Quaranta Nomi, un viaggio verso Kabul e le sue figure femminili

Quaranta Nomi, Parwana Fayyaz (trad. Lea Niccolai)
Aguaplano, 2022

Parwana Fayyaz nasce a Kabul nel 1990. Ed è proprio da questa origine che si genera l’idea della poesia Forty Names, che è stata premiata nel 2019 con il Forward Poetry Prize, tra i più prestigiosi premi di poesia in lingua inglese.

La sua prima omonima raccolta poetica, Quaranta nomi, è stata pubblicata in UK da Carcanet Press nel luglio del 2021. Aguaplano pubblica la traduzione in italiano, a cura di Lea Niccolai, di questa opera prima.

Come accennato, le storie narrate all’interno raccontano e descrivono – a volte in modo preciso, altre volte in modo simbolico e astratto – il microcosmo familiare e rurale che la poetessa ha sperimentato negli anni della sua prima gioventù. La raccolta è, infatti, una sorta di album fotografico, dove si alternano potenti ritratti di figure femminili, forti e fiere, simboliche e sacre. La missione è chiaramente quella di riportare alla luce dei volti femminili perduti, dimenticati o ai quali non si è resa giustizia, e nella memoria storica della poetessa e nella realtà da lei vissuta.

Attenzione, però, la raccolta non si limita a blande descrizioni di corpi e caratteri, non ritrae in modo pedissequo le figure femminili, solo in virtù di un qualche ideale sociale. La raccolta mira piuttosto a un bilanciamento tra simbolico e storico; c’è un’armonia quasi naturale le memorie di Parwana Fayyaz e i simboli che ne trae per plasmare figure femminili che non sono più soltanto persone, ma archetipi.

Ovviamente, la guerra è lo sfondo onnipresente – a volte esplicitato, altre meno – per l’intera raccolta, e non potrebbe essere altrimenti. Lungi dallo sfociare in un pietismo inelegante, la poetessa ci racconta la guerra attraverso gli occhi delle donne che l’hanno vissuta e l’hanno affrontata, portandoci a una comprensione del conflitto che va oltre la retorica e diventa, appunto, poesia.

In conclusione, si può dire che la racconta di Parwana Fayyaz è la rappresentazione della forma simbolica del femminismo e di come un popolo possa guardarsi allo specchio attraverso la poesia e la narrazione delle sue donne. Una menzione speciale va poi alla traduttrice, Lea Niccolai, che riesce a rendere in italiano – con delicatezza e estrema sensibilità – anche le più piccole sfumature dei versi della raccolta.

Clelia Attanasio

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