Il presente articolo è il primo di due articoli correlati. La seconda parte uscirà lunedì prossimo, 8 marzo.
Dal verificazionismo al falsificazionismo.
Uno dei filoni di ricerca dell’epistemologia contemporanea si occupa di individuare un modello –consistente e adeguato[1]– del modo in cui la scienza aumenta il suo bagaglio di conoscenze. In che modo la scienza progredisce? Qual è la natura del progresso scientifico? Questa non è, chiaramente, una domanda scientifica, bensì è una domanda filosofica, perché si occupa di un problema, per così dire, fondazionale.
Un problema che è concettualmente anteriore alla scienza stessa, i cui problemi interni sono di ben altro tipo, come la determinazione di un rapporto o di un’equazione per spiegare un certo fatto fisico, chimico o biologico. Le teorie filosofiche principali che orientano il dibattito odierno sono tre: la falsificazionista di Popper, la rivoluzionista di Kuhn e l’anarchica di Feyerabend. In questi articoli ci occuperemo, a grandi linee, delle prime due e introdurremo la storica teoria verificazionista dei neopositivisti logici del circolo di Vienna.
La teoria falsificazionista (esposta in Popper 1934) si poneva, in maniera più o meno diretta, in antitesi con la teoria verificazionista della scuola degli empiristi logici, o neopositivisti logici. Costoro credevano che per confermare la verità di un enunciato assertivo fosse necessario verificarlo o per mezzo del suo solo significato, o attraverso l’esperienza.
Che cos’è un enunciato assertivo? È un enunciato della forma “ogni A è B” o “qualche A è B” o “questo A è B”. Determinare la verità, o la falsità, di questo tipo di enunciati può richiedere un’operazione di accertamento di tue tipi: o l’enunciato è vero analiticamente, cioè solo in base al significato delle parole che lo compongono e allora il ricorso all’esperienza viene meno, oppure il significato delle parole che lo compongono, A e B, è diverso e allora il solo modo che abbiamo per ritenerlo vero o falso è constatare che il contenuto dell’enunciato in questione corrisponda a come le cose stanno nei fatti. In questo secondo caso, chiamiamo l’enunciato sintetico. Vediamo un esempio di enunciato vero solo in base al contenuto dei termini in esso presenti:
- Ogni scapolo è non sposato.
Il valore di verità di (1) appare chiaro: è necessariamente vero. Perché la definizione di “scapolo” è “uomo non sposato”. Non è possibile che qualcuno sia scapolo se è sposato e non è possibile che sia sposato se è scapolo. In questo caso, per dire che (1) è un enunciato vero non occorre che si guardi ai dati empirici controllando che ogni scapolo sia non sposato. Altri enunciati veri solo in base al significato dei loro termini possono essere: il triangolo ha tre lati, la somma di due numeri è un numero, il calore riscalda, ogni fratello ha un fratello o una sorella ecc.
Non tutti gli enunciati possono essere analitici però e, anzi, la maggior parte di essi richiede che per esserne accertato il valore di verità si debba ispezionare i dati di fatto, confrontando il significato dell’enunciato con l’esperienza. Valutiamo il seguente esempio:
- Aristotele è alto un metro e settantadue centimetri.
Per sapere se (2) è vero o falso, non ci sono altre alternative a quella di far togliere i sandali ad Aristotele e con un righello misurarne l’altezza. In altre parole: questo enunciato è sintetico, perché richiede che si accresca la conoscenza attuale affinché se ne possa determinare il valore di verità. A differenza di (1) che non richiede alcun accrescimento di conoscenza per poter esser ritenuto vero, (2) richiede un confronto con i dati di fatto. Perché? Secondo gli empiristi logici la ragione di tale differenza è dovuta alla forma dell’enunciato: (1) è del tipo “A è B” con A = B, invece (2) è del tipo “A è B” con A ≠ B.
Secondo gli empiristi logici del Novecento, perciò, il solo principio che potesse spiegare come la scienza progredisce nel suo sviluppo e come vengono acquisite nuove conoscenze scientifiche è il seguente:
(V) Per ogni enunciato scientifico, il suo valore di verità si può verificare se
e solo se esso si confronta con l’esperienza.
Il principio appena presentato è il cosiddetto principio di verificazione[2], di cui gli empiristi logici andavano anche particolarmente fieri e che, infatti, essi ritenevano fosse il principio che guidava gli scienziati nelle loro ricerche. Sembrava che nulla potesse scardinare la loro convinzione nella verità di tale principio.
Ma qui sta l’inghippo: come sappiamo che il principio di verificazione è vero? Controlliamone la forma: non è un enunciato analitico, infatti i significati dei termini in esso presenti non sono sinonimi. “Scientifico” non è sinonimo di “esperienza”, tant’è che si può avere scienza di qualcosa senza averne esperienza ed esperienza di qualcosa senza dedurne una teoria scientifica. Anche il significato di “confronta” sembra eludere un rapporto di sinonimia con gli altri termini. Ma se per gli empiristi logici gli enunciati sono soltanto di due possibili forme, allora il principio di verificazione deve essere un enunciato sintetico.
È possibile confermare la verità di (V) in base al raffronto con i dati di fatto, cioè con l’esperienza? La risposta, in breve, è no. Non è possibile verificarne la verità. Vi sono due ordini di problema che impongono la non verificabilità del principio in esame: (a) l’affermazione della verità di (V) sarebbe un’affermazione circolare perché si assumerebbe che il principio di verificazione sia vero e lo si applicherebbe a sé stesso per dimostrarlo vero, ma questo è un procedimento fallace perché appunto si assume ciò che, invece, si vuole e si dovrebbe dimostrare, (b) il principio di verificazione è un enunciato sintetico universale, se lo si volesse verificare dal raffronto con l’esperienza si finirebbe per procedere ad infinitum perché il numero di tutti gli enunciati scientifici è troppo grande perché si possa considerarli uno per uno e raffrontarli all’esperienza: il processo di verificazione per il principio di verificazione sarebbe praticamente inattuabile (Carnap 1936, Popper 1934). Quindi, il principio (V) non è un enunciato scientifico. È sicuramente un enunciato, ma è un enunciato metafisico. Gli empiristi logici rigettavano ogni enunciato metafisico (e la metafisica tout court) proprio perché erano enunciati senza senso.[3] Tuttavia la critica al verificazionismo era cogente e non restava altro da fare che ammettere, dunque, che la scienza si fondasse su un principio metafisico privo di senso. Fu grande lo sconcerto dinanzi a questa posizione che, in effetti, pose fine alla teoria verificazionista.
Quali erano le teorie alternative? La principale alternativa risale alla teoria della falsificazione.
Il falsificazionismo di Popper.
Il falsificazionismo è la più celebre teoria epistemologica del Novecento, il cui padre fu Karl R. Popper, secondo cui il criterio di demarcazione fra scienza e pseudo-scienza è insito nella nozione di falsificabilità di una teoria. Fino ad ora abbiamo parlato di enunciati veri o falsi, nel ritenere una teoria vera o falsa non v’è ambiguità alcuna se si considera la teoria come un insieme di enunciati. Quando parleremo di teoria scientifica, perciò, si intenderà sempre un insieme di enunciati scientifici. La tesi falsificazionista definisce una teoria scientifica come una teoria che può essere resa falsa una volta messa al vaglio dell’esperienza, dei dati di fatto. La teoria dell’etere, per esempio, è falsa perché l’etere non è mai stato trovato (e perché c’è una teoria alternativa che è quella della fisica classica), sicché l’enunciato che afferma l’esistenza dell’etere è un enunciato scientifico perché falsificabile: non esiste l’etere, quindi l’enunciato è falso. Gli enunciati della teoria marxista non sono scientifici, cioè sono pseudo-scienza, perché non sono falsificabili (Popper 1945).[4] Scrive Popper:
Un’asserzione o teoria è […] falsificabile se e solo se esiste almeno un falsificatore potenziale, almeno un possibile asserto di base che entri logicamente in conflitto con essa.[5]
Gli asserti di base che possono falsificare una teoria scientifica sono gli enunciati elementari, della forma “nel luogo L c’è K”, che sono diversi da enunciati esistenziali, della forma “esiste un x tale che…” o, equivalentemente, della forma “qualche x…”. Il falsificatore potenziale, invece, è l’evento o stato di fatto che o non era previsto dalla teoria, oppure era previsto il suo contrario (Popper 1934). In questo senso gli asserti di base sono gli enunciati su cui si fonda una teoria scientifica, perché ogni asserto di base si riferisce a degli eventi osservabili.
Tutta la ricerca scientifica deve reggersi non sulla conferma verificazionista, ma sul metodo per congettura e confutazione. Questo non è un metodo per trovare le teorie, bensì è un metodo per controllarle (cioè assicurarne la scientificità). Questo metodo di prova ed errore è diviso in tre momenti: problemi, ipotesi, prove. Dato un problema, vengono poste delle soluzioni. Date delle soluzioni, vengono fatti degli esperimenti. Una volta confermate, si continua applicando questo modello tripartito ma con l’ipotesi che queste ipotesi siano false, sicché ora il modello andrebbe interpretato come un insieme di problemi, teorie, critica (Popper 1994).
Se Popper ha ragione, allora la scienza progredisce attraverso dei tentativi di falsificazione delle proprie teorie. È solo provando a falsificare una teoria che la si corrobora, ossia si conferma la validità di ipotesi non ancora risultate false. La teoria da preferire è quella che posta dinanzi a continui e numerosi tentativi di falsificazione è sempre risultata abbastanza solida da poter reggere al confronto con l’esperienza.
Ma, quindi, Popper ha ragione? Secondo Thomas S. Kuhn, storico della scienza, fisico ed epistemologo statunitense, non è per falsificazioni che la scienza accresce la conoscenza. Kuhn ritiene che quand’anche una teoria scientifica si trovasse dinanzi a dei dati empirici falsificanti, non si rinuncerebbe all’intera teoria. Una teoria può entrare in crisi solo se c’è una teoria rivale già pronta per sostituirla (Kuhn 1962). Consideriamo il semplice caso della meccanica newtoniana, che sembra avvalorare la teoria kuhniana: la teoria gravitazionale sembrava poter spiegare perché il moto dei pianeti fosse (quasi) ellittico. Tuttavia, nel 1915, Einstein propose la teoria della relatività di spazio e tempo e, di conseguenza, le ragioni per cui i pianeti si muovono e si attraggono mutarono. Se anche si fosse scoperto prima del 1915 qualche fatto che avesse reso dubbio un asserto di base della teoria di Newton, non vi sarebbe stata una rinuncia totale alla meccanica newtoniana. Al contrario, ci si sarebbe impegnati a far quadrare la teoria coi fatti migliorando le parti della teoria in conflitto con il dato empirico (Kuhn 1962). La falsificabilità di una teoria scientifica, perciò, non è una condizione sufficiente per decidere cos’è scientifico e cosa non lo è, ma è sicuramente una condizione necessaria; se qualcosa non è falsificabile allora non è scientifico, ma non vale che se qualcosa è falsificabile allora è scientifico.
[1] Un modello esplicativo, cioè una spiegazione uniforme per una certa classe di eventi o stati di fatto, deve essere (a) consistente e (b) adeguato. Un modello è consistente se e solo se non è contraddittorio (cioè non rende vera sia la proposizione A sia la proposizione non-A) ed è adeguato se e solo se per ogni evento o stato di fatto A, si può spiegare A ricorrendo soltanto agli assiomi o alle proposizioni del modello.
[2] La paternità del principio è attribuita al filosofo M. Schlick che in Significato e verificazione scriveva così: “una questione è di principio risolvibile se possiamo immaginare le esperienze che dovremmo avere per darle una risposta”.
[3] Carnap (1932) sosteneva che “i metafisici non sono che dei musicisti senza capacità musicale”.
[4] Popper (in Popper 1963) sostiene, in particolare, che il marxismo sia una teoria pseudo-scientifica perché (a) è caratterizzata da un’insufficiente dose di falsificabilità (un po’ come l’oroscopo, se si vuol cercare un termine di paragone), (b) salvata in extremis da continue ipotesi aggiuntive che ne deteriorano il valore scientifico.
[5] Popper, K., 1984, Proscritto alla logica della scoperta scientifica, il Saggiatore, Milano, p. 35.
In copertina, Karl Popper.