Non nella Enne non nella A ma nella Esse, Mariana Branca
Wojtek Edizioni, 2022

LIBRO.
Il libro alla fine se ne era venuto con me in India, insieme avevamo attraversato la povertà e la decadenza fatiscente, i rumori assordanti di un continente impossibile. Aveva traghettato dentro pulmini di calore e soli cocenti e io avevo traghettato in lui, tra le pagine che riportavano indietro alla me che ero stata, immersa dentro la musica che il libro conteneva non contenendola, dentro gli anni, dentro una cultura d’appartenenza in cui mi riconoscevo. Che sempre sarà mia. Che sempre sarà di Mariana Branca, l’autrice.
Lei, Mariana, la prima volta l’ho vista al Flip, il festival di letteratura indipendente di Pomigliano. Mi ha colpito la sua gentilezza, la profondità degli occhi, la felicità sincera quando le ho parlato della mia visione del libro, per scoprire che era anche la sua, che era stato il suo intento fare immergere me, la lettrice, in parole sapientemente capaci di farsi suono, farsi orecchio, trasportando infine dentro una storia, dentro un’amicizia, dentro un mondo, dentro le onde.
ONDE.
Roland SH-101 che non si annoiava mai.
Wm EX 808-HG specchiante fantastico irreale.
WM EX-655 esterno lavorato.
Sony TC-D5 PRO II con il quale due amici, protagonisti del libro, riescono a registrare un temporale e riascoltare persino le scariche elettriche, somiglianti, nella riproduzione perfetta, a ronzii di zanzare fulminate.
Il libro non racconta. Il libro suona. Lo fa con un linguaggio sperimentale, nuovissimo, duttile come la musica. La parola evoca la sua incorporeità arrotolandosi all’aria, viaggiatrice dentro spazi acustici. Tutto nel libro è suono. La lingua è suono. È onda che si annoda, ma in frequenze di toni, alle parole. È movimento, perpetuo divenire di corpi che ballano, la parola danza replicando bassi e ritmi, spiralizzandosi ondivaga, accostandosi esultante alle luci intermittenti nel buio della sala, rievocando la trans emotiva, richiamando le sagome ombrose della massa festante. Parole che sono quei corpi, cadenza, armonia, battiti, palpiti, baci negli angoli, visual stranianti, pugnalate nell’intermittenza di luci, scansione, numero, ordine, aria che sa di fumo.
Le frasi creano spettri sonori e aeree s’incarnano in timbri abbandonando la propria forma in lingua scritta, vista, esperita; non ci sono più lemmi ma percezioni. La pagina si piega a effetti acustici e tempi di crome, corde percosse, voci, percussioni, segnali di altro, i vocaboli sono note che gocciano suoni dentro le orecchie, bicchieri di plastica trasparente, sussurri sui lobi, occhi persi in un’ossessione che è movimento, vibrazione, sensualità del buio bucato da strobo, braccia che nuotano alzate e mani che roteano alte, schiene sudate contro le schiene, corpi, su altri corpi, ondeggiare.
NUCLEO.
Dentro le pagine ci sono Nicolás Jarr e Andrès F. Rodrigues, la voce narrante dietro cui si cela Mariana, sguardo di Andrés che racconta Nicolás. C’è l’amicizia, la loro, c’è la musica, l’amore per la musica, e ancora sotto un’altra storia, quella della club culture, della musica elettronica, di un modo di sentire, essere, viaggiare attraverso i continenti seguendo gli artisti. C’è un’epoca. E un’umanità composita, unita dal suono, che in quegli anni si sposta dal «mare grande», il continente americano, al «mare piccolo» l’Europa, inseguendo festival e dischi.
Il libro è stato scritto a partire da alcune interviste, e nella libera ispirazione che ne consegue racconta nella finzione narrativa due vite, unite, indissolubili, quella appunto di Nicolás Jarr, producer di musica elettronica, e Andrés, strette in un rapporto inseparabile il cui nucleo condiviso è la musica, ma anche un modus vivendi.
La storia si dipana consequenziale nel tempo a partire da «quegli anni che eravamo amici, che stavamo sempre insieme, quegli anni che ci volevamo un bene pazzo, che ci amicavamo ogni giorno di nuovo come la prima volta, qualche ora ci inimicavamo, poi ci appaciavamo, ci abbracciavamo oppure certe volte ci guardavamo soltanto. E un sacco di cose cogli occhi ci dicevamo e con le ciglia». Sono gli anni in cui ascoltano di tutto e sperimentano, sono gli anni di una presa di coscienza e d’amore per il suono, gli anni delle biciclette, del vento in faccia, delle mani sui seni, della complicità che cresce col tempo e non s’esaurisce. È poi il divenire, l’adolescenza abbozzata che si trasforma in coscienza. E sempre la loro amicizia, l’uno che guarda e ascolta e racconta, l’altro che suona e fa ballare. Sono gli anni della nascita della musica elettronica che cresce con loro. All’inizio è New York, il Wolf+Lamb Club Lounge dove tutto ha inizio, la musica underground degli scantinati, il suono elettronico che si avvita alle notti, alle albe, sono le feste di Pagliaccio&Tramonto, quelle in cui Nicolas sperimenta sé stesso come produttore di suoni. Poi è il successo, sono aerei e alberghi e valige piene di dischi, sono satelliti di persone e la pasta cucinata dall’amico di origine italiana Nino, sono i club, la sperimentazione dei sensi. «Una lunga festa lenta a ottanta BPM, non uno di più». È la scoperta che anche lo spazio è rumore «Che lo spazio ha le porte tutte aperte per portare fuori il rumore di dentro e dentro il rumore di fuori, o le porte tutte chiuse per tenere, contenere il rumore dentro così che dalla strada si possa ascoltare una scatola di silenzio in mezzo al rumore, uno spazio di silenzio e la curiosità di entrare»
Quando Nicolás suona ci sono sempre gli occhi di Andrés che osserva e descrive, c’è Dave «la linea di basso più profonda del mondo», Dave che «era suono depressurizzato, suono pressofuso» E Will, che era il fiato «il bassotuba, il sassotromba, il sassofono, gli ottoni» che «inspirava, espirava, soffiava, sputava nell’ancia che genera la vibrazione, che instaura il sistema di onde stazionarie, poi questa vibrazione la scagliava nel mare gommoso di Dave; frequenza rimbalzata, schizzata nell’aria, nel suono e rimabalzo di suono, rimabalzo del sassoso soffio del sassotromba, suono sassoso di bassotuba decompresso, compresso»
Lui, Nicolás, è invece l’onda, l’epicentro, il palco, l’emozione, il sentire, il vapore generato dai corpi che seguono il ritmo che la sua testa produce, il suo cuore decompone in ondosi marosi la musica. Lui sa che la musica si misura sullo spazio e tutta fa suono, le porte, le mani, i corpi, i gradini, le colonne dentro i locali, le mura, il vuoto, ogni cosa è suono e il suono attraverso lo spazio si fa vivo. Ma Nicolás non è mai da solo, non esiste senza lo sguardo di Andrés e Andrés senza Nicolás non è, come se le loro due personalità si compenetrassero e fossero specchio pur nella diversità, l’uno che pensa la musica, l’altro che la ascolta, ché non ci può essere suono senza udito, né producer senza l’astante. Nel buio l’uno suona, l’altro è tutti gli attori della festa in uno solo, nella solitudine beata dell’ascolto che si fa accompagnamento del corpo.
LUOGHI.
Il Boom in Portogallo e l’Ozora in Ungheria, il Black Moon Festival e il Sonica, il Lux a Lisbona, terrazza con scarpa, il Paradiso ad Amsterdam, sale di gioia, Il Rockside Festival in Danimarca, il The Arch, scantinato di Londra, il Fabric, muri rossi, il KaterHolzig, Berlino. Berlino e non riuscire mai a tornare a casa, perché, anche solo camminando, s’incontrava sempre qualcuno, qualcosa, la musica. Berlino la ricordo, nei locali sotterranei che erano stati della Stasi, da epicentro di morte e tortura, e orribile insaziabilità bestiale, erano divenuti luoghi in cui ci si muoveva ritmati, sudati, psichedelici ancheggiando sotto la pioggia di suoni che lì sbattevano duri e mobili contro le pareti, contro i mattoni che nella percezione ingannata erano gomma, e là vorticavano aerei, che dentro era notte e fuori era giorno. E le spiagge lungo la Sprea irroravano musica attraverso lo spazio finalmente soleggiato dell’estate berlinese, sulle sdraie che guardavano il fiume e il museo che contiene la città di Pergamo, le birre a un euro stazionavano sotto piedi scalzi bacchettanti di ritmo. Il Club der visionaere, i giardini, i bicchieri in bilico, le parole, le persone. E Prenzlauer Berg prima della gentrificazione, quando ancora i palazzi portavano con orgoglio fatiscente le loro ferite, che erano stati i proiettili e le fiammate d’incendi e lo sconquasso dei bombardamenti. Poi tutto era cresciuto, cambiato, come Prenzlauer Berg, evoluto in altro, ma lì era stata la nascita, da new York, da Wolf+Lamb, dalle feste Pagliaccio&Tramonto. Dalle onde.
FINE.
La storia di Non nella Enne non nella A ma nella Esse è, l’abbiamo detto, musica e amicizia singolarissima, loro sono IoLui e LuiIo e se il libro ripercorre un momento che è storia musicale, riproduce anche un amore fraterno, la simbiosi emotiva, emozionale, un’amicizia che è legame puro dentro gli anni «accordati, incordati, incoronati di corde e cordicelle». L’unione con Andrès risale a quei rapporti speciali di condivisione, nel qual caso il collante è la comprensione profondissima della musica, ma anche una chiara presa di posizione sul mondo. È un rapporto interiore viscerale di infinita complicità dell’essere unione in qualcosa. Qualcosa che appartiene alla sfera del sentire, e non servono parole, che sono segni imperfetti, tentativi di definire ciò che per sua natura essere definito non può, compresso com’è dall’aerità del suono che si disperde nello spazio per unire un universo, per congiungere persone con fili invisibili, sensibilità di corpi innestati su ritmi, che guardano il mondo attraverso un filtro acustico. Nicolás e Andrès non saranno nella N, non saranno nella A, si ritroveranno invece in una Esse che il finale rivela. Noi, invece, partecipanti di un cosmo, ci siamo già incontrati, senza saperlo, senza conoscerci, a volte era notte, talaltra giorno, sotto il palco o in fondo alla sala, ci siamo sfiorati, toccati, passati davanti, incastrati saltanti, condividendo un ricordo, uno spazio, una sera, una musica, eravamo nella V di Villalobos, nella T di Talabot e Timo Maas, nella F di Four Tet, nella M di Modeselektor e di Miss Kittin, nella E di Ellen Allien, e in tutte le altre lettere che ci hanno fatto ballare nella notte.
Silvia Penso