Perché ancora Socrate? Il metodo elenctico, la priorità definizionale e la fallacia

Questo articolo è il primo di due articoli correlati. La seconda parte uscirà lunedì 22 Novembre.


Mi parve di essere più sapiente di quell’uomo,
almeno in una piccola cosa, ossia per il fatto che
ciò che non so, neppure ritengo di saperlo.[1]

Introduzione: perché Socrate segna un’epoca?

Socrate, figlio di Sofronisco, uno scultore, e Fenarete, levatrice, nacque ad Atene intorno al 470 a. C. Molto importante è il mestiere esercitato dalla madre. Come ci viene detto nel Teeteto (149a1-151d5), Socrate è in grado di ingenerare nei suoi interlocutori nuove conoscenze, proprio come le levatrici sono in grado di far partorire alle donne i bambini. In tal senso, attraverso quest’arte, detta maieutica, non si istruisce l’interlocutore in merito a una dottrina predefinita, ma lo si incoraggia a ricavare da sé la verità. Pare sia stata ereditata, per l’appunto, dalla madre questa abilità socratica nel discutere non insegnando nulla ma facendo, negli altri, partorire la verità.

Socrate non viaggiò molto, restando per lo più al servizio, civile e militare, della sua città-stato. Non si sa bene che mestiere esercitasse, forse veniva mantenuto dai suoi ricchissimi amici. Si distinse per il suo coraggio nelle battaglie di Potidea, Delio e Anfipoli. Durante il periodo democratico, quand’era il turno della sua tribù cittadina di presiedere la pritania della boulé, si oppose al giudizio di morte contro i generali che vennero accusati di aver lasciato i feriti o i caduti in mare al loro destino e di non aver seppellito i morti per inseguire le navi spartane nella battaglia delle Arginuse. Con la tirannia dei Trenta del 404, ancora una volta, fedele ai suoi ideali di giustizia, si oppose all’arresto di Leone di Salamina.[2] Pochi giorni dopo, con la restaurazione del regime democratico, venne condotto in tribunale da Anito e Meleto, che gli imputavano il doppio reato di ateismo (cioè di non riconoscere le divinità ateniesi) e di aver corrotto moralmente i giovani.[3] Condannato a bere la cicuta dai giudici che al processo presero parte, morì nel 399.[4]

Il nostro Socrate, tuttavia, marca un’epoca non per quelle che furono le sue sicuramente avvincenti imprese biografiche, bensì per il suo contributo eminentemente filosofico alla storia del pensiero. Consideriamo la filosofia presocratica: essa è indissolubilmente legata alla ricerca dell’archè, del principio, cioè, che si concretizza in due questioni: (a) in che modo l’ordine del mondo si è originato a partire da uno stato iniziale indifferenziato?, (b) qual è la natura ultima delle sostanze individuali?[5] Questi due filoni di ricerca enucleano l’essenza stessa dell’indagine scientifica classica, in cui un principio naturalistico escludeva da ogni tipo di spiegazione il riferimento alle cause finali a favore di una spiegazione che facesse, invece, specifico uso di cause motrici, o efficienti. Teorie cosmologiche come quelle di Talete, Anassimandro o Anassimene rispondono all’esigenza di fornire una soluzione alla questione (a), per esempio, ricorrendo a cause motrici che sono, rispettivamente, acqua, illimitato (apeiron) e aria. Teorie materialistico-elementaristiche come quelle di Empedocle, Anassagora, Democrito rispondono, invece, alla questione (b), chiamando in causa un tipo di oggetti fondamentali, ovvero non ulteriormente scomponibili, che sono i mattoni della costituzione organica e inorganica delle sostanze: radici (o quattro elementi fondamentali), semi (o omeomerie[6]), atomi. Tutte queste teorie possono essere considerate, a differenza delle tesi socratiche che tra poco esamineremo, scientifiche. Una teoria, infatti, è scientifica nella misura in cui la conoscenza si emancipa dell’azione, non vi sono derive personalistiche e non si fa appello a forza sovrannaturali.[7] La scienza nasce nel momento in cui si ricerca la conoscenza per la conoscenza, che è cosa ben diversa dalla tecnica che deve conoscere per manipolare, agire, cambiare il mondo. La scienza vuole conoscere il mondo in quanto tale, la tecnica vuole conoscerlo per cambiarlo. Non sono, in questo processo epistemico, consentite scoperte di tipo personalistico, a cui, cioè, è possibile accedere solo per vie individuali. Conoscenze come quelle del mistico, che subisce una sorta di illuminazione per giungere a un sapere ineffabile, o come quelle del religioso, a cui la verità viene rivelata tramite la parola divina, sono inammissibili. La conoscenza è oggettiva e in quanto tale condivisibile e comunicabile. Infine, non si può far appello a forze sovrannaturali, perché il principio materialistico che governa il mondo è il solo che una ragione empirica possa davvero spiegare. In tale ottica, si può anche sostenere che la ragione è tale se e solo se è empirista.

Perché, dunque, Socrate segna un’epoca? Perché dopo Socrate, non è più possibile ignorare la possibilità di un tipo di conoscenza differente e alternativa, che non fa appello alla ricerca della causa motrice, bensì alla causa finale, e che cerca di rispondere alla domanda: “qual è il modo giusto in cui devo vivere?”. Qual è il fine della vita umana? Si lascia in disparte la domanda intorno all’archè e si inaugura un nuovo filone di ricerca intorno al valore.[8]

Potremmo dire, forse, che è con l’indagine socratica che si è assistito al primo mutamento di paradigma della storia del pensiero a noi noto.[9] Ma se gli scienziati-filosofi presocratici adottarono un metodo empirico-osservativo per un oggetto naturale, allora per un oggetto non naturale, cioè valoriale o etico, quale sarà il metodo più giusto e corretto affinché si giunga con certezza a un nuovo tipo di conoscenza intorno a esso? Il metodo che Socrate adotterà è l’elenchos (da ἔλεγχος, che significa “confutazione”).

Perché ancora l’elenchos?

Il metodo elenctico è il modello di ricerca che sostanzia e inaugura il nuovo tipo di indagine assiologico-umanistica inaugurato da Socrate. Si può, anzi, addirittura intravedere nell’intima connessione tra elenchos ed etica la condizione necessaria e sufficiente affinché si giunga a una conoscenza non scientifica. “Cos’ha da dire la scienza (ionica) sul buono? Sulla felicità? Sul giusto? Sul santo? Sul temperante? Sul bello?” era il problema che più solleticava il nostro Socrate. La risposta era sempre la stessa: “niente”. Il metodo osservativo-empirista non può fornire alcuna informazione rispetto a oggetti che osservativi non sono; gli oggetti universali dell’etica sono tali che l’unica conoscenza possibile intorno a essi è determinabile solamente in via proposizionale.[10]

La principale via proposizionale per giungere a questa conoscenza è appunto l’elenchos. Ma che cos’è il metodo elenctico? È un metodo in base al quale, data una risposta alla domanda “che cos’è F?”, si dirime il valore di verità della risposta in base al valore di verità di altre proposizioni in qualche modo connesse con F, anche dette F-condizioni.[11] F è un oggetto etico, come il buono o il temperante. Se la risposta si assume come vera ma essa non è consistente con le F-condizioni, cioè la risposta e le F-condizioni non possono essere vere insieme, allora la risposta viene refutata. Consideriamo un esempio di elenchos dal primo libro della Repubblica di Platone: se alla domanda “che cos’è il giusto?” si rispondesse che il giusto consiste nel restituire ciò che si è ricevuto (331c-e), allora questa risposta non sarebbe coerente con una delle F-condizioni che dovrebbero essere soddisfatte da una definizione adeguata. Non sarebbe, cioè, coerente con la credenza che se l’uomo A ha donato armi all’uomo B, ma poi A ha perso il senno divenendo un pericolo per sé e gli altri, allora non si compirebbe giustizia a rendere le armi ad A, perché questi potrebbe usarle per far del male a sé o agli altri. In altre parole, la F-condizione da soddisfare è che dalla giustizia non segua l’ingiustizia, altrimenti non sarebbe giustizia. Si noti che lo status epistemico delle F-condizioni è più saldo e meno vago di quello della definizione, cioè della risposta alla domanda “che cos’è F?”. Le F-condizioni fungono da verificatori per la definizione.

Qual è il modello formale standard dell’elenchos? È il seguente:

(i) p.

(ii) q e r.

(iii) q e r ⇒ non-p.

(iv) non-p.[12]

Ciò che nei dialoghi giovanili platonici accade è questo: l’interlocutore di Socrate si impegna a sostenere la verità di p, cioè la risposta alla domanda “che cos’è F?”. Socrate, allora, interroga la controparte intorno ad altre proposizioni, o F-condizioni, cioè q e r (possono anche essere più di due). La congiunzione di queste proposizioni, che l’interlocutore ritiene vere, implica non-p. Egli, tuttavia, non è consapevole di questa implicazione. È compito di Socrate esplicitare che non-p è conseguenza delle credenze più salde q e r. Avendo mostrato al suo interlocutore che il suo insieme di credenze non è coerente, Socrate è convinto di aver dimostrato che p è falsa, perché non-p è vera.[13] Questa convinzione, in realtà, non è del tutto corretta. Socrate, infatti, non dimostra che p è falsa, bensì che l’insieme {p, q, r} è incoerente, perché da q e r segue non-p. Questo implica che o p è falsa, oppure lo è la congiunzione tra q e r.[14] In alcuni dialoghi, come il Gorgia e Repubblica I, Callicle e Trasimaco (rispettivamente, i due principali antagonisti) spesso ritrattano una delle loro credenze pur di impedire all’elenchos di giungere a conclusioni antitetiche a p, cioè la tesi che essi sostengono. È un’operazione logicamente legittima, seppur disperata. Non è un caso, infatti, che ricorrendo a nuove F-condizioni, diverse da q e r, Socrate riesca comunque a dedurre non-p. In questi casi, in cui l’interlocutore prima fornisce l’assenso e poi nega tale assenso, essendogli ora manifeste le conseguenze confutatorie di q e r, possiamo formalizzare la struttura elenctica come segue:

(i) p.                              [Tesi dell’interlocutore].

(ii) q e r.                       [Credenze condivise da Socrate e dall’interlocutore].

(iii) q e r ⇒ non-p.       [Conseguenza tratta da Socrate].

(iv) non-q o non-r.         [Negazione delle credenze da parte dell’interlocutore].

(v) a e b.                       [Nuove credenze condivise].

(vi) a e b ⇒ non-p.       [Stessa conseguenza tratta da Socrate].

La struttura (i)-(vi) è più complicata di quella precedente, ma è sostanzialmente identica. L’elenchos, infatti, è reiterabile.[15] Questo significa che qualunque sia la F-condizione negata o non ammessa dall’interlocutore, l’elenchos potrà procedere da altre assunzioni al fine di dimostrare che non-p è vera e, di conseguenza, p falsa. Di seguito, leggiamo un esempio di modello standard dell’elenchos. Consideriamo il Gorgia, uno degli ultimi dialoghi socratici. Socrate e Polo si interrogano se sia cosa peggiore fare o ricevere ingiustizia. Socrate sostiene sia cosa peggiore farla. Polo, invece, che sia cosa peggiore riceverla e che sia, inoltre, cosa migliore farla e non subire la pena.

SOCR: Quale male ti sembra peggiore, Polo, fare o ricevere ingiustizia?
POLO: A me riceverla!
SOCR: Ed è più brutto il fare o il ricevere ingiustizia?
POLO: Il fare ingiustizia.
SOCR: Dunque, è anche più dannoso, dal momento che è più brutto.
[…]
POLO: Certamente.
SOCR: E quando, fra due cose, una è più brutta, sarà tale perché supera l’altra o per il dolore che produce o per il danno o per l’uno e per l’altro. Non è così necessariamente?
POLO: Sì.
[…]
SOCR: E allora, se il fare ingiustizia è più brutto del riceverla, non dovrà essere tale o in quanto è più doloroso […] oppure più dannoso, oppure queste due insieme?
POLO: E come no?
SOCR: In primo luogo consideriamo questo: il fare ingiustizia supera per dolore il riceverla, nel senso che soffrono maggior dolore coloro che fanno ingiustizia di coloro che la ricevono?
POLO: Assolutamente no, Socrate!
SOCR: Dunque, non supera per il dolore.
POLO: No, certo.
SOCR: E se non per il dolore, non può superare neppure per ambedue.
POLO: Non pare.
SOCR: E, allora non resta che per l’altro.
POLO: Sì.
SOCR: Cioè per il male.
POLO: Sembra.
SOCR: Dunque, il fare ingiustizia dovrebbe essere peggiore del riceverla, perché più elevato il male che comporta.
POLO: È chiaro.[16]

L’argomento, in estrema sintesi, ha la forma prevista dal modello (i)-(iv):

(i) p = è meglio fare ingiustizia che riceverla.

(ii.a) q = è più brutto fare ingiustizia che riceverla.

(ii.b) r = un’azione è più brutta di un’altra se e solo se è più dolorosa, o più dannosa, o è sia più dolorosa sia più dannosa dell’altra.

(iii) q e r implicano non-p.

(iv) non-p = fare ingiustizia è peggiore che riceverla.

Fare ingiustizia è peggiore che riceverla, perché farla, seppur meno doloroso per chi la compie, è più dannoso che il solo riceverla. Infatti, commettendo un’ingiustizia si fa del male a chi la riceve e a chi la compie, cioè si fa del male anche a se stessi. Si fa del male a se stessi perché l’ingiustizia è un vizio e, pertanto, è un male dell’anima (Gorgia, 477b1-e5). Sono tantissimi gli altri esempi di elenchos socratico; non si può, per ovvie ragioni, presentarli tutti.

Torniamo, ora, alla questione che ha dato il titolo al paragrafo: perché ancora l’elenchos? Perché è uno strumento didattico-pedagogico che funziona perfettamente in un contesto maieutico. Un contesto, cioè, in cui il discente viene guidato alla scoperta di una certa conoscenza.[17] Esso ha il grande pregio di non fornire a colui che apprende soltanto informazioni, ma anche di insegnare un metodo di ragionamento valido per giustificare e rendere conto delle sue azioni e idee e di mettere alla prova le sue stesse convinzioni pregresse. Non è un caso, per esempio, che nello stesso campo della psicologia sia stato adottato, in tempi più o meno recenti, un approccio tipicamente socratico durante l’analisi del paziente. [18] Non bisogna neanche trascurare la connessione fra metodo scientifico e metodo elenctico. Entrambi, infatti, constano di cinque passi largamente sovrapponibili: 1) porsi una domanda, che nel caso dell’elenchos è solitamente la richiesta di una definizione; 2) assumere delle ipotesi; 3) testare, o sottoporre a elenchos le ipotesi; 4) se le ipotesi hanno resistito agli esami preliminari, accettarle provvisoriamente come vere e passare al punto seguente, se non hanno resistito allora tornare al punto 2; 5) agire di conseguenza.[19] Infine, non bisogna dimenticare che in tempi moderni in cui il dibattito pubblico e politico è focalizzato intorno alla distruzione dell’immagine dell’avversario, ridicolizzando e satireggiando, compiendo fallacie argomentative o strumentalizzando le informazioni, l’elenchos offre a colui che sia in grado di padroneggiarlo un’àncora di salvezza per giudicare in modo corretto e imparziale le opinioni di chiunque sia disposto ad argomentare. Il metodo elenctico, si può dire, è una prova di razionalità.


[1] Platone, Apologia di Socrate, 21d6-7, tr. ita. a cura di G. Reale.

[2] Per la vita di Socrate più in dettaglio, rimando al cap. 1 di Taylor, C. C. W., 2019, Socrates. A Very Short Introduction, OUP: Oxford.

[3] Burnyeat, M. F., 1997, “The Impiety of Socrates”, Ancient Philosophy, 17, pp. 1-12, è una più precisa rassegna storico-analitica del processo a Socrate.

[4] Per un’agile introduzione alla vita e al pensiero socratico rimando a Donini, P., & Ferrari, F., 2005, L’esercizio della ragione nel mondo classico, Einaudi, Torino, cap. 2, par. 4.

[5] Cornford, F. M., 1932, Before and After Socrates, CUP, Cambridge, pp. 20-21.

[6] Il termine non è stato coniato da Anassagora, ma da Aristotele (Metafisica, I, 984a14) perché ogni seme contiene una parte di ogni altra cosa. “Omeomerie”, etimologicamente, è l’unione di homoios (simile) e meros (parte). Per esempio, il pane, di cui ci nutriamo, contiene anche semi relativi alla carne, alle ossa, ai capelli, ai legamenti e così a tutti gli altri elementi relativi a tutte le altre cose, seppur a prevalere sono i semi del pane. Il Nous (intelletto) che è parte della spiegazione materialistica anassagorea pertiene alla questione (a) e non alla (b), infatti, esso non è mescolato coi semi degli enti, ma ne è causa ordinatrice.

[7] Cornford 1932, p. 16.

[8] Cornford 1932, pp. 32-37.

[9] Socrate segna un momento di distacco non solo da quanto e da chi lo ha preceduto, ma anche perché la sua influenza sarà essenziale per comprendere lo sviluppo del pensiero filosofico-scientifico successivo. Platone, allievo di Socrate, e Aristotele, allievo di Platone, adatteranno il modello socratico della ricerca etica della causa finale anche alla sfera cosmologico-metafisica. Essi creano un vero e proprio sistema mondo. Socrate non era teoreticamente impegnato con un sistema di tal sorta. Mentre Socrate, infatti, limitava la sua ricerca al campo dell’etica, entro cui con certa sicurezza si può applicare il modello del fine per fornire una spiegazione razionale di un comportamento, Platone introdurrà, in luogo dell’archè, la forma del Bene. Conseguentemente, Aristotele introdurrà il Motore Immobile. Entrambi i filosofi mutueranno da Socrate l’idea che la spiegazione di ogni cosa (etica o naturale che sia) debba ricercarsi nel suo fine e non nella sua causa motrice, non nel suo inizio. Si veda Cornford 1932, pp. 63-90.

[10] La distinzione tra conoscenza proposizionale e conoscenza diretta è stata messa ben in chiaro da Russell, B., 1911, “Knowledge by Acquaintance and Knowledge by Description”, Proceedings of the Aristotelian Society, 11, pp. 108-128. Consideriamo, per esempio, un quaderno. La conoscenza diretta di un quaderno è quella che si ottiene osservandolo, toccandolo, ispezionandolo coi sensi. La conoscenza proposizionale di un quaderno è quella che si ottiene descrivendolo o definendolo. Chiaramente, un oggetto universale e valoriale (come il buono, il giusto, il bello, il santo, il coraggioso) ammette una conoscenza che non può essere diretta, bensì solo proposizionale.

[11] Robinson, R., 1941, Plato’s Earlier Dialectic, Cornell University Press: New York, p. 8. Il termine “F-condizioni” è adottato da Wolfsdorf, D., 2003, “Socrates’ Pursuit of Definitions”, Phronesis, 48 (4), pp. 271-312.

[12] Vlastos, G., 2003, Studi Socratici, Vita e pensiero: Milano, p. 16.

[13] Il tipo di argomento (i)-(iv) è detto da Robinson (1941, pp. 23-25) una refutazione indiretta, in quanto si assume che una tesi sia vera al fine di dimostrarla falsa e quindi dimostrare vera la sua contraddittoria. In tal senso, si può anche parlare di elenchos indiretto. Questa forma sembra anche quella maggiormente usata da Socrate, infatti, su 39 argomenti elenctici dei dialoghi giovanili (Protagora, Eutifrone, Lachete, Carmide, Liside, Repubblica I, Gorgia, Menone, Eutidemo) ben 31 hanno forma indiretta. Un argomento diretto è, invece, un argomento in cui la conseguenza che si vuole dimostrare segue dalle premesse senza che vi sia refutazione di una delle premesse. Per esempio: A implica B, A è vero; quindi, segue che è vero anche B. Lo stesso Socrate dice che il suo metodo consiste nel controllare se una certa tesi si armonizzi con altre opinioni (Fedone 101d).

[14] Vlastos 2003, pp. 25-27.

[15] Vlastos 2003, p. 25.

[16] Platone, Gorgia, 474c4-475c8 (tr. ita. a cura di G. Reale). Con “azione più brutta” Socrate intende che un’azione è più dolorosa (causa dolore in qualcuno) o disutile (cioè causa uno svantaggio in qualcuno, cioè oltre a essere inutile per chi la subisce è anche dannosa). In definitiva, dunque, un’azione è brutta se è causa diretta di un male verso colui a cui è rivolta.

[17] Si rimanda a Copeland, M., 2005, Socratic Circles: Fostering Critical and Creative Thinking, Stenhouse Publishers: Portland; Tredway, L., 1995, “Socratic Seminars: Engaging Students in Intellectual Discourse”, Educational Leadership, 53 (1), pp. 26-29; Sorvatzioti, D., 2012, “The Socratic Method of Teaching in a Multidisciplinary Educational Setting”, International Journal of Arts and Sciences, 5 (5), pp. 61-71; Delić, H., e Bećirović, S., 2012, “Socratic Method as an Approach to Teaching”, European Researcher, 111 (10), pp. 511-517.

[18] Per il rapporto tra il metodo socratico e la psicoterapia rimando a Lageman, A. G., 1989, “Socrates and Psychotherapy”, Journal of Religion and Health, 28 (3), pp. 219-223; Overholser, J. C., 1993, “Elements of the Socratic Method: II. Inductive Reasoning”, Psychotherapy, 30, pp. 75-85.

[19] Dye, J., 1996: http://socratic-method.blogspot.com/2008/12/socratic-method-and-scientific-method.html.

Matteo Orilia

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