“La povertà più terribile è la solitudine
e la sensazione di non essere amati”
Madre Tersa di Calcutta
“Se temete la solitudine,
non sposatevi”
Anton Čechov
Sinceramente pensava sarebbe stato più semplice, lei che per tutta l’adolescenza si era beata della frase “Amor vincit omnia”, propinata regolarmente alle amiche in travaglio amoroso, certa che funzionasse alla grande. Solo un po’ di impegno, tanto amore, et voilà, tutto si risolveva.
Ecco, no, non era proprio così. Era sposata da solo sei mesi e una strisciante sensazione di inquietudine aveva cominciato a pervaderla. Ma non raccontavano tutti che si era così felici appena sposati, ancora senza bimbi, solo in due a coccolarsi?
In realtà, per quanto sostenesse che era tutto meraviglioso, la vita a due, la casa nuova, arredata e sistemata con cura, tanto tempo per loro, ecco, nonostante decantasse tutto questo, Anna si sentiva sempre meno serena. Abituata da sempre a guardarsi dentro, a scandagliarsi l’anima per cercare di capire il perché delle cose, della serie “penso troppo e vivo male”, cercava di dare un nome a questa sensazione latente, di cui però non poteva più ignorare l’esistenza. Tentava allora di scinderne le diverse componenti: l’inquietudine, l’ansia, l’insoddisfazione, il dubbio, il senso di vuoto, e di dare un perché a ciascuna di esse.
Ovviamente, come prima cosa, si era chiesta se avesse veramente sposato la persona giusta. Che poi, rifletteva Anna quando si svegliava di notte e cominciava a pensare, cosa vuol dire la persona giusta? Quella di cui siamo perdutamente innamorate? Quella con cui staremo bene tutta la vita? In teoria, le due cose coincidevano, o perlomeno avrebbero dovuto. Imboccata questa strada, la riflessione non andava oltre, anzi, si impantanava, proprio perché per tutta la sua adolescenza era uscita con lo stesso ragazzo e lo sbocco naturale non poteva essere che il matrimonio.
Si erano sposati di domenica, il giovedì precedente avevano montato il mobiletto del bagno, o meglio, lui l’aveva montato e lei l’aveva aiutato. E mentre era lì a reggere il trapano, la bolla, le varie punte, Anna aveva cominciato a guardare il futuro marito chiedendosi come aveva potuto anche lontanamente pensare di sposarlo. No, avrebbe mandato all’aria tutto, ragionava mentre lo guardava imbambolata. Al diavolo il ristorante, il vestito, i fiori, le bomboniere, i testimoni… non poteva pensare di giurare davanti a tanta gente che lo avrebbe amato e gli sarebbe stata fedele per sempre. Se n’era andata a letto ben decisa a far saltare tutto, anche se non le era ancora chiaro come. Per fortuna, la mattina seguente, dopo una bella dormita e a mente lucida, la cosa era rientrata, e due giorni dopo si era avviata radiosa all’altare al braccio del padre.
Pochi mesi erano passati da allora e non si sentiva affatto come da ragazzina pensava si dovesse sentire una giovane sposa che, senza costrizione alcuna, ha appena sposato l’uomo che ama.
Il marito stava fuori per lavoro tutto il giorno, non rientrava mai prima delle 19.00, o addirittura le 20.00. Anna tornava molto prima, un paio di volte la settimana passava dal supermercato a fare spesa. Una volta a casa sistemava un po’, ma aveva sempre pochissimo da fare, perché l’appartamento era piccolo e ci voleva un attimo a riordinarlo, dello stiro si occupava sua madre e di cucinare non era capace. Sapeva fare alcuni piatti di pasta veramente basici, una omelette, il pesce al forno o in padella, gli hamburger… non molto, in effetti, per una emiliana doc cresciuta a tortellini in brodo, pasta al ragù, lasagne, arrosti lardellati, tigelle ecc. tutto rigorosamente fatto in casa. Avrebbe potuto imparare, certo, ma aveva l’impressione che non le piacesse proprio. Cucinare le sembrava molto noioso e ripetitivo, e comunque il marito non si lamentava mai, l’importante era che ci fosse qualcosa di pronto.
Di conseguenza, Anna si trovava con tanto tempo libero, o vuoto, ma questa era chiaramente una questione di punti di vista. Dopo un lungo rimuginare, arrivò alla conclusione che si sentiva sola, che quella sensazione di malessere che provava ormai da settimane si poteva definire solitudine.
La rivelazione la colpì dolorosamente, mai e poi mai avrebbe pensato di sentirsi sola una volta sposata. Era arrivata alle nozze così entusiasta, così carica in prospettiva della futura vita a due e ora, a distanza di pochi mesi, le sue speranze si stavano già affievolendo.
Si chiedeva malinconicamente cosa fosse andato storto, quali eventi avessero cambiato le sue convinzioni iniziali. Nelle lunghe ore serali in cui aspettava il marito, continuava a riflettere senza posa. Sua madre l’aveva messa in guardia, prospettandole tutti i problemi che le giovani coppie spesso si trovano a dover risolvere. Ma si trattava soprattutto di problematiche strettamente legate al carattere, alla necessità di trovare metodi e compromessi volti a preservare l’armonia di una coppia che si trova improvvisamente a vivere insieme tutti i giorni.
Sua nonna invece era andata giù pesante, evitando inutili giri di parole, ritenuti superflui da una donna che aveva visto due guerre e che aveva cresciuto i figli da sola, essendo rimasta vedova giovanissima. Le aveva sibilato implacabile «tè at torni a cà, t’an cumbini minga parchè at se na tastona», in un colorito dialetto dove si sentivano ancora gli echi della sua infanzia lombarda.
E in effetti, i litigi c’erano stati, con tanto di urla e porte sbattute, con la differenza però che, se si vive insieme in un piccolo appartamento, una volta che si sbatte la porta, dove si va? In camera da letto o in bagno, ed entrambe le soluzioni presentano degli svantaggi: in bagno non ci si può coricare, ma in camera da letto prima o poi ti succede di dover andare in bagno…
Ciò nonostante, dopo lunghe riflessioni, ad Anna pareva che il problema non fosse l’andare d’accordo o meno, bensì l’essere una coppia nel senso vero del termine. Che non era solo dormire nello stesso letto, ma svegliarsi insieme per fare poi, una volta terminate le incombenze lavorative, attività insieme: la spesa al supermercato, la preparazione dei pasti, una passeggiata in centro, trovarsi con gli amici, un week-end in montagna o al mare, guardare la TV.
L’impressione di Anna era che loro due fossero una coppia solo apparentemente, perché sì, vivevano insieme, ma ognuno continuava con la solita vita. Lei faceva la spesa, cucinava (lo stretto indispensabile, d’accordo), rassettava, portava il bucato alla mamma. Lui della casa non si occupava, e del resto lei faceva tutto, ma lo faceva con la speranza di avere poi del tempo per loro due, il che però regolarmente non accadeva, neanche nei fine settimana. Lui aveva i suoi hobby, in cui lei non era compresa.
In pratica, erano come due single che vivevano sotto lo stesso tetto, e il tempo che passavano insieme era veramente minimo. Ma, soprattutto, era un tempo privo di qualità, di complicità, di piacere reciproco.
Ad Anna, abituata a vivere in una famiglia numerosa, con genitori, fratelli e nonni, mancavano i suoi cari. Aveva nostalgia della grande casa dove era nata e cresciuta, dell’allegra confusione che vi regnava sempre, un paio di TV sempre accese, lo stereo spesso a tutto volume, gli amici dei fratelli che arrivavano al pomeriggio per i compiti, il momento della merenda, briciole dappertutto, la dispensa saccheggiata, la mamma che brontolava…Aveva rinunciato a quella vita nella convinzione di cominciarne un’altra, ma sulle stesse basi.
Forse aveva intravisto proprio questo pericolo, la mamma, quando le aveva parlato della pazienza e dello spirito di adattamento che avrebbe dovuto avere nei primi periodi della vita matrimoniale. La nonna, invece, si riferiva al suo carattere testardo e permaloso, che non era la causa del momento difficile che stava vivendo, ma di certo non aiutava.
Quello che le mancava era l’equilibrio mentale sufficiente per affrontare, con la necessaria calma e maturità, un tempo di rodaggio non facile per nessuno dei due. Le affiorò alla mente una frase di Seneca, autore che aveva anche portato all’esame di maturità, trovandolo molto meno noioso di altri: “Primo segno di un animo equilibrato è la capacità di starsene tranquilli in un posto ed in compagnia di sé stessi.” La sua mente, purtroppo, in quelle settimane, non dava affatto prova di equilibrio, e la dimostrazione era il fatto che sentisse così acutamente la solitudine.
Di parlarne in casa sua non aveva voglia, i suoi familiari erano convinti fosse ancora immersa in una spensierata luna di miele, e non voleva deluderli. Solo la mamma, forse, aveva capito, e del resto, rifletté Anna, mentre nuotava in piscina, attività che la predisponeva alla meditazione in quanto priva di interferenze esterne, è proprio delle mamme guardare in faccia i figli e leggere fino in fondo alla loro anima. Accennarne alla nonna? Anche no, ragionò Anna dopo la virata, bisognava come prima cosa ammettere che aveva ragione lei, che non era capace di “combinare”. Per scendere così in basso nella propria autostima c’era ancora tempo, si disse. I fratelli? Il maggiore era un maschio, cosa avrebbe capito? La sorella ancora piccola sentiva tanto la sua mancanza in casa, non voleva farle capire che la cosa era reciproca.
Ovviamente, aveva già tentato di parlarne sinceramente e apertamente con il marito. Cosa più semplice a dirsi che a farsi. Lui aveva sempre ribattuto che problemi non ne vedeva, stavano bene così. Perché, lei non era forse felice di stare con lui? A quel punto, Anna non sapeva più che dire e abbozzava. Poi si diceva che sbagliava a lasciar perdere, doveva insistere e cercare di andare a fondo della questione. Ma aveva paura, paura che scavando troppo sarebbe saltato fuori qualcosa che loro due non sarebbero più riusciti a gestire, che poteva mettere a rischio quella fragile creatura che era il loro matrimonio.
Passavano i mesi, e Anna si sentiva sempre più una Penelope del terzo millennio intenta a tessere e disfare la sua tela. Spesso di notte le capitava di stare sveglia mentre il marito accanto respirava tranquillo, e tesseva, tesseva: architettava piani, valutava pro e contro, soppesava le varie situazioni, meditava se coinvolgere la mamma. E così lavorando instancabile al telaio, la tela si allungava morbida, come accucciandosi ai suoi piedi. Si addormentava momentaneamente pacificata, ma poi, al mattino, tutto le sembrava incongruo, senza senso o fuori luogo. Cancellava tutti i piani, e la morbida tela delle sue intenzioni si disfaceva lasciando vuoto il telaio.
E le cose non miglioravano. Erano passati circa due anni, quando le capitò di partecipare alle nozze di un’amica. Il marito aveva declinato l’invito sostenendo che era un’amica solo di lei, e pertanto si sarebbe annoiato. Anna andò quindi sola, con il cuore già gonfio di tristezza. Al momento dello scambio delle promesse e degli anelli non ce la fece più e si mise a piangere sommessamente. Tutti quelli che le stavano accanto e se ne accorsero pensarono che fosse commozione, che stesse davvero partecipando emotivamente al grande passo che compiva l’amica e sorrisero tutti indulgenti, battendole una mano sulle spalle.
Quando fu il momento di tornare a casa, dato che aveva la sua auto, fece un lunghissimo giro cercando di schiarirsi le idee. Rincasò tardissimo, decisa a fare qualcosa, non le importava nemmeno più cosa, pur di dare uno scossone a quella situazione stagnante che non reggeva più e che la stava portando verso la depressione.
Accadde invece un fatto imprevisto che sparigliò tutte le carte in tavola. Il giorno seguente doveva fare un’ecografia all’addome, perché i suoi problemi di stomaco si erano acuiti, complice sicuramente la tensione e l’ansia degli ultimi mesi. Aveva fatto una gastroscopia alcune settimane prima, ma non c’era nulla di particolare che non andasse, se non la solita gastrite cronica che la affliggeva comunque da anni.
Si recò quindi a fare questa ecografia di pessimo umore e con un furioso mal di stomaco perché erano le cinque del pomeriggio ed era digiuna da otto ore. Spiegò dettagliatamente i sintomi al medico, un uomo abbastanza anziano che annuiva e scandagliava con cura il suo addome. Dopo parecchi minuti di silenzio, Anna si sentiva sempre più inquieta.
«Ultima mestruazione, signora?» chiese ad un certo punto il medico.
«Ultima mestruazione?» ripeté come una stupida Anna «mah, non saprei… io… in effetti… non sono mai stata regolare, e quindi…»
«Quindi non lo sa?»
«No, non proprio» esitò ancora «da qualche parte forse l’ho scritto… comunque, sarà stato circa… due mesi fa… credo» concluse un po’ incerta.
«Sì, allora i conti tornano» replicò soddisfatto il medico «ecco qui, signora, il motivo del mal di stomaco e della nausea» e girò verso di lei lo schermo.
Da lì cominciò una girandola di avvenimenti vorticosi. Non solo la scoperta di essere quasi alla fine del terzo mese di gravidanza, ma anche i problemi che questa le procurò da subito. Le nausee continue e la difficoltà a nutrirsi la costrinsero al ricovero in ospedale per alcune settimane, e poi una certa debolezza del collo dell’utero al riposo quasi totale in casa. Era così stordita dagli eventi e stremata dal continuo senso di malessere che faticava anche a pensare lucidamente.
Adesso il suo problema non era certo la solitudine, anzi! Aveva sempre tante persone accanto che si prendevano cura di lei che a volte fingeva di dormire per avere un po’ di quiete. La mamma le lasciava la cena pronta, così quando il marito tornava doveva solo riscaldarla. Potevano mangiare insieme e poi guardare un po’ la TV. Anna però aveva sempre sonno e si addormentava quasi subito.
Non aveva più provato a parlargli di come si sentiva, adesso era cambiato tutto. Non si illudeva di aver risolto il problema, forse lo aveva solo rimandato, o forse no? Forse una nuova modalità di convivenza si era instaurata tra loro e sarebbe continuata anche dopo la nascita del bambino. Come genitori, come “famiglia”, potevano trovare quell’equilibrio che fino ad allora era loro sfuggito come coppia.
Un bambino non sarebbe stato un modo per avere qualcosa da fare, la sola idea faceva rabbrividire Anna, bensì il perno sul quale impostare un nucleo familiare, fatto di riti, di abitudini e di momenti esclusivi. La vita che stava per arrivare avrebbe fatto diventare lei e il marito due genitori, una “coppia” di genitori che, maturando insieme, si sarebbero poi ritrovati come coppia e basta. Anna ci credeva.
Dopo alcune settimane, finalmente Anna poté ricominciare ad uscire un poco. Nel fine settimana, il marito la accompagnava a fare la spesa perché non doveva stancarsi, né sollevare pesi. Una volta a casa, sistemava tutto intanto che lei riposava. Quando il tempo era bello, facevano delle brevi passeggiate nel parco vicino a casa. Se non fosse stato per la nausea, Anna avrebbe voluto che quel periodo non finisse mai.
Attendeva anche con ansia di sentire il bambino muoversi e improvvisamente, alla ventitreesima settimana, accadde. Era in piedi e si stava preparando una macedonia con la frutta fresca quando sentì in fondo alla pancia una cosa strana, come un picchiettare lieve di dita. Si bloccò con il coltello a mezz’aria, quel movimento leggero, quasi impercettibile, continuava. Anna sorrise e continuò a sbucciare la frutta, adesso sapeva che non si sarebbe più sentita sola.
Maria Angela Maretti nasce a Mirandola, in provincia di Modena, nel 1963, si laurea a Bologna in Lingue & Letterature Straniere e Moderne (Inglese e Tedesco), con una tesi sperimentale sulle commedie di Oscar Wilde. Nel 2020 decide di studiare lo Spagnolo e l’anno successivo ottiene la certificazione B1. Ha sempre lavorato in aziende della zona, collabora con una scuola privata dove insegna inglese e si occupa anche dell’alfabetizzazione delle donne straniere. La sua enorme passione è la lettura, ama molto la letteratura angloamericana, i gialli scandinavi ed il noir italiano. Ha sempre desiderato scrivere, poi, allo scoppio della pandemia, ha cominciato approfittando della forzata permanenza in casa. La forma narrativa che preferisce è il racconto, dove spesso unisce spunti autobiografici a trame di fantasia. Suoi racconti sono comparsi sulle riviste Spazinclusi e Il Timoniere. Ama viaggiare e quasi tutto la incuriosisce, infine odia cucinare.