Una questione femminile o universale? Corpo di Silvio Valpreda

Corpo, Silvio Valpreda
Eris Edizioni, 2022

Avete notato che mai come in quest’ultimo periodo vengono scritti romanzi, saggi e articoli che hanno come tema principale il corpo? Devo ammettere che questo ha una certa presa su di me, a pensarci bene, anche la mia tesi di laurea, nel lontano 2014, aveva preso quella direzione. Ma perché succede? Perché oggi più che mai sentiamo questo bisogno di raccontare e di farci raccontare i nostri corpi? Di sviscerarli e analizzarli come parte di noi, come un tutt’uno con la nostra coscienza, quando per secoli ci hanno spinto a condannarli, a considerarli solo come un involucro della nostra interiorità? Perché questa voglia di normalizzare le nostre diversità fisiche ma allo stesso tempo desiderare ardentemente un’unicità che ci differenzi dagli altri?

Tra le opere più recenti che mi vengono in mente ci sono Campo di battaglia. Le lotte dei corpi femminili di Carolina Capria, Il peso di Liz Moore, Una casa è un corpo di Shruti Swamy, ma anche il bellissimo Fame di Natalia Guerrieri e Una minima infelicità di Carmen Verde. Ogni autore tratta in modo differente lo stesso tema, e da’ un peso specifico alla questione “corpo”.  

Rimettiamo il corpo al centro del nostro universo per esorcizzarlo, ecco cosa penso. E un po’ anche per sfuggire alla morte. Perché il nostro corpo lo martoriamo, lo maltrattiamo, lo affamiamo o al contrario lo rimpinziamo, lo usiamo come scudo nei confronti degli altri o ce ne vergogniamo talmente tanto che lo nascondiamo, lo obblighiamo a sparire, a non prendere spazio. Il nostro corpo ci fa paura da troppo tempo, ci ha reso schiavi e ossessionati dalla sua cura, estetica e della salute. Lo scrutiamo a dovere, esaminiamo ogni centimetro di pelle affinché niente sfugga al nostro sguardo accusatore. Un po’di cellulite o una piccola cicatrice ci offrono la possibilità di criticarci e volerci male, e questo autolesionismo ci fornisce, misteriosamente, una perversa forma di sollievo. Al contrario, conformarsi agli standard del momento sembrerebbe procurarci una gioia, che seppur effimera, ci permette di affrontare il mondo con più ottimismo. L’impatto psicologico sembrerebbe quindi esserci, eccome, e forse è proprio questo che le autrici di cui sopra – si badi bene come la mia piccola e non esauriente lista fornisca solo nomi femminili, ma su questo torneremo in un secondo momento – desiderano scardinare. Il corpo ha un peso considerevole nelle nostre vite, sembrano dirci, impariamo a gestirlo, ad accettarlo e a considerarlo per quello che è, qualsiasi cosa questo voglia dire.

Ho fatto un lungo preambolo per introdurre l’ultimo lavoro di Silvio Valpreda che si intitola proprio Corpo, tout court. Si tratta di un lungo racconto pubblicato da Eris Edizioni e facente parte della collana “I tardigradi”, Nuova Biblioteca del Fantastico. La protagonista, Alessandra, è una donna che, in seguito a un grave incidente stradale con la moto, autorizza il trasferimento della coscienza del suo compagno in un corpo sintetico e artificiale, creato per l’occasione. Siamo in un mondo fantastico – o piuttosto in un futuro distopico? – in cui la scienza è arrivata a poter riprodurre i corpi delle persone in modo perfetto per casi come quello di Alessandra: incidenti o malattie che portano al deterioramento del corpo. Cosa dice Valpreda al lettore? Che la scienza va avanti, che avremo molte più occasioni di salvarci e che il nostro corpo, alla fine, non ha questa grande importanza, soprattutto di fronte alla morte. Eppure. È Alessandra a scegliere per il suo compagno, che scelta non ce l’ha, ma a pensarci bene nemmeno lei, e constatare certe mancanze di lui che non sono state programmate da questa scienza (che sempre più si mette al posto di Dio), come gli odori, il dolore fisico, il ritardo di alcune reazioni, la porta a riflettere e paragonare il suo corpo che ora inizia a credere sintetico come quello del suo uomo.

Era stato un modo di sfuggire alla morte. Oppure era un altro modo di essere morto. (p. 3)

Alessandra non riuscirà mai a darsi pace e per tutto il racconto bramerà la visione del suo “vero” corpo da cui non riuscirà mai a prendere le distanze. Si può esistere a prescindere dal nostro corpo? Siamo ancora noi stessi, quelli di prima, se la nostra coscienza, le nostre emozioni vengono travasate in un altro contenitore che somiglia in modo perfetto al nostro ma non è il nostro? Ci sono sensazioni uniche e irriproducibili nel corpo umano come, ad esempio, il bruciore negli occhi provocato dal fumo di sigaretta: questi dettagli sono davvero marginali? E possono fare la differenza nell’accettazione di una nuova insolita situazione come quella della protagonista di Corpo?

Questo romanzo solleva molte domande a cui è impossibile dare una risposta univoca e ciò che mi colpisce di più è il fatto che Valpreda scelga di dar voce a una donna. Non tanto per il fatto che lui è un uomo e quindi sarebbe stato più facile immedesimarsi nel compagno di lei – che nel testo non ha nemmeno un nome –, ma perché generalmente, come dicevo poco sopra, sembra che il corpo sia quasi unicamente sfera femminile. Forse che, dopo secoli di dominio da parte degli uomini, le donne hanno deciso di riprendere il controllo delle proprie vite cominciando proprio dal controllo del loro corpo? O allora esattamente il contrario, sentendosi ancora schiacciate da un patriarcato che nel tempo le ha volute – e ancora le vuole – magre, formose, con la pancia piatta e depilate, esercitano ora il loro diritto sull’unica cosa che appartiene loro?

Alessandra è arrabbiata, non accetta la sostituzione del suo corpo pur sapendo che è proprio lui che l’ha salvata dalla morte.

C’è un bel passaggio a metà del libro in cui Alessandra guarda le sue colleghe d’ufficio chiacchierare. Colleghe donne, ancora una volta, e in questo caso anche madri. L’aver generato dei figli, per Alessandra, eleva queste donne a uno stato di immaterialità, di pura coscienza, dovuto all’annullamento del corpo in funzione dell’entità unica della famiglia, come se invece, nelle condizioni di gravidanza, maternità e parto non fosse il corpo al centro dell’universo, il corpo e ancora una volta il corpo.

Viene quasi voglia di dirglielo, ad Alessandra, che queste madri non sono né migliori né peggiori di lei, non si sono estraniate dalla loro condizione fisica come pensa. Il loro corpo non solo ha avuto un ruolo centrale nella creazione di una nuova vita, ma è un corpo di cui prendersi cura ancora di più, trasformato da eventi esterni e che forse, nonostante le gioie della maternità, non ci teneva a essere devastato e trovarsi diverso da prima.

Alessandra cercò di immaginarsele in situazioni di intimità. Non riusciva a pensare a loro che scopavano con i mariti. Le domeniche che narravano erano fatte di famiglie idilliache che sembravano prescindere da qualsiasi pulsione erotica. Come se con il matrimonio fossero riuscite a chiudere la parte terrena di sé dietro un cancello che finalmente avevano superato. (p. 42)

Lo stile di Valpreda è asciutto e lineare così come lineare è la sua narrazione. La storia raccontata esiste in funzione della protagonista e del suo tormento. Nessun personaggio viene mai chiamato per nome, nessun luogo specificato, nessun personaggio descritto con caratteristiche fisiche. Persino il corpo di Alessandra, indiscusso protagonista durante tutto il racconto, viene mai rappresentato. Se ad Alessandra, più realisticamente, avessero amputato una gamba, o l’avessero sfregiata con l’acido, non avrebbe forse dovuto combattere gli stessi demoni? D’altra parte, il lato fantastico/distopico mi ha attirato molto fin da subito, e, è risaputo ed è vero: scrivere del futuro, presunto o meno, è un ottimo mezzo per parlare dei problemi del presente.

Corpo è un racconto che dovevo leggere e che mi sento di consigliare. Perché il nostro corpo può certamente essere considerato un involucro senza molta importanza, ma la verità è che ci dobbiamo convivere tutta la vita e nel momento in cui accade, per qualche motivo, di non riconoscerlo più, sentiamo forse la stessa urgenza di Alessandra: quella di ritrovarlo.


Veronica Nucci

Veronica Nucci

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