“Tutti i soldi di Almudena Gomez”, un romanzo sulla differenza come valore

Valentina Di Cesare, Tutti i soldi di Almudena Gomez
Polidoro Editore, 2022

Quando leggo un romanzo, due cose soprattutto mi trascinano e mi affascinano: il tema e il modo con cui viene raccontato.

Scorrendo la sinossi di questo libro pensavo di potermi fare un’idea di quello che stavo per leggere: una povera badante sudamericana, Almudena Gomez, vince alla lotteria e si trova alle prese con l’avidità dei ricchi figli della deceduta signora Cols, la donna che per anni ha curato e che le voleva molto bene. Mi aspettavo una narrazione scandita da scontri e colpi di scena legali e allo stesso tempo una denuncia sociale del razzismo e del classismo nei confronti delle donne come la nostra protagonista. Mi sbagliavo. Non che questi temi non siano presenti – intendiamoci – ma allo stesso tempo sono anche i luoghi comuni che l’autrice usa come trappola per il lettore, trappola nella quale sono caduta. “Tutti i soldi di Almudena Gomez”, di Valentina Di Cesare, edito dalla Polidoro Editore, ha il pregio di trattare un tema attualissimo, importante e delicato: il rapporto che si crea fra una persona anziana e la sua badante. Almudena è una donna sudamericana che lascia il suo paese d’origine per cercare lavoro in Italia. Come spesso avviene in questi casi, all’inizio si adatta a fare i lavori più umili e faticosi. A un certo punto della sua vita, trova stabilità, affetto e amicizia al servizio della signora Ivetta Cols. L’anziana è una donna facoltosa, dal carattere determinato e schietto, con alle spalle una vita piena e agiata. Ivetta ha due figli, Alberta e Pier Giorgio, egocentrici e anaffettivi, gelosi del bel rapporto fra la loro madre e Almudena. Alla morte di Ivetta, grazie al documento testamentario in cui compare anche un lascito ad Almudena, i due scoprono l’esistenza di un terzo figlio, avuto da una relazione prematrimoniale. Questi fatti mettono in crisi sia i loro rapporti reciproci che l’equilibrio precario delle loro vite. Almudena, invece, grazie a un pizzico di fortuna, alla sua intelligenza mite e all’aiuto di Nicola, da sempre innamorato di lei e amico della famiglia di Ivetta, riesce a riscattarsi dalla sua iniziale condizione, per vivere alla fine una vita serena e appagante.

Almudena e Ivetta non diventano solo amiche, ma l’una la tutrice dell’altra. Si fanno reciprocamente coraggio, si regalano affetto, consigli, consuetudini rassicuranti, azioni di attento e sincero accudimento. L’anziana signora Cols, che è stata una donna bella e determinata, istruisce Almudena sulla vita, sugli uomini, sulle trappole, sui piaceri. Lei, Almudena, se ne prende cura con affetto e pazienza, ascoltandone le storie e i consigli, compiacendone i piccoli vezzi, le innocue fissazioni. Quello fra le due donne è un rapporto che volte vediamo fra i nostri anziani e le loro badanti straniere e che va oltre la diversità di culture, il livello sociale, l’origine geografica. C’è, in queste relazioni, una carica di umanità tale da superare ogni ostacolo. Si tratta di legami forti, costruiti spesso sulla solitudine di ognuno dei due soggetti; l’uno lontano dal suo paese e dalla sua famiglia d’origine, l’altro spesso lontano dai propri figli. E quindi, due solitudini complementari fanno un rapporto benevolo, costruiscono affetto, producono accudimento reciproco che riempie vuoti e colma assenze. La storia del rapporto fra Ivetta e Almudena ci insegna che la diversità è un privilegio, una ricchezza da cui attingere per vivere meglio e in pace con se stessi e con gli altri.

Da subito la narrazione procede con una calma quasi estenuante, che sembra fatta apposta per lasciare il lettore a vagare intontito e forse infastidito nel labirinto delle atmosfere all’apparenza quotidiane, dei pensieri e delle acute osservazioni dei personaggi, osservazioni pronunciate a mezza bocca che spesso si rivelano vicoli ciechi.

La figura della badante è inoltre messa in ombra per tutta la lunghezza del romanzo da quella della deceduta signora Cols, amica energica e ciarliera che persino negli immaginari dialoghi post-mortem con Almudena sembra sempre avere sulla punta della lingua qualche sentenza. Sul rapporto e sulla contrapposizione di questi due personaggi è costruita tutta la prima parte del romanzo, che trova il suo nucleo principale nei ricordi di Almudena. Sebbene il frequente uso di flashback e flashforward spezzi un po’ il ritmo della trama, nel complesso si comprende che l’intento dell’autrice non è tanto quello di presentarci una serie di eventi – come la sinossi simile a quella di un giallo sembra suggerire – quanto quello di immergerci in una precisa atmosfera psicologica, una nebbia che non avvolge tanto i fatti quanto la vera natura dei personaggi.

E così, quando alla fine della rievocazione di Almudena ci pare di conoscere il carattere dei protagonisti e ci aspettiamo che la vincita alla lotteria debba portare a delle conseguenze pratiche immediate, rimaniamo sorpresi nel leggere il seguito. Innanzitutto, Almudena per tutto il romanzo non userà nemmeno un euro di “tutti i soldi” di cui si parla nel titolo, e nessuno degli altri personaggi saprà davvero del suo colpo di fortuna. Succedono – è vero – alcuni eventi non molto rilevanti, come l’inizio della storia d’amore tra la protagonista e Nicola oppure la scoperta del figlio illegittimo della signora Cols, citato nel testamento della defunta, e la successiva rabbia degli altri due eredi che si traduce, per ragioni mai del tutto chiarite, in una denuncia ai danni di Almudena, accusata di aver falsificato il testamento. Ma a tutti questi sviluppi non viene data eccessiva importanza e una delle pecche del libro è a mio avviso proprio la superfluità di alcune trame che non vengono mai chiuse.

Ma, mentre veniamo distratti ad arte da questi elementi, quasi non ci accorgiamo del lento e costante mutamento di tutti i personaggi del libro, che alla fine si rivelano essere l’esatto opposto di ciò che pensavamo. Valentina Di Cesare è scrupolosa nel riservare questa stessa sorte a tutti, dai tremendi eredi alla vecchia mamma della protagonista, fino ad arrivare, naturalmente, alla stessa Almudena.

Ed è proprio qui che ci rendiamo conto di essere stati beffati dai nostri stessi pregiudizi, che sono poi forse gli stessi che nutrono le vecchiette del paese nei confronti di Almudena. Nessuno aveva mai messo in dubbio che una badante che è stata quindici anni a servizio da un’anziana e che porta sempre in tasca il santino di Sant’Evaristo potesse essere diversa dalla donna noiosa e responsabile che sembrava, nessuno aveva mai sospettato che la distanza culturale che separa il Sud America dall’Italia fosse così facile da colmare. Così le ultime pagine del libro, che mostrano uno squarcio sulla progressiva trasformazione di Almudena in una giovane signora Cols e rompono lo schema di contrapposizione tra le due su cui si basava il romanzo, lasciano il lettore a bocca aperta come davanti a una rivelazione sorprendente.

Mi sento di ribadire che “Tutti i soldi di Almudena Gomez” è un libro pieno di messaggi lusinghieri e che, sono certa, troverà facilmente un posto nel cuore dei lettori, per l’onestà con cui affronta i temi e per la delicatezza dello sguardo e dell’atteggiamento con cui l’autrice si pone.


Cecilia Cerasaro, Giusi D’Urso

Redazione

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