Social Fame è un libro necessario

L. Dalla Ragione, R. Vanzetta, Social Fame, Adolescenza, social media e disturbi alimentari
Il Pensiero Scientifico Editore, 2023

All’inizio dell’estate, ho letto Social Fame, Adolescenza, social media e disturbi alimentari di Laura Dalla Ragione e Raffaella Vanzetta, pubblicato da Il Pensiero Scientifico Editore. Delle due autrici e curatrici avevo già letto diversi lavori, fra saggi e articoli, soprattutto per interesse professionale. La lettura di questo testo però ha assunto da subito una connotazione particolare e non solo perché sono una nutrizionista. Di saggi sui disturbi della condotta alimentare ne ho letti molti, ma questo mi è sembrato un testo imprescindibile, uno di quei libri da diffondere il più possibile e di cui parlare in ogni contesto educativo. Per questo, i primi di luglio ho invitato nel mio studio colleghi, lettori comuni, genitori, studenti, educatori a confrontarsi sui temi del libro insieme a una delle autrici, Laura Dalla Ragione, che si è collegata da remoto. Mi è parso un tempo speso bene, un modo utile e interessante di affrontare la questione dei disturbi alimentari e dei social media da punti di vista diversi, in certi casi anche molto distanti fra loro, ma allo stesso modo importanti e necessari.

Ho riflettuto molto poi su quel momento e su come questo testo così importante sia in grado di illuminare certi spazi oscuri relativi alla vita e alle ansie dei nostri ragazzi. Eccomi, quindi, a raccontarvi qualcosa su Social Fame con l’obiettivo di allungarne ancora di più il cono di luce.

I disturbi alimentari sono diventati un fenomeno sociale allarmante per la gravità delle caratteristiche e dell’incidenza, soprattutto dopo il periodo pandemico. Si parla di tre milioni di persone ammalate, nel nostro paese, dieci volte di più rispetto ai primi anni Duemila; ragazze e ragazzi giovanissimi, addirittura bambine e bambini nella fase di preadolescenza (nel 2023 una persona su 5 con questi disturbi è sotto i 14 anni), che sono maggiormente esposti ai contenuti sui social: modelli estetici irraggiungibili  e diete estreme insostenibili, due argomenti che possono aprire la strada ai disturbi della condotta alimentare, trattabili e risolvibili in presenza di diagnosi precoce, ma che possono avere conseguenze gravi ed estreme se  sottovalutate. Per questo, come le autrici sottolineano più volte, è necessaria la presenza di sguardi attenti e di interventi preventivi, oltre che di centri e reparti specializzati in cure adeguate e capillarmente presenti sul territorio nazionale.

Il saggio si apre con la descrizione dei Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (DAN), fa una panoramica esaustiva dell’epidemiologia, delle caratteristiche e dei fattori che, in misura variabile e con diverse modalità, possono anticiparne l’esordio e/o aggravarne l’espressione. La scienza si sta ancora interrogando sulle condizioni antecedenti e predisponenti alla malattia, ma risulta già chiaro quanto essa sia legata profondamente a fattori sociali, evolutivi e biologici, come a una certa cultura che associa la magrezza e la bellezza esteriore al valore individuale. Questo modello è diventato invasivo attraverso i social media, con conseguenze gravissime sulla diffusione di comportamenti a rischio. La maggiore esposizione ai social durante l’isolamento pandemico (in particolare a Instagram e TikTok) ha notevolmente aumentato il disagio adolescenziale e con esso l’esordio o il peggioramento dei DAN. Molto interessante, in questa prima parte del testo, la descrizione di fenomeni di convivialità virtuale e fitmania , ovvero di pratiche social attraverso le quali influencer, blogger e personaggi famosi diffondono consigli alimentari e di fitness su come rimodellare, snellire, insomma modificare il proprio corpo per raggiungere determinati obiettivi. Gli influencer sono spesso persone senza alcun titolo specifico e gli obiettivi suggeriti sono quasi sempre molto ambiziosi, nella maggior parte dei casi inarrivabili. Si assiste inoltre a una continua e pervicace esposizione al cibo attraverso la preparazione e condivisione di pasti in diretta, , la pubblicazione di video e foto che illustrano ricette e trucchi per rendere una pietanza più “dietetica” possibile. A questo tipo di intrusione si aggiunge l’utilizzo di applicazioni scaricabili gratuitamente sul proprio smartphone, che durante la giornata sollecitano all’esercizio fisico conteggiano introiti calorici e dispendi energetici, instaurando negli utenti (giovani e meno giovani) convincimenti fuorvianti sul funzionamento metabolico e sulla complessità dei meccanismi fisiologici che regolano il peso corporeo. Questi sistemi provocano un progressivo allontanamento cognitivo dai concetti reali e sani relativi al corpo e al cibo, distogliendo l’attenzione dal concetto di salute e concentrandola invece sul solo obiettivo estetico: «La digitalizzazione derealizza, disincarna il mondo, quello che chiama l’avvento delle non cose, dove gli oggetti vengono sostituiti dalle informazioni».

Esistono inoltre community e chat in cui si lanciano appelli, richieste d’aiuto, ma anche articoli e testi oppositivi nei confronti del mondo adulto (per esempio, si leggono frasi come: «Ecco come i vostri genitori vogliono farvi diventare» che accompagnano immagini di persone fortemente obese), costruendo così ambienti tossici e invasivi che innescano e perpetuano fobie, ansie e paure. In questa dimensione virtuale scompare la sacralità del corpo sentito e vissuto come nostra unica casa; esso diventa invece merce, oggetto modificabile dalle tendenze, omologabile a costi altissimi. Questa destrutturazione cognitiva passa attraverso una comunicazione social fatta quasi esclusivamente di immagini sottoposte al vaglio e al giudizio degli utenti, chiamati a esprimersi attraverso i like e i commenti che attivano i circuiti neurali della ricompensa di chi ha pubblicato le immagini o i contenuti. Più tempo passiamo su un video, un sito o un post, più rapidamente l’algoritmo individua i nostri gusti e interessi, proponendoci solo video, siti e post su quegli specifici argomenti. La pericolosità di questi sistemi consiste soprattutto nella totale assenza di intermediazione riguardo ai messaggi sulle condizioni necessarie a essere riconosciuti come degni di apprezzamento e amore. L’avallo pubblico diventa quindi il lasciapassare per la felicità, laddove i nostri giovani “Sono invece pervasi di quel desiderio di amore, di riconoscimento che è proprio di tutti gli adolescenti, in un’epoca in cui si è titolati a vivere solo se perfetti.”

Tuttavia, nel testo di Dalla Ragione e Vanzetta non vi è demonizzazione dei social media, al contrario si considera soprattutto la necessità di conoscerli meglio e di diffondere pratiche di alfabetizzazione digitale come compito sociale, piuttosto che individuale, per garantire ai nostri figli un utilizzo sicuro e appropriato di questi mezzi. È importante, infatti, capire come funzionano gli algoritmi, che effetto hanno sulle nostre scelte quotidiane, imparare a distinguere le informazioni fuorvianti o false da quelle corrette e rilevanti. Molto interessanti, nella seconda parte del testo, i capitoli dedicati alla descrizione dei meccanismi con cui i social possono diventare uno strumento trigger per i DAN. In particolare, il capitolo undici fa riferimento a uno studio che, attraverso la somministrazione di un questionario specificamente formulato, ha ottenuto risultati importanti e utili per comprendere meglio la relazione fra social e comportamenti alimentari disfunzionali. Ne emerge un quadro piuttosto preoccupante: l’età in cui i partecipanti hanno avuto accesso ai social è piuttosto bassa, intorno ai 12-13 anni, la supervisione genitoriale è poco presente; meno della metà dei partecipanti sa se e quanto siano qualificate le persone seguite, i social maggiormente utilizzati sono Instagram e TikTok , in cui spesso vengono create vere e proprie community popolate da chi soffre di disturbi alimentari e che permettono ai ragazzi di interagire fra di loro, scambiarsi opinioni ed esperienze. La partecipazione ai social e alle loro community, d’altra parte, non fa che orientare l’algoritmo e amplificare messaggi e pubblicità inerenti ai contenuti preferiti da questi giovani utenti. Dallo stesso studio, tuttavia, apprendiamo che se da un lato la recente pandemia con i suoi lunghi periodi di isolamento ha incrementato l’utilizzo dei social, dall’altro per qualcuno ha rappresentato l’occasione per prendere coscienza della pericolosità di certi contenuti relativi al corpo e al cibo. Un dato che testimonia quanto lo stesso strumento possa avere effetti diversi in relazione al modo in cui viene utilizzato.

I social media potrebbero rappresentare per genitori, educatori e adolescenti una preziosa risorsa proprio per diffondere informazioni corrette relativamente ai disturbi della condotta alimentare, se chi li usa è o diventa competente nello strutturare con cura il messaggio da trasmettere, trovare le parole giuste per ribadire che i DAN sono disturbi di qualcosa che non si vede, ovvero una sofferenza vissuta internamente e nel profondo, che chiede aiuto attraverso il rapporto complesso con il  cibo e il proprio corpo.

Per concludere, Social fame parla di alternative e possibilità, di alfabetizzazione digitale, di richiamo alle esperienze reali, poiché se non esiste la chiara relazione di causa-effetto fra social e DAN, esiste invece la consapevolezza di quanto sia preziosa e delicata l’adolescenza delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi, con il suo corredo emotivo, le sue fragilità e il corpo in rapida trasformazione. Social fame è un libro per tutti, ma soprattutto per educatori, genitori e insegnanti. È un testo accessibile, seppure ricco di considerazioni e informazioni scientifiche e tecniche, che invita gli adulti a non contravvenire al loro ruolo formativo di fronte a bambini e adolescenti, a guidare i giovani verso le esperienze concrete e a filtrare e spiegare quelle digitali affinché queste ultime non rappresentino l’unica finestra sul mondo: “Calvino forse può aiutarci a non dimenticare che, per quanto immersi fino alla punta dei capelli nella nuova città digitale, non smettiamo di avere profondamente bisogno della vicinanza degli altri. Porcospini digitali, quindi, sballottati avanti e indietro tra il bisogno di solitudine e quello di contatto.”


Giusi D’Urso

Redazione

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