Gianluca D’Andrea, Nella Spirale (Stagioni di una catastrofe)
Industria & Letteratura, 2021

Leggere – e commentare, recensire – di poesia non è mai impresa facile. Non per me, che sono abituata alle lungaggini accademiche e alla prosa narrativa (per gusto, vocazione, incapacità). Quando però ho iniziato a leggere Nella Spirale (Stagioni di una catastrofe) di Giancluca D’Andrea, pubblicata da Industria & Letteratura, mi sono sentita a mio agio.
Il testo si divide in quattro sezioni, che prendono il nome delle stagioni: Primavera, Estate Autunno, Inverno, dando già così l’idea di un testo che si muove, è in cammino verso qualcosa. L’opera può definirsi facilmente un prosimetro, prosa e versi si alternano e trovano un equilibrio stilistico perfetto. La prima cosa a balzare all’occhio è senza alcun dubbio la cura, lo studio dietro ogni parola; non è infatti raro trovare, all’interno della raccolta, citazioni e riferimenti eruditi, segno e sintomo di una ricerca, di una curiositas che va ben oltre il principio estetico dell’armonia e che cerca di dar voce alla complessità del mondo.
Per dar voce a questa complessità, però, bisogna viaggiare oltre il tepore della primavera, bisogna spingersi oltre ciò che ci fa stare bene e operare uno sconvolgimento, un ciclico mutamento, esattamente come fanno le stagioni, in un moto perpetuo che non sa arrestarsi. Gianluca D’Andrea, con grande sensibilità e passione, mette in scena una personale catastrofe che segue la stagionalità, per mostrare quanto la rivoluzione, il cambiamento – e quindi il dolore, è inevitabile – abbiano ancora da offrire, siano germoglio di vita. La staticità, al contrario, per quanto confortevole non sa creare nulla.
Quello a cui assistiamo in questa raccolta è un percorso; D’Andrea riprende il concetto di viaggio – il topos letterario più antico della letteratura, forse addirittura archetipo dell’umanità stessa – e lo fa suo, scandagliando le stagioni e gli sconvolgimenti che la realtà semina sul nostro cammino.
Ho particolarmente apprezzato il modo linguistico con cui D’Andrea ci sottopone il suo viaggio attraverso le stagioni della vita: non solo, certo, per lo studio e l’analisi cui ho accennato prima; anche e soprattutto per via delle incursioni dialettali che si scorgono lungo tutta l’opera. È un modo intimo e autentico di riportare il topos del viaggio entro canoni e parametri personali. È questo, per me, ciò che rende profonda e originale un’opera: parlare di ciò di cui si è sempre parlato – perché l’originalità in fondo è una chimera – ma farlo partendo da sé stessi, da ciò che si conosce.
D’Andrea dà mostra di non essere solo autore di grande cultura e profonda analisi critico-letteraria, ma anche di spiccata sensibilità e introspezione. Attraverso un viaggio personale e uno sconvolgimento stagionale, l’autore coglie l’occasione per parlare di sé e di tutti, in un movimento di Dantesca e Nietzschiana memoria.
Concludendo, Nella Spirale (Stagioni di una catastrofe) di Giancluca D’Andrea ci ricorda che per vedere una nuova Primavera bisogna attraversare prima l’Inverno, e così per sempre.