Rachele ha gli occhi grandi e quando li spalanca per vedere meglio, diventano enormi. Sembrano due pianeti disabitati, o quei lecca lecca giganti tipici delle feste di paese, con i gusti disegnati a vortice e tutti quei colori assurdi che hai paura di mangiare, perché se li guardi fissi ti ipnotizzano.
Oggi si sente particolarmente nuda, nonostante i tantissimi tatuaggi colorati che la vestono e di cui di solito va fiera, ma che a volte vorrebbe strapparsi di dosso a morsi, e adesso è una di quelle volte. Così non fa che fumare, accendendosi la sigaretta successiva con gli ultimi sospiri di quella precedente, che evita di spegnere perché ha finito gli accendini pieni.
Ma gli accendini non si buttano mai via anche dopo che è finito il gas, perché con la scintilla può accendere i fornelli della cucina. Questa era un’abitudine che aveva preso dalla madre, che col gas ci si era ammazzata, proprio nel garage di sotto, addormentandosi nella vecchia Ford del marito, lasciando il motore accesso fino alla fine completa del diesel. L’aveva trovata il signor Luciano, che di buon mattino porta sempre a spasso il cane, un vecchio labrador cieco da un occhio, il primo ad essere turbato da quella strana puzza.
Il padre se n’è andato al creatore il mese scorso, raggiungendola, e lasciando Rachele orfana in una casa talmente piena di ricordi, che non riesce a sentire sua, pur essendone l’unica erede. Sta facendo delle scatole di scarpe piene di foto, qualcuna la strappa e la butta via, ma è un modo per conservare solo i ricordi quelli belli. Tiene tutte quelle in cui è vestita da maschietto, coi jeans strappati ed i capelli corti, perché le ricordano suo nonno, che le aveva fatto da padre, e proprio non era capace a conciarla da femminuccia.
Eccoli Mario e Flora, lui sul trattore, lei con i capelli legati e un seno enorme, in cui nascondeva di tutto. Sfoglia le foto dei nonni paterni e non le scendono lacrime, ma sorride sotto i baffi, perché Mario le faceva mangiare, di nascosto dai suoi, tutte le cose che le erano vietate, tipo la nutella, e le aveva insegnato ad uccidere conigli e galline e a rubare le pannocchie nel campo sterminato del vicino.
L’ansia che Mario le aveva imposto quando faceva certe cose se la portava sempre dietro come un santino, mentre guidava sempre di fretta, quando faceva la supplente nella scuola elementare sotto la chiesa. I bambini la adoravano perché la trovavano buffa, e ora che mancava lei e non la maestra di ruolo, si sentivano un po’ spaesati.
Rachele sogna spesso di restare senza denti, e si sveglia sbattendoli forte per vedere se ci sono ancora, poi scuote la testa come fanno i cani prima di rientrare a casa, scrollandosi di dosso quel che resta della notte; pensieri, sempre pensieri, la federa del cuscino da mettere a lavare.
“Questa è la seconda settimana di ritardo, se non erro.” Si dice a bassa voce mentre apre la macchinetta del caffè, sperando di sbagliare: “ Mi devo segnare tutto. Da oggi in poi mi segnerò, tutto. Non posso essere incinta. E di chi poi? Di Marco? Di Antonio?”. Si batte la testa come si fa in chiesa col petto, per chiedere perdono a Nostro Signore. Ma lei in chiesa non ci va. Non c’è andata neanche per il funerale dei suoi.
Accende il gas con la scintilla del suo accendino da buttare. “Allora, ci sono uscita il cinque perché dovevano venirmi il dieci, oggi è venticinque, no ma sicuramente ricordo male.”
Intanto la moka borbotta e piano piano si riempie fino all’orlo, perdendo un poco di liquido persino dalla piccola valvola di lato. Si sforza di ricordare qualche particolare di quella sera, ma sicuramente aveva bevuto, allora si piazza davanti al cellulare e torna indietro tra i messaggi, per risalire alla data esatta.
“Non posso essere uscita con tutti e due lo stesso giorno.” E sfoglia le foto nella galleria, tornando indietro, e le scappa un sorriso quando le appaiono quelle dei suoi. Le aveva salvate in occasione della morte di suo padre, ma non le aveva mai guardate realmente.
La più bella era sicuramente quella in cui era sdraiata su un plaid a scacchi vicino la mamma, sui prati sotto Monte Morra, e il papà stava accendendo il fuoco in mezzo ad un cerchio che aveva fatto coi sassi, direttamente per terra. Cerca di ricordare chi avesse scattato quella foto, e si arrende all’idea che fosse stato semplicemente un passante.
Tra le sue gambe incrociate c’era uno di quei contenitori che la mamma aveva ricevuto per regalo, dopo aver fatto un ordine di prodotti molto generoso nell’azienda per cui aveva lavorato da giovane. Era pieno di peperoni a insalata, che si potevano mangiare per contorno alla carne che suo papà si stava apprestando a cuocere.
Lui non guardava mai l’obiettivo quando gli facevano le foto perché si vergognava delle sue enormi orecchie a sventola; questo aveva reso praticamente impossibile trovare una foto adatta alla sua lapide, e gli operai del cimitero, infatti, ancora non l’avevano chiusa. Rachele e sua mamma invece erano immortalate in uno splendido cheese.
“Se li chiamassi?” Pensò di lasciare al fato l’assegnazione di chi dei due fosse il fatidico padre del suo fatidico figlio. Uno dei due non le avrebbe risposto. Uno dei due sarebbe stato felice di sentirla. Ma quella telefonata eventuale era veramente difficile da fare. “Vado a comprare il test. Poi li chiamerò. Certo farò così.”
Si beve il caffè ancora bollente, si fuma una sigaretta in finestra e si mette la salopette di jeans, che porta da dieci giorni ormai, con sotto uno dei suoi maglioni approssimativi che la fanno sembrare una ragazza dell’est.
Quando entra in farmacia, il rumore del cicalino fa girare tutti quelli in fila verso di lei. “Buongiorno”. Non è di certo un buongiorno, ma a volte con l’educazione Rachele stempera la tensione di certe situazioni che potrebbero sorprenderla impacciata. Fa finta di dover comprare un bagnoschiuma specifico, avvicinandosi alla parete allestita, ma rimanendo attenta al suo posto nella fila.
E’ il suo turno. Si gira per vedere se c’è qualcuno che la conosce. “Test di gravidanza giusto?” Le fa la farmacista. “Emmm, sì ma come ha fatto a indovinare?” La liquida con un lapidario: “ Sesto senso femminile!” E le passa quello più economico, dando per scontato che avrebbe voluto spendere il meno possibile. Paga e si dilegua nell’assordante rumore dei clacson della via di fronte.
Rachele pensa che le scale fino al suo portone d’ingresso sarebbero state infinite, invece le fa a due a due, e in pochi minuti si ritrova a fissare il suo cognome sul citofono. Fin dai tempi della scuola le aveva amate perché le facevano risparmiare quasi due kilometri di asfalto, ma anche odiate: avrebbe pagato oro se fossero state mobili. Sotto il suo citofono c’è sempre la vecchia scritta che aveva fatto Alfonso, il suo primo amore: Rachele Libera!
Alfonso l’aveva scritto perché suo papà non la faceva uscire, per dei vecchi rancori tra le due famiglie diceva, ma era semplicemente geloso e lei stava crescendo. Dopo vent’anni quella scritta ancora la faceva ridere.
Una volta entrata in casa, se ne va in bagno e se ne sta qualche minuto davanti allo specchio. Poi si sbottona e si siede comoda scartando la confezione del test. Se l’avvicina sotto pronta a pisciarci sopra, ma, passata una mezz’ora di pisciare proprio non se ne parla.
Stefano Tarquini nasce a Roma nel Giugno del 1978. Fa studi classici e si avvicina fin da subito alla poesia rimanendo completamente affascinato dalla beat generation e dal primo libro che legge senza condizionamenti esterni : “On the road” di Jack Kerouack. Conosce la Pivano e Ferlinghetti a Firenze. Scopre Bukowski. Divora Emidio Clementi, Claudio Piersanti, Ivano Ferrari, Antonio Moresco, Giuseppe Casa. Ha un rapporto epistolare con Maurizio Cucchi che sfocia in una pubblicazione di sue poesie su “Specchio” di Repubblica. Nella prima fase della sua scrittura pubblica su tantissimi blog di settore, riviste online e non. Partecipa attivamente a manifestazioni poetiche, concorsi, laboratori di scrittura creativa. Comincia a lavorare nel 1998. Mette su famiglia. Fa una figlia. Smette momentaneamente di scrivere per dedicarsi ad un’altra sua grande passione: la musica. Fa 5 dischi con un gruppo crossover romano, i Palkosceniko al Neon, con cui colleziona più di 300 live in giro per l’Italia e l’Europa. Collabora con tantissimi gruppi della provincia romana. Organizza cinque edizioni di un festival di musica indipendente il “Pecora Nera Festival”. Nel tempo libero fa sport ed è amante della montagna e della buona cucina. Negli ultimi anni ha ricominciato a scrivere. Lo potete leggere su “Poetry Factory”, “Leggere Poesia”, “L’Ottavo”, “Poesia Ultracontemporanea”, “La rosa in più”, “Poeti dal parco” e “Cartoline Volanti”. “Garibaldi, Thomas e la fica” appare su: “Romanagua.wordpress.com”. “Due” appare su: “Vocedelverborivista.com”. “Consegne” appare su: “Smezziamo.it”. “Maradona, la Caritas e bastoncini di pesce” appare su: “Biroconlaccento.com”. “La fine non è la fine” appare su: “Tremilabattute.art.blog”. “Mannitòlo” appare su: “L’incendiario.com”.