richiede all’operante una capacità computazionale (cioè la capacità di calcolare le relazioni che intercorrono all’interno di una frase tra i suoi sintagmi) che è la capacità nucleare ed essenziale, unica, del linguaggio umano e che implica anche il ricorso ad infinità discrete (Hauser et alii 2002).

Infinità discrete e infinito potenziale

Ricorrere ad infinità discrete significa che nel linguaggio umano, (a) ogni frase (ed ogni parola) è discreta e (b) che è possibile prolungare una frase all’infinito. Il punto (a) assicura che non esistono frasi di lunghezza 2 e mezzo o 3 e un quarto per esempio, ma solo frasi di una lunghezza che può essere indicata da un numero naturale.

Se una frase ha lunghezza 2 perché è formata da due parole, come “Miriam corre”, allora non è possibile che a questa si possa aggiungere una parola a metà sì da formare una frase di lunghezza 2 e mezzo, come “Miriam corre velocem” con “velocem” in luogo di “velocemente”.

Il punto (b), invece, attribuisce al linguaggio una sorta di infinito potenziale: per ogni frase di lunghezza n si può sempre generare una frase di lunghezza n+1. È la stessa capacità grazie alla quale generiamo l’insieme infinito dei numeri aggiungendo sempre un +1 alla fine del conteggio. Data la frase “Miriam corre” è sempre possibile, in linea di principio, creare una nuova frase, come “Miriam corre velocemente”, poi “Miriam corre velocemente con Marco”, “Miriam corre velocemente con Marco nel giardino”, “Miriam corre velocemente con Marco nel giardino mentre io scrivo” e così via.

Tutto ciò sembrerebbe suggerire che il linguaggio non è privo di alcune specificità che implicano una certa complessità computazionale, cioè sintattica, ed un certo dispendio energetico da parte del cervello: serve un cervello potente per poter gestire uno strumento formato da oggetti che sono sia potenzialmente infiniti sia attualmente discreti.

La capacità di servirsi di oggetti discreti per formare, dunque, sempre una nuova frase è una capacità unica del cervello umano che non è condivisa né dai nostri più stretti cugini (Pan troglodytes, Pan paniscus, Gorilla gorilla, Gorilla beringei)[4] né da altri animali, perché questi non hanno un cervello abbastanza potente per poter gestire un vero e proprio linguaggio (Hauser et alii 2002).

La facoltà del linguaggio, in altre parole, è un’abilità specie-specifica. Ma tutto ciò conduce alla domanda: in che modo tale facoltà si forma nel cervello del parlante? Questo è un caso speciale del problema di Platone (Chomsky 1988): come fa un umano ignaro di ogni lingua, per esempio un bambino, a riconoscere la validità delle costruzioni linguistiche privo di qualunque istruzione o informazione? L’unica risposta soddisfacente per gli standard scientifici odierni è che certi aspetti della nostra conoscenza e della nostra comprensione siano innati, cioè fanno parte del nostro patrimonio genetico[5].


[1] Chomsky 1988, ed. ita. a cura di Moro, A., 1991, pp. 54-55.

[2] Ivi, p. 59.

[3] Cook & Newson 1996, pp. 42-43.

[4] Rispettivamente: scimpanzé, bonobo, gorilla occidentale, gorilla orientale.

[5] Non è stato Chomsky (in Chomsky 1988) il primo a parlarne in questi termini, già l’etologo Konrad Lorenz (in Lorenz 1973) sposò una sorta di kantismo delle forme a priori delle capacità umane su basi evolutive e genetiche. Chomsky ha, però, sicuramente il merito di aver diretto il focus sul linguaggio, fornendo alla psicologia evolutiva, alla scienza cognitiva e alla teoria dell’evoluzione molto su cui discutere all’interno di un programma di ricerca comune.

Matteo Orilia

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