Il racconto di una crepa: Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia di Enrico Macioci

Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia, Enrico Macioci
Terrarossa edizioni, 2022

Quando ho chiesto a mia madre se avesse qualche ricordo dell’incidente del Vermicino, le mie ricerche private erano state già svolte. Avevo, cioè, letto articoli di giornale e visto spezzoni televisivi che raccontavano la storia di Alfredo Rampi o anche, come tutti lo chiamavano e ancora oggi lo ricordano (con invadente intimità), di Alfredino, il bambino caduto e morto in un pozzo artesiano nel Vermicino. Non le è costato alcuno sforzo riportare alla mente quello sgomento che anche io avevo provato al solo racconto di quella tragedia in quella che fu la diretta Rai più lunga nella storia della televisione italiana. Nel 1981 mia madre aveva tredici anni e mi ha detto, nella sua semplicità: “Per noi bambini è stato un trauma, più degli adulti”. Il punto di vista dei bambini, quello che in tutte le trasmissioni e in tutte le narrazioni che erano state costruite intorno a un caso così assurdo non era mai stato interpellato, riaffiorava adesso con la testimonianza diretta di un’adulta che aveva vissuto, allora, i suoi ultimi giorni da bambina.

Quello stesso punto di vista di cui, con cura e meticolosità, si fa carico Enrico Macioci nel suo ultimo romanzo “Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia”. E lo fa già dal titolo, un titolo che calca la frase che Alfredo ripeteva dal fondo del pozzo, ormai privo di lucidità.

Negli stessi giorni in cui la speranza di tirare fuori dal pozzo Alfredo Rampi si consuma, Christian scompare misteriosamente. Francesco, il vero protagonista di questa vicenda, era con lui poco prima che sparisse nel nulla, dietro l’angolo, in fondo al viale. Ciò che deve affrontare Francesco, coetaneo di Alfredo, è la irrequietezza degli adulti che lo circondano. Quelli “buoni”, come il padre e la madre che, nel tentativo di proteggerlo, non fanno che soffocare la sua ingenuità e quelli “cattivi” come il vicino di casa, un uomo macabro che alimenta i suoi sogni tormentosi. Forse proprio lui ha portato Christian via con sé?

Quello che accade a Francesco è un po’ quello che successe, io credo, a tutti i bambini in quegli asfissianti giorni d’estate fra il 10 e il 13 giugno del 1981: crebbero tutto d’un botto.

Enrico Macioci riesce, con la sua scrittura calibrata e insieme in bilico tra linearità e vette al contrario di profondità scrittoria, a mostrare con grande fermezza e tranquillità di spirito la verità del mondo ovvero quel grande squilibrio che consiste nel dato di fatto che, talvolta, la forza dei bambini supera quella degli adulti e che tale superiorità sta nella loro capacità di sentire la paura e difendere, quasi naturalmente, la loro ingenuità come se fosse una scelta inevitabile e razionale insieme. Francesco stesso arriva alla consapevolezza schiacciante che la paura è “Parte essenziale della vita e negarla è inutile e dannoso, negarla significa negare di esistere e questo lo fanno gli adulti, non i bambini”

A raccontare la storia del sé bambino è il Francesco adulto che, guardandosi nubilosamente indietro, scruta in quello spaccato della sua infanzia che fu la crepa da cui si diramarono tutti gli avvenimenti che lo avrebbero travolto da lì in poi.  Francesco, voce della voce dei bambini, si accorse, guardandoli negli occhi, che gli adulti che lo circondavano non erano più adulti di lui e che non avrebbero potuto difenderlo come promettevano. Macioci fa del fatto di cronaca reale miccia su cui si innesca una storia di fantasia che si addossa l’onere di scavare nelle viscere di una generazione e, attraverso l’espediente letterario, riaccende la memoria e scuote la coscienza collettiva.


Marica Gragnaniello

Marica Gragnaniello

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