La teoria aristotelica del verbo essere, pt.2

Questo articolo è il secondo di due articoli correlati. La prima parte puoi trovarla qui.

L’essere non è un predicato.

Per Aristotele “non c’è differenza nel dire un uomo cammina e un uomo è camminante”, ché “camminante” e “cammina” sono perfettamente equivalenti.[1]

Per testare la diversità del verbo essere rispetto a un qualunque predicato, consideriamo le seguenti frasi:

  •  Socrate è camminante.
  •  Socrate cammina.

Se alla frase (1) si sottrae l’“è” si otterrà:

(3) Socrate camminante.

In (3) sono presenti ancora un soggetto (Socrate) ed un predicato (camminante). E, allora, non si è, certo, sottratto il predicato quando abbiamo cancellato l’“è”. Questo significa che in (1) il verbo essere non ha funzione di predicato, che è già svolta da “camminante”, ma ha una funzione diversa. Poiché gli elementi strutturali della frase non sono altro che soggetto, predicato e temporalità, allora al verbo essere non resta che la terza funzione. Lo stesso Aristotele dice che “in un uomo è giusto, dico che l’è è il terzo componente”[2], così, di fatto, presentando un modello tripartito della struttura della frase apofantica.

Il verbo essere viene anche inserito in quelle frasi in cui al predicato non corrisponde un verbo, sicché esso ha la sola funzione di nominare il tempo della frase. Consideriamo la seguente frase:

  •  Federica avvocato.

Chiaramente (4) è mal formata, nel senso che non è grammaticalmente corretta in italiano. Ciò che in (4) si vuole intendere è che a Federica appartiene il predicato essere avvocato. Tuttavia, per questioni contingenti, non esiste in italiano un verbo del tipo “avvocatizzare”, e conseguentemente non è possibile ottenere enunciati come:

(5)’ Federica avvocatizza.

(6)’ Federica avvocatizzava.

(7)’ Federica avvocatizzerà.

L’unico modo per formare un enunciato che esprima tale attribuzione del predicato al soggetto in modo grammaticalmente corretto è usare il verbo essere, formando gli enunciati corrispondenti: 

(5) Federica è avvocato.

(6) Federica era avvocato.

(7) Federica sarà avvocato.

In (5)-(7) possiamo, inoltre, sostituire al predicato avvocato qualunque altro predicato e otterremo ancora una frase ben formata. Da ciò si può dedurre che il verbo essere significa tutti i predicati possibili, perché a esso può seguire qualunque predicato. Il verbo essere quindi non è un predicato, ma è il supporto del tempo grammaticale in frasi in cui il predicato può o non può essere verbalizzato: nel primo caso, è un supporto puramente vestigiale, mentre nel secondo caso, è un supporto grammaticalmente necessario.

La fortuna della teoria linguistica di Aristotele.

La teoria linguistica di Aristotele sul verbo essere è stata, mutatis mutandis, ripresa dalla linguistica generale e, in particolare, ha avuto grande seguito all’interno del filone di ricerca della grammatica generativa (Chomsky 1988). Senza addentrarci oziosamente in questioni tecniche e complesse, sarà sufficiente indicare che l’unità fondamentale del discorso, la frase, è suddivisa in tre componenti: sintagma nominale (SN), sintagma verbale (SV) e temporalità (T). Non è difficile riconoscere in questa tripartizione canonica la medesima articolazione triadica che già Aristotele aveva riconosciuto, con la differenza che per lo Stagirita gli elementi fondamentali erano: soggetto (SN), predicato (SV) e aggiunta del tempo (T). Questa constatazione venne portata alla luce da Noam Chomsky durante le celebri lezioni di Managua, poi messe per iscritto:

…l’evidenza empirica indica che le lingue umane non adottano i princìpi familiari della logica moderna. Al contrario, le lingue umane aderiscono alla concezione aristotelica classica secondo la quale una frase ha un soggetto e un predicato, dove il predicato può essere complesso: può consistere di un verbo e del suo complemento oggetto.[3]

Ovviamente Chomsky non si limita sic et simpliciter a una pedissequa ripresa di Aristotele, temi e argomenti come quello dell’innatismo linguistico e dell’esistenza di princìpi e parametri del linguaggio erano completamente estranei al filosofo greco. Tuttavia, è indubbio che la teoria sintattica che fonda l’articolazione della frase su una struttura del tipo [SN][T[SV]] sia un’elaborazione e un arricchimento della concezione aristotelica.

Consideriamo una frase affermativa in cui è presente l’essere:

(8) La causa della rivolta fu il malcontento.

La struttura di (8), con doverose e opportune semplificazioni che, pure, non intaccano la validità di una spiegazione puramente sintattica, è la seguente:

La struttura di (8.1) lascia intravedere come il verbo essere – di cui è stata lasciata una copia, o traccia, barrata per indicare che il verbo è stato declinato al passato spostandosi dalla categoria di V a quella di T – assuma la funzione di indicatore della temporalità. In mancanza del verbo essere il solo modo di cui si può disporre per ottenere una costruzione grammaticalmente legittima è verbalizzare il primo sintagma nominale, ottenendo:

(9) Il malcontento causò la rivolta.

Tuttavia, la frase (9), seppur semanticamente equivalente alla (8), non lo è più sintatticamente. Innanzitutto, perché i verbi che reggono il complemento oggetto sono differenti – uno è un verbo regolare transitivo e l’altro un ausiliare irregolare intransitivo; poi perché in (9) fallisce lo scambio dei nomi, mentre in (8) esso è ancora possibile. Supponendo che in (9) sia realizzabile uno scambio dei due SN (“il malcontento” e “la rivolta”), deriverebbe una frase (9)’ che avrebbe un significato diverso e non più coerente col significato della frase originaria:

(9)’ La rivolta causò il malcontento.

Di contro, nella frase (8), che riscriviamo qui sotto per comodità, è possibile lo scambio dei due sintagmi nominali. Scambiando di posto “la causa della rivolta” e “il malcontento”, ma lasciando il “fu” invariato, otterremo la frase (10) che è semanticamente equivalente alla (8):

(8) La causa della rivolta fu il malcontento.

(10) Il malcontento fu la causa della rivolta.

Lo scambio dei nomi è un parametro sintattico che sembra essere una proprietà del verbo essere. Non è, tuttavia, necessario indagare ulteriormente tale test di scambio che ci spingerebbe troppo lontano dai fini del presente articolo. Basti quanto detto per evidenziare come l’analisi che Aristotele ha fatto del verbo essere, indicandolo come un verbo sui generis la cui autentica funzione è quella di essere nome del tempo all’interno della frase, ha trovato nuove e ulteriori argomentazioni a proprio favore anche dalla linguistica contemporanea.


Bibliografia

Opere principali

Aristotele, Dell’Interpretazione, a cura di Zanatta, M., 1992, BUR, Milano.

Ackrill, J., 1963, Aristotle’s Categories and De Interpretatione, OUP, Oxford.

Moro, A., 2010, Breve storia del verbo essere, Adelphi, Milano.

Opere secondarie

Ackrill, J., 1981, Aristotle The Philosopher, OUP, Oxford, tr. ita. a cura di Crivelli, P., 1993, Aristotele, il Mulino, Bologna.

Aristotele, Organon, a cura di Colli, G., 1955, Laterza, Roma-Bari.

Aristotele, Categorie, a cura di Zanatta, M., 2018, BUR, Milano.

Berti, E., 1962, La filosofia del primo Aristotele, Vita e Pensiero, Firenze.

Berti, E., 1979, Profilo di Aristotele, Edizioni Studium, Roma.

Calvo, T., 2014, The Verb ‘Be’ (εἰμί) and Aristotelian Ontology, in “Teorema”, 33, pp. 45-55.

Chomsky, N., 1988, Language and Problems of Knowledge. The Managua Lectures, MIT Press, Cambridge.

Frede, E., 1994, The Stoic Notion of a «Lekton», in Companions to Ancient Thought, vol. III: Language, a cura di S. Everson, CUP, Cambridge, pp. 109-28.

Frege, G., 1892, Über Sinn und Bedeutung, inZeitschrift für Philosophie und philosophische Kritik”, 100, pp. 25–50.

Hintikka, J., 1959, Aristotle and the Ambiguity of Ambiguity, in “Inquiry”, 2, pp. 65-90.

Hintikka, J., 2006, Ta Meta Ta Metaphysica: The Argumentative Structure of Aristotle’s Metaphysics, in Hirvoen, V., et alii, Mind and Modality: Studies in the History of Philosophy in Honour of Simo Knuutila, Leiden, Brill, pp. 41-53. 

Lesky, A., 1996, Storia della letteratura greca, vol. III: L’ellenismo, Il Saggiatore, Milano.

Russell, B., 1919, Introduction to Mathematical Philosophy, George Allen & Unwin, Londra.


[1] Idem, 21b9-10

[2] Idem, 19b20-22

[3] Chomsky 1988, p. 49.

Matteo Orilia

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