Nina sull’argine, fra ingegneria idraulica e realismo magico

Veronica Galletta, Nina sull’argine
Minimum Fax, 2021

Una ragazza siciliana si ritrova a dover dirigere, nel freddo inverno della pianura padana che le è così ostile, il primo progetto tutto suo, quello dell’argine che dovrà proteggere la piccola frazione di Spina, la quale ha già subito alluvioni, dalle prossime piene del fiume. L’incarico rognoso piomba addosso all’ingegnera idraulica, che finora si è occupata quasi solo di ricerca all’improvviso quando molti dei suoi colleghi, la maggior parte uomini  e con più esperienza di lei, vengono arrestati a seguito di alcune indagini sulla ditta in cui lavora. Inizia così un romanzo, edito dalla Minimum Fax con due veri protagonisti assoluti, Caterina e l’argine.

Se all’inizio le storie di queste due entità sembrano scontrarsi quasi per caso e la giovane ingegnera si sente sopraffatta da quel lavoro, un lavoro iniziato da qualcun altro che non sembra appartenerle fino in fondo, Nina e l’argine cominciano ben presto a modellarsi l’una sull’altro, seguendo quel processo imprevedibile di adattamento agli ostacoli e ai diversi terreni che determina la forma del corso di un fiume. Sotto gli occhi attoniti della protagonista, e a quelli meravigliati del lettore, l’argine e le persone che ci girano attorno si fondono in modo indissolubile alla vita della ragazza, diventano per lei un sostituto dell’amore perduto e della famiglia lontana, tanto che spesso non ci si rende più conto dei graduali trapassi della prosa fitta di tecnicismi dalla narrazione delle fasi di costruzione, dei movimenti delle macchine e delle descrizioni dei materiali, ai moti dell’animo inquieto e non pacificato della ragazza. Quando alla fine lasciamo Nina alla sua vita, libera di proseguire la sua carriera dirigendo altri cantieri, capiamo che il suo primo lavoro nella frazione di Spina non l’abbandonerà mai.

Intorno a questi due protagonisti si muovono anche altre figure evanescenti, forse sfumate nel ricordo dal tempo trascorso per Nina dal primo cantiere, di cui intravediamo solo i tratti più marcati: la solitudine della signora Bola, che non firma l’accordo sugli espropri in nome del ricordo della passata vita accanto al marito, l’integrità morale di Bernini, che affronta una crisi matrimoniale e la depressione della moglie, oppure l’ostinazione di Musso e le sue trovate per opporsi alla necessaria costruzione dell’argine. Accanto a queste ci sono anche quelle presenze invisibili per scelta ma ben percepibili e meglio delineate, primo fra tutti l’ex fidanzato Pietro, che non si decide a lasciare i pensieri di Nina e a riprendersi le cose che ha lasciato a casa della ragazza, e poi naturalmente Antonio, l’operaio esperto che diventerà amico della giovane ingegnera, angelo custode dispensatore di consigli, ma che comunque sembra sempre irreperibile a meno che non abbia deciso di farsi trovare.

Nina sull’argine è un romanzo raro nella sua delicatezza e nell’abilità di chi scrivenel cogliere le sfaccettature che segnano i rapporti fra le persone, è un’opera in grado di restituire una narrazione femminile e implicitamente femminista del mondo senza che però questa tensione deformi la realtà psicologica e materiale in cui vivono i personaggi pur di dimostrare la validità di una tesi. Nina, prima ancora che donna ingegnere che deve farsi strada in un mondo maschile, è una persona che vive delle fasi della vita in cui tutti possono ritrovarsi, lo sconvolgimento dato dalla rottura dopo una lunga relazione che fa il paio con lo spaesamento della principiante all’inizio della sua carriera, ed è per questo in grado di veicolare un messaggio di parità sincero.

Ed è appunto la sincerità, e non tanto un’ideologia forte, lo strumento che Veronica Galletta usa per fare della buona letteratura. Basti vedere come viene trattata la realtà dell’ambiente del cantiere, difficile e inquinata dalle irregolarità e da comportamenti disonesti contro i quali a volte sembra possibile fare qualcosa, ma più spesso no. E allo stesso tempo però sono presenti esempi di grande umanità e, se all’inizio Nina crede che quel cantiere le sia semplicemente ostile, la ragazza lascerà quel luogo già sentendo la nostalgia di quelle persone che le hanno saputo insegnare tanto.

Sicuramente la scrittrice sa sfruttare la propria conoscenza della materia – Galletta è infatti ingegnera idraulica a sua volta, e appunto una certa vena autobiografica è evidente nel romanzo- a vantaggio della narrazione, permettendole più agevolmente di trovare una voce, e il lettore, anche se come me non capisce nulla di ingegneria idraulica, si ritrova a familiarizzare con un modo fatto di linguaggio tecnico e operazioni pratiche di cui Nina e l’autrice sanno trasmettere la bellezza della materialità.

Eppure, proprio quando pensiamo di essere entrati nel mondo concreto e pragmatico di Nina sull’argine e ci si è convinti di sapere dove l’autrice voglia andare a parare, ecco che l’elemento irrazionale riemerge improvvisamente nelle logiche del cantiere, lasciando a bocca aperta tutti meno che la protagonista. Il riferimento a Garcia Marquez e alle sue pietre a forma di uova di drago, che appare all’inizio come metafora dello sdoppiamento di Nina tra il mondo del romanzesco e quello dell’ingegneria, si rivela, a mio avviso, una importante chiave di lettura dell’opera in termini di realismo magico.

L’argine diventa così metafora della separazione ma anche del passaggio dalla realtà alla fantasia, da una giovinezza passata sui libri al mondo del lavoro e dell’età adulta, il trapasso in una nuova epoca in cui vivere senza più pregiudizi di genere, e infine dalla vita alla morte, e ritorno.


Cecilia Cerasaro

Redazione

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