Io sono la tua vicina di casa –  Costellazione parallela: come le donne ci danno le parole

Isabella Leardini, Costellazione Parallela, Poetesse italiane del Novecento
Vallecchi Firenze, 2023
 
Un articolo a cura di Chantal Salvinelli

Pubblicato nel 2022 da Vallecchi editore, Costellazione parallela è la raccolta poetica delle poetesse italiane più rappresentative del Novecento a cura di Isabella Leardini.

Pubblicato nel 2022 da Vallecchi editore, Costellazione parallela è la raccolta poetica delle poetesse italiane più rappresentative del Novecento a cura di Isabella Leardini.Leardini ha raccolto i testi di sedici poetesse a loro modo già emblemi del secolo raccontato, tra cui Antonia Pozzi, Cristina Campo e Alda Merini, ma suggerendone una lettura complessiva che evidenzi la necessità di una «genealogia e di un immaginario simbolico femminile in cui riconoscersi»(p. 10); la necessità di ricondurre a una poesia femminile corale ma eterogenea[I], che riconosca di ciascuna poetessa l’unicità ma al contempo ne collochi le poetiche in relazione tra loro, entro i confini di una riflessione più ampia, che parli appunto al secolo della poesia per eccellenza.

Leardini non intende Costellazione parallela come «un’antologia di poesia femminile» né intende portare all’attenzione «poeti che hanno avuto corpo di donna, ma raccogliere poesia degna di restare, dando voce anche al fatto di essere donne»(p. 1). Con un’analisi ragionata, Leardini non esclude dal suo atto di scelta una tradizione «fatta di ombre» (p. 8), e lo dimostra volendo usare la parola poetesse al posto del più rivendicato poete, accogliendone l’uso denigratorio ad essa associato ma facendolo forte del suo «potenziale reattivo», e risignificandolo politicamente quale «parola ferita». La sfida di Leardini è anche quella di combattere «le singolarità assolute» (p. 11), cioè i casi letterari, cui le poetesse sono state rilegate dal canone del Novecento, sfidare «l’automatismo interpretativo» che ha riempito la critica loro rivolta e superare l’idea di «coro di voci sole», (re)instaurando una tradizione, e superando di fatto anche il suo stesso intento editoriale: il compito, dice Leardini, è non rimanere nell’orizzonte della categoria, della competizione intra-genere, del paragone adiacente alla poesia in toto, invece il compito, vero per tutti i poeti, è «non essere mai più una costellazione parallela».

La tradizione che si distilla da Costellazione parallela è quella di una poetica riconoscibile derivante da «voci assertive, paniche fino alla lode universale, affermative anche nel dialogo aperto con le ombre» (p. 26), a differenza del nichilismo maschile e il senso di impotenza della poetica secolare. C’è anche, in tutte i versi femminili, un costante «elemento incantatorio del ritmo», un «elemento oracolare della perdita di sé», un repertorio simbolico ribaltato dall’interpretazione tradizionalmente assegnatagli: nei versi femminili, il mare ha a che fare con una pulsione di morte e non con la tenera malinconia, i fiori con l’appassimento precoce e non con la bellezza, il sangue con un indice di vitalità. Tra questi topoi comuni, c’è anche la mancanza, il dialogo con un uomo che è quasi sempre il proprio gemello mancante, spesso non all’altezza, a volte compagno necessario (crudele meraviglia / è amare te: godere di due vite / in questa sola, avere doppia morte, Uomo, Armanda Guiducci, p. 199)  a volte pura musa – che instilla quel battito breve di cuore che richiama a sé la voglia di sapere chi fu quell’uomo, come la Beatrice di Dante, con un tocco di mondanità in più; la voglia di sapere chi fu il lui-musa della famosa Moriremo Lontani di Cristina Campo è emblema del raggiungimento di picchi di bellezza, vuota come la pancia di una campana di cristallo che risuona di parole che non dicono, non fissano, ma creano e lasciano suonare in eterno. C’è l’erotismo sottile, c’è il dialogo col corpo, c’è il senso di apparizione e la violenza silenziosa. C’è, nella tradizione dimenticata della poesia femminile del Novecento, il mistero più puro della poesia.

Violento, e in qualche modo misterioso, è il mutarsi del mito femminile della poesia: il passaggio, come dice Leardini, dalla «forza sotterranea del ritmo e del canto», dal ruolo di Euridice, al ruolo del poeta in cerca, Orfeo, che «si volta indietro per uscire alla luce». Dalle «muse che risalgono da un altrove» al ruolo di poeta che canta fino allo smembramento. Non è un caso che Leardini chiuda la raccolta con Alda Merini e il suo La presenza di Orfeo, lei che fu vera proteiforme mitologica e che incarnò, nel corso del Novecento, il viaggio della poesia stessa, fino a farsi la sola testa di Orfeo che non dettava più versi ma responsi («negli ultimi anni anche lei aveva accettato di essere puro idolo, dettava responsi perché fossero dispersi» (p. 25).

Il mito incantatore, il vitalismo alternativo al cospetto del secolo gigante, la forza sotterranea del canto percorrono in parallelo le poetiche di grandi colleghi che combattevano la «lotta contro il nulla»,  facendosi forti, però, delle stesse parole ferite di cui questo secolo ha invece bisogno. Le donne danno le parole, come gli uomini hanno dato le parole al Novecento: immagini perfette che hanno saputo definire il sentimento, la mancanza, e definire chi è una donna, una cosa che ha perso e acquisito valore a momenti alterni, che però rappresenta il mistero più squisito, eppure pulsante, necessario della poesia.

La presenza vera di foglie segna un passo generale in cui viene affermato un alla terra e alle creature che vi dimorano:

Ascolta, il passo breve delle cose (Ascolta. Piove dalle nuvole sparse, Gabriele d’Annunzio, La pioggia nel pineto, 1902)

[…]

Chiama un nome immediato: la tua donna.

È fatta di ombra e ciclamini,

ti chiede il tuo mistero

e tu non lo sai dare.

[…]

Sotto, credi,

c’è presenza vera di foglie;

un incredibile cammino

che diventa una meta di coraggio.

Alda Merini, Ascolta (p. 277)

Sì alla terra ed all’acqua ed alle creature che vi dimorano,

sì all’aria da cui viene la vita, sì alla luce ed all’ombra,

sì al ritmo delle stagioni ed al ritmo del sangue

, Margherita Guidacci (p. 159)

E se le creature sono donne, la testimonianza poetica della propria vita (e anche del proprio atto letterario) si fa volitiva, vibrante, non meno confusa e non meno ideologica dell’altra costellazione maschile, ma definitiva, netta e (quasi costantemente) amorevole.

Io non fui originata

Ma balzai prepotente

Dalle trame del buio

Per allacciarmi ad ogni confusione.

Il Testamento, Alda Merini, (p. 271)

Sempre Alda Merini rispecchia il suo Testamento al Piccolo testamento di Eugenio Montale, in cui dà una prepotente certezza di confusione contro le provvisorie piccole certezze di Montale:

Non è un’eredità, un portafortuna

che può reggere all’urto dei monsoni

sul fil di ragno della memoria,

ma una storia non dura che nella cenere

e persistenza è solo l’estinzione.

Piccolo testamento, Eugenio Montale

Quando avrò alzato in me l’intimo fuoco / Che originava già queste bufere / E sarò salda, libera, vitale, / allora sarò sola? Chiede Alda Merini (Ottobre 1952, Sarò sola?, p. 270).

[…] solo un canto

può trasparirmi adesso dalla pelle

ed è un canto d’amore che matura

questa mia eternità senza confini.

Alda Merini, Io ho scritto per te ardue sentenze (p. 275)

Un canto d’amore che matura l’eternità femminile accomuna allora Nella Nobili, Margherita Guidacci, Lalla Romano, Cristina Campo, Antonia Pozzi, Mariagloria Sears.

Nella Nobili (1926-1985) raccoglie nei suoi versi la natura fremente, la vitalità ansiosa e il desiderio affilato e minacciato dall’ombra, come i tagli dei raggi luminosi, e dice limpidamente il desiderio, la gioventù, la perdita, la sofferenza (Io sento/ muovere petali e foglie/ nella crescita lenta (p. 219))

Se torna

Ancora una volta–  se torna

In pianto su questa parete

Tenetela ferma – tenetela

Con le spine nelle vesti– chiudete

Gli arbusti intorno ai suoi fianchi.

Nella Nobili, Un nido di rose bianche (p. 219)

Io mi perdo, sono concreto

Ma tu che sei sostanza tienimi fermo

Girami intorno, rompi questo limite

Di tempo, di misura, questo spazio

Che non è vuoto […]

Nella Nobili, Un nido di rose bianche (p. 222)

Margherita Guidacci (1921-1992), famosa traduttrice di Emily Dickinson, ha cantato così nitidamente la perdita di sé da «innescare un dialogo tra l’oscuro e il miracolo», come dice Leardini, riuscendo però nell’affermazione chiarissima di sé stessa, lasciando così versi perfetti che spiegano e non intuiscono. Il suo legame con la natura è del tutto metaforico, con una tensione ad un salto alato che, complice un’autobiografia segnata dalla malattia psichica, parla a tutti coloro che anelano a un’esperienza d’ali («Io la fenice che non rinasce», dice in Supernova). Io non so quale mare dovrò traversare /ma mi preparo oscuramente a traversarlo (A obscuras y segura, p. 162).

Tu confini con l’aria,

tocchi gli alberi, cogli i fiori, sei libera,

e sei tu stessa la tua prigione che cammina.

Prigione, Margherita Guidacci (p. 154)

Così sto in ascolto.

Non so dove volgermi.

Son radicata dove devo morire.

Sono un albero marcato di rosso

Perché l’ascia lo riconosca;

Un albero marcato nel bosco

Che sarà traversato da una strada,

E odo l’ascia che canta

Una canzone di morte intorno a me,

Si avvicina pesante come il passo di un ubriaco,

Il battito di un folle cuore o di un folle tamburo.

Lalla Romano (1906-2001), già parte della scuola torinese e gravitante intorno alla Einaudi, amica di Pavese e stimata da Montale, racchiude il mondo nella sua «precisione di sguardo» canta «lagioia sotterranea», la «vita accumulata», i «sogni come grandi uccelli», e il percorso silenzioso della poesia femminile accanto a quella maschile è quasi dichiarazione di poetica in molti dei suoi versi, un vero inno alla resilienza e alla condivisione del dolore nel corso di vita. «Io sono la tua vicina di casa» dice.

Non importa

Se vi siano da colmare

Spazi senza fine

Golfi di tempo

E lenti rosari di ore:

io sono la tua vicina di casa.

Non senti il mio passo

Nella stanza accanto?

Lalla Romano, Non importa, (p. 89)

Dell’anima ben poco sappiamo. Cristina Campo (1923-1977), voce della marginalità, «grande interprete del mistero», dice Leardini, mistica fiabesca e «forza capace di rovesciare i crismi», ha lasciato al Novecento alcuni dei più bei versi di vibrante amore per il mondo, di mistero nei confronti della vita, di avvolgente simbolismo a volte inspiegabile.

T’ho barattato, amore, con parole /Due mondi- e io vengo dall’altro.

Buio miele che odori

dentro i diafani vasi

sotto mille e seicento anni di lava –

ti riconoscerò dall’immortale

silenzio.

Cristina Campo, Amore, oggi il tuo nome, (p. 186)

[…] La lama che discerne del cuore

Le tremende intenzioni

Le rapinose esitazioni.

Cristina Campo, Diario bizantino, (p. 192)

Armanda Guiducci (1923-1992), traduttrice di Virginia Woolf, fondatrice della rivista «Ragionamenti» insieme a Franco Fortini, canta «l’erotismo esplicito» verso il maschile, sia come oggetto meraviglioso che inerme.

Silenzioso, ambiguamente casto,

giaci… Sembra tu ascolti prepararsi

il mormorante suono delle crescite.

[…]

Non è concesso a te, dal tuo profondo,

ciascuna volta di fiorire e basta.

Armanda Guiducci, I cicli delle primavere, p. 200

Ora, sappiamo

Le intermittenze, le cecità del cuore,

e che niente di intatto, sulla terra,

regge la luce a lungo.

Armanda Guiducci, Eclisse, p. 201

Antonia Pozzi (1912-1938) fu la poetessa della «troppa vita» (Per troppa vita che ho nel sangue / tremo / nel vasto inverno, Sgorgo, p. 108). Dalla selezione di Costellazione parallela le sue parole emergono come riflessi cristallini, con uno stile metrico così preciso che lo spazio tra le stagioni cantate illumina le parole dette.

Guardami: sono nuda

[…]

Guarda: pallida è la carne mia.

 […]

E le caviglie e tutte le giunture,

ho scarne e salde come un puro sangue.

Oggi, m’inarco nuda, nel nitore

Del bagno bianco e m’inarcherò nuda

Domani sopra un letto, se qualcuno

Mi prenderà. E un giorno nuda, sola […].

Antonia Pozzi, Canto della mia nudità, (p. 99)

Così dolce è sentirsi

Una piccola ombra

In riva alla luce

Antonia Pozzi, Sorelle, a voi non dispiace…, (p. 101)

Scopri l’onda del tempo

E la tua resa

Segreta

Antonia Pozzi, La vita, (p. 110)

Noi vigiliamo la nostra distanza. Mariagloria Sears (1927-1979) racchiude in un verso l’atto poetico delle poetesse della nebulosa lontana, eppure luminosa. Ada Negri, Sibilla Aleramo, Amalia Guglielminetti, Daria Menicanti, Fernanda Romagnoli, Maria Luisa Spaziani, Giovanna Bemporad e Amelia Rosselli completano il canone di Leardini, che auspica che il recupero di questa tradizione non comporti il «perpetuarla immutabile» (p. 28), auspica di non combattere più la battaglia per l’esistenza, ma di seguire la scia brillante di quelle stelle ormai implose, che però hanno già composto il nucleo delle anime poetiche in divenire. Le donne ci hanno già dato le parole, per creare quelle del nuovo universo.

E delle stelle intraviste

Non ho che il gelo

Poiché la vicenda si compie

Senza eroismo

Senza bellezza

Senza passione

Io sono morta da tempo

E qui c’è qualcuno che scrive.

Mariagloria Sears, Poiché dei mondi sognati, (p. 229)


[I] Cecilia Spaziani AA. VV. Costellazione parallela. Poetesse italiane del Novecento a cura di Isabella Leardini Vallecchi editore 2022, Oblio XIII, dicembre 2023.

Redazione

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