Al buio

1.
L’asfalto bollente credo sia diventato tutt’uno con la mia pelle. Ancora qualche minuto e quando mi tireranno su gran parte dei miei avambracci si strapperà, rimanendo attaccata lì, a far da contrasto con il nero della strada. Non vedo l’ora di osservare la faccia dei miei soccorritori quando dovranno assistere a questo spettacolo, in quel momento sì che mi farò delle belle risate, o quantomeno, se potessi me le farei sicuramente. Ammetto che la speranza che qualcuno mi noti, man mano che il tempo passa, va sempre più scemando. Sarà più di un’ora che fisso ininterrottamente il blu del cielo, tanto che oramai credo di odiarlo con tutto me stesso questo noiosissimo colore. Giusto il lento passaggio delle nuvole, e qualche aereo di linea, fanno sì che la monotona ripetizione cromatica s’interrompa, distraendomi un po’. Che poi, vorrei proprio sapere da dove viene tutta questa necessità di distrarmi quando il mio unico pensiero dovrebbe essere rivolto alla speranza che qualcuno si accorga presto di me. Non riuscirei proprio a sopportarlo un altro cazzo di cane che incuriosito dalla mia immobilità decida nuovamente di avvicinarsi e iniziare beatamente a leccarmi la faccia. Per fortuna è durato poco, non ho capito cosa sia successo, ma dopo qualche minuto di slinguazzate varie qualcosa deve averlo distratto ed è corso via. Chiaro, non è che sentissi nulla, ma avere la sua lunga, e sicuramente altrettanto viscida, lingua sui miei occhi non è un’esperienza che la mia dignità si sarebbe meritata di subire. Impazzirei se dovessi subirlo di nuovo. Giuro.

Spesso mi sono immaginato il giorno della mia morte. Non che abbia mai avuto chissà quale fissa con l’argomento, capiamoci, ma semplicemente perché ogni tanto mi sono soffermato qualche secondo a pensarci su. Capita a tutti no? Per esempio mentre ti fai la barba, o sei immerso nel traffico ed il conduttore radiofonico dice tante di quelle cazzate da strapparsi via le orecchie, oppure mentre stai aspettando la tua ragazza fuori dal suo negozio preferito di abbigliamento.  Comunque sia, la mia fine l’ho sempre immaginata bussarmi alla porta in un giorno felice. Certo, capisco bene quanto possa essere distante il concetto di felicità riferito al termine di una vita, ma lasciatemi spiegare. Io mi vedevo anziano, non esageratamente decrepito, un non troppo malridotto ottantenne, insomma, che sdraiato sul letto di casa propria, circondato dai suoi figli e nipoti, serenamente se ne va. Punto.

Mi sarei spento così, lentamente, circondato dall’amore della mia famiglia come un qualsiasi film a lieto fine. Invece il destino ed il mio stramaledetto cuore hanno deciso, senza neppure preavvisare, di modificare i miei piani e abbandonarmi lì, sdraiato a terra, inerte, con i cani liberi di leccarmi la faccia, e sicuramente, se non sarò molto fortunato nelle prossime ore, anche di pisciarci allegramente sopra. In questa situazione, che descriverei quantomeno disastrosa, il mio cervello ha escogitato di rendere il tutto leggermente particolare, rimanendo stranamente lucido e vigile. Dopotutto io lo capisco pure, sarebbe stata troppo semplice una comune morte, sbam, un colpo e via. Un attimo prima ci sono, il secondo dopo non più. Quasi noiosa come dipartita devo ammetterlo. Invece no, il “Brillantissimo” ha avuto la geniale idea, assecondato anche da occhi e orecchie di rimanere presente e registrare tutto quel che mi accade intorno.                                                                                                                       Ho il vago sentore che avrò tanto tempo per pensare, purtroppo.

2.

Già me li vedo i titoli dei giornali di domattina: “Ritrovato corpo di un uomo di mezza età, dai rilevamenti la morte risale ad alcuni giorni. Non risultano segnalazioni di scomparsa”. Bellissimo, fa quasi tenerezza.                                                                                                   In fondo l’ho sempre desiderata un po’ di celebrità. Di quella leggera, discreta, che fa conoscere alle persone chi sei o cosa fai. Non certo quella asfissiante che preclude la passeggiata la domenica mattina al parco con tuo figlio. No, quella forse mi avrebbe solamente condotto dritto dritto in manicomio.                                                                                                                   A pensarci bene, ogni ora che dovessi trascorrere qui disteso, con i cani pronti a ricoprirmi di escrementi e morsi, mi farebbe lentamente scalare le pagine del quotidiano che deciderà di pubblicare la notizia della mia morte. Ogni minuto passato, renderebbe la mia dipartita sempre più tetra e malinconica agli occhi dei lettori, trasformandola esattamente in quel che la gente vorrebbe leggere. Cristo, mi conviene quasi sperarlo di passar qui più tempo possibile. Certo, sarebbe stato meglio incontrarmici da vivo con la fama, magari finendo nell’inserto cultura, e non nei fatti di cronaca, ma ormai che mi ci trovo cazzo pretendo almeno la prima pagina. È anche vero che avere la copertina, ma senza potersene vantare con nessuno, o poterla appendere con tanto di prestigiosa cornice in sala da pranzo, non ha molto senso. Da morto non saprei proprio cosa farmene. Quindi niente da fare, rimango dell’idea che voglio esser portato via da qui il prima possibile, ne ho già abbastanza.

Ecco, a proposito della mia scomparsa, devo dirvi una cosa che o farà aprire gli occhi a molti di voi, o mi farà passare per ovvio e scontato. Ma mi sento di dirla. Mi sono reso conto, dopo anni, che essere un’egoista, egocentrico e menefreghista non porti proprio a grandissimi vantaggi, soprattutto a lungo andare. Mi spiego meglio, le mie ex mi odiano, di amici non ne ho, e i miei genitori non ci sono più, ma se ancora fossero in vita non so quanto avrebbero elencato le mie lodi. Tutto questo per dirvi che sono, o meglio ero, uno di quelli che il giorno di Natale, per esempio, avrebbe preferito di gran lunga lavorare solo in casa, magari con una fumante cioccolata calda in tazza, piuttosto che condividere inutili scambi di regali. Il problema è che non ho mai dedicato troppo tempo agli altri e questo mio carattere del cazzo mi porterà a imputridire per chissà quanto tempo qui, vicino a questo dannato marciapiede, perché nessuno avviserà le autorità della mia scomparsa. Nessuno, in questo momento, sta controllando con ansia l’orologio in attesa che il campanello suoni, e nessuno vede l’ora di saltarmi al collo baciandomi con trepidazione non appena aperta la porta. Nessuno, è questo il problema. Neanche un amico ad aspettare una chiamata. Nulla. Anche se, ora che ci penso, potrebbe esserci Giulio, il mio agente. Certo, pensare che il mio ritrovamento sia nelle mani di quel tutt’altro che sveglio del mio agente, mi fa venir voglia di piangere. Spero almeno che non ci metta molto a capire che il fatto che non risponda al cellulare da non so quanto tempo, anche se fino a stamattina declinavo abbondantemente il novanta percento delle sue chiamate, non sia esattamente una cosa normale. Lo so, solo un coglione ignorerebbe le chiamate del proprio agente, che magari lo sta chiamando per proporgli qualche lavoro o forma di guadagno. Esattamente questo direbbe chi non conosce Giulio, io, invece, che lo conosco bene, e compatisco a tal punto da non trovarmi un altro agente, vi assicuro che i motivi delle sue telefonate sono perlopiù per parlarmi di questioni private tra lui e sua moglie. Ogni fottuta volta, mi ritrovo ad ascoltare un elenco sempre nuovo di nomi maschili ai quali, oltre a mille insulti, affibbia anche il fatto che si stiano scopando sua moglie. Mai come ora però mi auguro stia avendo una terribile scenata di gelosia e che me ne voglia parlare al più presto. Non vi ho detto perché ho un agente. La presenza di Giulio è giustificata dal fatto che per campare scrivo. Non sono famoso ovviamente, sennò non sarei così entusiasta della possibilità di finire sul giornale, quindi non vi preoccupate, non avete perso il vostro scrittore preferito. Il mio lavoro consiste proprio nel non apparire, nel non esser famoso, nel non essere un nome in copertina, sono un ghostwriter. Per capirci meglio scrivo perlopiù autobiografie, che poi “auto” non sono proprio per niente, di politici, cantanti, calciatori e chi più ne ha più ne metta. Pensate che un tempo sognavo di fare la letteratura, quella vera, da premi letterari e riconoscimenti. Se doveste aver pensato “Che finaccia”, avete fatto bene.

3.

Non so chi tu sia ma ti chiedo scusa. Ti chiedo scusa perché dall’inclinazione che ormai ha preso il mio collo, ti sto vedendo lentamente avvicinarti sempre più verso di me. Spero davvero deciderai di voltarti di colpo, tornando sui tuoi passi, capendo magari d’aver sbagliato strada, ma se così non fosse, sarà inevitabile imbatterti in me. O meglio, in quel che resta di me.                                                         Immagino che per una ragazza già non sia facile tornare a casa da sola, di sera, magari dopo il lavoro, in questa città della malora. Chissà quanto tempo ci metterai per poter tornare di nuovo, serenamente, alla tua normalità, senza l’incubo di ritrovarti un altro cadavere sotto gli occhi. Chissà per quanto tempo mi sognerai, o meglio, farai un incubo dove io sarò il protagonista.  Forse, se non avessi gli occhi puntati sul display del cellulare ti saresti accorta di me già da qualche metro e tutto ciò potrebbe essere meno traumatizzante, anche se non so esattamente di quanto. Ecco, proprio ora il tuo piede si sta alzando per compiere il passo che lo farà ricadere sul mio braccio sinistro, credimi, vorrei spostarlo e farti tornare a casa in pace, ma non posso, quindi non mi resta che presentarmi. Piacere mi chiamo Diego e non penso ci sia occasione migliore di dirti che avrei voluto incontrarti in una circostanza differente.

4.

Sono felice che a breve mi porteranno via da qui. Finalmente, cazzo, non vedevo l’ora! Provate voi a rimanere fermi per ore, senza neppure sapere se e quando potrete spostarvi, o meglio, quando qualcuno verrà a spostarvi, e cosa ancora peggiore avere perennemente uno sguardo inamovibile come stupidi pesci messi in mostra in una pescheria. In fin dei conti quello sono stato per ore, un pesce, e mi dispiace non aver avuto più compassione per loro quando ero in vita. Comunque sia, vi posso giurare che l’urlo che ha cacciato fuori la ragazza, nel momento esatto in cui ha abbassato lo sguardo per capire cosa avesse calpestato, è stato il suono più assordante che abbia mai sentito in tutta la mia vita. Ma se ora mi trovo all’interno di un’ambulanza che mi sta portando chissà dove, lo devo unicamente al fatto che lei, dopo qualche minuto di totale confusione, è riuscita a chiamare il 118 e balbettando a fatica con la voce rotta dal pianto, dopo vari tentativi, è arrivata a farsi capire dall’interlocutore al centralino, riuscendogli infine a dare le proprie generalità e soprattutto le indicazioni su dove mi trovassi.                                                                                                                             Poco dopo l’urlo, però, si è allontanata in tutta fretta uscendo dal mio campo visivo. Ero certo se ne fosse andata. Non mi avrebbe sorpreso più di tanto se lo avesse fatto, e sinceramente l’avrei anche capita. Invece mi sbagliavo di grosso, ma di questo me ne sono resoconto soltanto quando gli operatori dell’ambulanza sono arrivati, e mi hanno tirato su per portarmi all’interno del mezzo di soccorso. Non appena mi hanno poggiato sulla barella mi sono ritrovato per un attimo su un fianco, e per qualche secondo sono riuscito a vederla. Era rimasta tutto quel tempo lì, in attesa, molto probabilmente seduta vicino a me sul marciapiede aspettando che mi trovassi al sicuro nell’ambulanza. Le lacrime oramai le si erano asciugate sotto gli occhi, lasciando solo ampi sentieri sul trucco oramai rovinato, mentre il viso, colmo di stanchezza e spavento, mostrava solo il desiderio di tornarsene a casa e scordarsi tutto questo al più presto.

Dopo aver tentato alcuni minuti di rianimarmi, i ragazzi del 118 si sono arresi, è stato in quell’esatto momento che ho iniziato a realizzare di essere ufficialmente morto, e non solo per me stesso come fino a poco prima, ma anche per gli altri, per tutti! Non che la cosa in qualche modo mi colpisse o rattristasse ulteriormente, dopotutto non è nulla che già non sapessi, ma non appena ho sentito gli operatori dell’ambulanza pronunciare a bassa voce “Niente da fare, è morto”, qualcosa dentro di me è scattato. Sfido chiunque a rimanere impassibile di fronte a una frase del genere. La mia riflessione, è durata poco più di un istante, prima di venire annebbiato da qualcosa che non mi aspettavo. Anche se, visto il numero di film guardati, avrei dovuto prevederlo. Un fottuto lenzuolo mi veniva disteso sopra al viso, condannandomi alle tenebre.

Quindi, buio sia.

5.

Ci siamo appena fermati, ho sentito il roco rumore del motore dell’ambulanza arrestarsi e sicuramente a breve mi sposteranno per lasciarmi nella camera mortuaria di qualche ospedale o forse all’obitorio. Sinceramente non me ne frega un cazzo del luogo, non credo oramai cambi molto. Qualcuno ha sbloccato i freni della mia barella e in questo momento stanno cercando, non con poca fatica, di portarmi giù. Il cigolio delle ruote a contatto col terreno emana un suono talmente assordante che non mi permette di distinguere neppure una parola tra quelle che i due soccorritori si stanno scambiando. Il cigolio di colpo diventa leggermente più forte e viene seguito da un fastidioso rimbombo che mi lascia sospettare d’essere entrato da qualche parte. Mi sento come un condannato a morte al quale però non è stato concesso il lusso dell’ultimo desiderio. Il cinema ci ha insegnato fin troppo bene quanto sia scenografica una gustosa ultima sigaretta prima di salutare il mondo. “Così si muore da duri”, questa è l’immagine che centinaia di sceneggiatori nei decenni hanno cercato insinuare nelle nostre menti. Io non ho mai fumato, ma se anche lo avessi fatto, in questo preciso momento me ne farei ben poco. Se potessi veder realizzato un mio desiderio, un ultimo desiderio, ora certamente opterei per poter ammirare il mondo ancora per una volta. Anche se per me, in questo momento, significherebbe ritrovarmi a fissare una fredda e intermittente luce al neon incastonata nel grigio soffitto di una camera mortuaria. Ma non sono ancora pronto alla cecità e forse non lo sarò mai.

Mi trovo all’interno dell’obitorio. Ho ascoltato una conversazione tra due ragazzi che da quello che ho capito lavorano qui. I miei soccorritori mi hanno lasciato in un luogo silenzioso, dove non riuscivo a udire neppure il più lontano suono. Ero completamente isolato, senza poter vedere o sentire nessuno.                                                                        Dopo un tempo che non deve esser stato più di mezz’ora, ma che mi è sembrato almeno sei volte tanto, sono stato preso in consegna da questi due che lentamente mi hanno portato dove mi trovo ora, e nonostante non abbia nessun tipo di prova, sono certo d’esser circondato da non so quanti cadaveri. Cosa che non dovrebbe sorprendermi più di tanto, visto che dalle 15 circa di oggi pomeriggio anche io faccio parte della loro comunità.

6.

Autopsia. Mi apriranno e svuoteranno per bene proprio come farebbe un bambino con quel cazzo di vecchio peluche del quale ormai si è stufato, ed è semplicemente curioso di sapere come sia fatto il suo interno. In fin dei conti sono stato trovato per strada riverso a terra senza vita, ed è naturale che vogliano capire il motivo della mia morte. Potrei anche essere stato ucciso, avvelenato o chi lo sa. Comunque sia, i due giovani, dopo aver commentato ripetutamente la grandezza delle tette di un cadavere, che non deve essere stato troppo lontano da me, hanno iniziato ad organizzare la seguente giornata lavorativa, visto che quella in corso, ne deduco, sia quasi arrivata al termine.                                                                         

Mi avranno trovato simpatico a prima vista, chi lo sa, fatto sta che hanno appena deciso che sarò io il primo ad essere sezionato l’indomani. Che dire, sono soddisfazioni. I due continuano a parlare, e sinceramente non faccio più caso alle loro parole, non riesco più a seguire il discorso, la mia mente non si smuove più dall’immagine di me, sdraiato su un lettino di gelido acciaio mentre subisco un’autopsia. E pensare che fino a ieri stavo pensando a dove avrei trascorso le ferie quest’estate. Che coglione. Sento le loro voci andare scemando lentamente, il tutto seguito dal leggero rumore dei loro passi che mi lascia facilmente intendere che se ne stanno andando.

La chiusura della porta, con il silenzio abissale immediatamente successivo, mi abbandona in una solitudine fatta di flebili sibili di luci al neon e di pensieri.                                                                                                               Oramai mi sembra ovvio che sia rimasto solo, se così si può dire, e non so come sia possibile, ma sto iniziando ad avere sonno e mi sento stanco, molto stanco. Spero vivamente che questa non sia semplice stanchezza, ma il primo segnale che la mia mente pian piano si stia spegnendo. Esattamente come ha fatto il mio corpo oggi pomeriggio. Sarà come una seconda morte, quella definitiva, reale, che finalmente mi donerà la tanto agognata serenità, e non questa specie di limbo tra vita e morte.  Sono terrorizzato all’idea di scoprirmi di nuovo vigile domattina. Non ci voglio neppure pensare, cadrebbe anche l’ultima speranza e sarebbe decisamente peggio di oggi. Dovrei iniziare a credere che non esista nessuna via d’uscita da questa situazione, e che anche la sottile fiducia che sto riponendo in questo sonno non varrà mai nulla.                                                                                                                       Dopotutto non chiedo niente di particolare. Voglio solamente riposare in pace e non nel perenne rumore della mia voce che mi rimbomba in testa.

7.

Non ho minimamente idea di quanto possa aver dormito, ma sinceramente non è che me ne importi più di tanto. Quello che davvero contava non è accaduto, e probabilmente dovrò arrendermi alla dannata voce che continua a brulicare nella mia testa come una colonia di formiche impazzite. Questa condizione, quindi, fa parte di me in maniera definitiva, devo arrendermi. Non ci sarà mai scampo e non so neanche come abbia fatto a sperare che questa stanchezza, questo sonno, mi avrebbero davvero condotto al silenzio. Sto cercando di delineare quel che sarà il mio più prossimo futuro, sempre se di futuro si possa parlare, ed ho un’unica certezza. Mentre al mondo apparirò inerme, muto e senza vita, io nel mio silenzio impazzirò. Prima o poi il mio cervello si stancherà di parlare al buio, di ascoltarsi ininterrottamente, e continuando a rivivere un passato al quale non si aggiungeranno più nuovi ricordi, inizierà a perdere lentamente lucidità creando magari qualche interlocutore d’invenzione.                                                              

Agli occhi degli altri, invece, rimarrà di me unicamente un’apatica fotografia incastonata nel marmo della mia lapide, cosicché tutti la possano vedere. Sicuramente sarò sorridente, raggiante, e indosserò un vestito elegante come fossi pronto a partecipare a chissà quale evento. La mia fotografia passerà attraverso gli anni sorridente, e nessuno potrà immaginare i folli discorsi che starò recitando con me stesso dall’altra parte della lastra gelida. Chi lo sa, magari dietro ad ogni singola lapide nel cimitero dove verrò sepolto, ci saranno altri cadaveri con pensieri deliranti quanto i miei.

8.


L’autopsia, da quello che sono riuscito a origliare, deve essersi conclusa poco prima che io mi svegliassi, fortunatamente aggiungerei. Quantomeno sono riuscito ad evitare i commenti tecnici degli addetti sulle mie interiora, o peggio, il rumore acquoso dei miei organi che venivano estratti dal corpo per essere riposti chissà dove.

Saranno trascorse alcune ore dall’ultima volta che sono riuscito ad udire distintamente una voce o un rumore qualsiasi. E in questo momento sono unicamente in grado di percepire in lontananza dei suoni ovattati, senza riuscire minimamente a capirne la provenienza. Quando non puoi letteralmente fare un cazzo, non ti rimane altro che riflettere, quindi, ragionandoci bene, sono arrivato alla conclusione che vi è solamente un posto dove avrebbero potuto mettermi arrivato a questo punto: la cella frigorifera dell’obitorio. Non ci sono dubbi. Dopo aver compiuto l’autopsia ed essersi accertati che la mia sia stata una morte da sfigato, hanno dovuto sistemarmi in qualche posto dove non fossi d’intralcio al loro lavoro quotidiano, ed esattamente come si riporrebbe in soffitta un ventilatore dopo la stagione estiva, hanno deciso di parcheggiarmi qui. Tutto ciò semplicemente perché ancora nessuno ha denunciato la mia scomparsa, e avviato le dovute procedure per il funerale. Non posso lamentarmi più di tanto, non mi resta che raccogliere i frutti di quello che sono stato fino a ieri, e pensandoci bene, me lo merito anche. Alcuni lo chiamano karma.

Quindi attesa, infinita attesa che qualcuno si ricordi di me, anche per sbaglio, chiedendosi perché non mi senta da un po’, e soprattutto faccia lo sforzo di chiamarmi o venirmi a citofonare. So bene che io non avrei mai fatto nulla di simile per qualcuno, ma mi auguro che non ricevendo una risposta, questa ipotetica persona, ci riprovi ore dopo, e poi allarmato dal fatto di non ricevere neppure una chiamata di ritorno, faccia girare la voce tra i miei conoscenti su che cazzo di fine io abbia fatto.  Posso solo confidare in questo, ma neanche più di tanto. In fin dei conti, rimanere qui, o tra quattro pareti di cemento in un cimitero, cosa cambierebbe?


Davide Cesaretti nasce a Roma nel 1995 ed è convinto che i libri lo abbiano salvato. Scrive per diversi blog, recensendo romanzi, raccolte di poesie e parlando di letteratura. A 25 anni prende la decisione di lasciare l’Italia, trasferendosi a Londra. Nel suo percorso la scrittura è stata quasi come un atto naturale. Dopo anni trascorsi dietro pagine scritte da autori che lo hanno ammaliato, uno fra tutti John Fante, ha deciso d’impugnare lui stesso la penna e provarci. Per lui scrivere è un po’ come immergersi in mare, senza però sapere dove ci si troverà una volta rimessa la testa fuori. 

Redazione

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