Estratto da Cagliostro, di Vicente Huidobro

L’autore al lettore

Supponga il lettore di aver comprato non un libro in una libreria, ma un biglietto per entrare al cinematografo.

E così, lettore, non stai uscendo da una libreria ma stai entrando in una sala. Ti siedi su una poltrona. L’orchestra attacca un brano musicale che attacca i nervi. È davvero stupido… Ma deve esserlo per piacere alla maggioranza degli ascoltatori. L’orchestra tace. Si alza il sipario o, per meglio dire, si aprono le tende e compare:

Cagliostro
di
Vicente Huidobro
ecc., ecc., ecc., ecc., ecc.

Poi compare la didascalia che introduce l’argomento e che deve essere il più breve possibile:

Premessa

Verso la fine del regno di Luigi XV in Francia e in gran parte dell’Europa c’erano numerose sette segrete, la cui attività, anche se ignota alla maggior parte delle persone, ebbe una grande influenza sui fatti dell’epoca.
Quante cose grandi, di cui non conosciamo l’origine, nacquero probabilmente in oscuri sotterranei dove alcuni uomini perseguitati discutevano alla luce tenue di una candela!
Quelle sette erano nate nel miracoloso Oriente, ma il potere dell’Occulto aveva affascinato le più grandi menti dell’Occidente che si erano dedicate con fervore allo studio dell’Alchimia, della Magia e di tutti i misteri della Cabala, attratte dalla bellezza di questa scienza dimenticata. Tra tutti coloro che riuscirono a diventare iniziati solo pochi eletti possedevano poteri veramente sovrumani.
Chi entrava in una setta era tenuto a mantenere il più assoluto segreto… Guai a colui che si lasciava sfuggire qualcosa!

Preludio in tempesta maggiore

Una tempesta tardo Settecento rimbombava quel pomeriggio di autunno sopra l’Alsazia addormentata, sopra la dolce Alsazia bionda per le sue foglie e le sue figlie.
Grandi nubi nere, piene come ventri di foca, nuotavano sui venti umidi che soffiavano verso Ovest, guidate da abili aurighi. Di quando in quando il magistrale colpo di lancia di un fulmine svuotava sull’angoscia del nostro paesaggio il sangue tiepido di una nube ferita.
Era una notte speciale per il martello dei falsificatori e il galoppo dei lupi della Storia. Alla destra del lettore, la pioggia e la fucina attiva della tempesta; alla sinistra, una foresta e le colline.
La foresta magnifica, agitata dal vento, si lamenta come un organo o una grotta marina, si lamenta come se tutti i bambini perduti chiamassero le loro madri. L’intera pagina che abbiamo appena scritto è attraversata da una strada piena di fango, di pozze d’acqua e di leggende. In fondo alla strada appaiono improvvisamente due lanterne parallele che dondolano come un ubriaco che canta all’orizzonte. Una carrozza misteriosa, per via della forma e del colore, avanza verso il lettore trainata dal galoppo serrato dei suoi cavalli, che con i loro enormi zoccoli di ferro fanno tremare tutto il mio romanzo.
Il cocchiere, per imitare il cielo, castiga i suoi destrieri con i lampi della sua frusta e la carrozza si avvicina aprendosi un varco nella pioggia come attraverso le canne delle grandi pianure tropicali.
La carrozza arriva davanti a noi, vicinissima, a pochi metri dai nostri occhi. La pioggia si accanisce intenzionalmente sul postiglione. Mio brutto lettore e mia bella lettrice, fareste bene a fare due o tre passi indietro se non volete essere colpiti dagli schizzi delle ruote di questo mistero ambulante.
All’improvviso la tempesta si scatena, i lampi ravvivano i nostri occhi umidi e un fulmine, sfuggito a un’incudine invisibile, si abbatte su uno dei cavalli della carrozza sconsolata, ora ancora più sconsolata per via del cavallo morto steso a terra e degli altri due che si impennano per la giusta indignazione. Il cocchiere, che tenta di trattenere i cavalli spaventati, ha un aspetto magnifico. Sembra un monarca alla guida del carro di uno Stato sull’orlo dell’abisso della Rivoluzione, ecc.
Ma sebbene il cocchiere da solo sia impotente a frenare la fuga dei due cavalli spronati dal terrore, il peso morto del cavallo morto gli viene in aiuto. L’eccesso di morte vince l’eccesso di vita, quell’eccesso di vita prodotto dal panico e che scaturisce dalla semplice elettricità nervosa.
La strana porticina della strana vettura si apre lentamente scricchiolando e un uomo, avvolto in una cappa che lascia intravedere solo gli occhi, dalla notte della carrozza sporge la testa nella notte del cielo per capire che cosa sta succedendo.
Avete visto i suoi occhi? I suoi occhi, fosforescenti come i torrenti che scorrono sopra le miniere di mercurio, i suoi occhi all’improvviso hanno arricchito la notte, sono l’unica luce in fondo alla sua stessa esistenza. Guardateli bene, perché questi occhi, che come una rotaia elettrificata hanno attraversato tutto il XVIII secolo, sono il fulcro della mia storia.


Il cileno Vicente Huidobro (1893-1948) è stato senza dubbio uno dei più grandi e innovativi scrittori ispanoamericani della prima metà del secolo XX. Lo è stato nell’ambito della poesia (Altazor, per limitarci a un solo titolo), ma lo è stato anche in ambito teatrale (Sulla Luna, da poco uscito nella collana Gli eccentrici,anticipa il teatro dell’assurdo) e narrativo, come dimostra Cagliostro, che ha per protagonista il famigerato e misterioso mago italiano. Scritto nel 1923 sotto forma di sceneggiatura ma pubblicato solo nel 1934, Cagliostro è un prodigioso «romanzo film» d’avanguardia influenzato dal cinema espressionista tedesco e dalla letteratura gotica, un «Golem luminoso» (come scrive María Negroni), un «fatto nuovo, indipendente dal mondo esterno, slegato da ogni altra realtà che non sia la sua» (Huidobro, El creacionismo).

Redazione

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