Ora in onda

«Buongiorno a tutte e tutti. Questo è Ora in onda, la trasmissione di musica e parole che apre la programmazione di Radio Kappa, le cui trasmissioni vi accompagneranno per tutta la giornata. Anche oggi parliamo di un libro, Il tempo delle bellezza, in cui l’autore, il professor Guidetti della Normale di Pisa, ci parla di cento grandi opere del Rinascimento. Il professore si collegherà con noi sul finire della trasmissione per parlare di alcuni aspetti del suo lavoro. A proposito di bellezza, oggi cominciamo con Bach, il concerto per oboe e violino BWV 1060. Al violino, il grande virtuoso danese Remo Christensern. Il concerto è stato registrato nel novembre del duemilanove e dura circa quattordici minuti. Buona ascolto.»

Silvio, il conduttore, si tolse le cuffie. Aveva ascoltato quello stesso brano musicale il pomeriggio precedente. Prese un giornale e lo scorse rapidamente. La politica non decideva, la cronaca era veramente nera e lo sport non era di suo gusto. Andò dritto alla pagina della cultura, dove aveva anche una rubrica settimanale di critica musicale, che però quel giorno non usciva.

Quando girò nuovamente pagina, sentì il cuore cedere. Gli occhi di Erica lo guardavano. Non aveva idea stesse facendo tanta carriera. Un film, da coprotagonista, con tanto di volto in locandina.

Chiuse il giornale. Dalla regia gli fecero segno che aveva ancora cinque minuti. Radio Kappa, che si credeva grossomodo un avamposto di civiltà, aveva una saletta all’aperto per i collaboratori che fumavano.

Dentro c’era la giornalista che curava la rassegna stampa successiva a Ora in onda.

«Scrivi ancora su quel giornalaccio?» gli chiese, aspirando dalla sua Camel, guardando il sole innalzarsi sui palazzi e le case della grande città.

«Pagano.»

«Buon motivo.»

«L’unico, direi.»

Il conduttore radiofonico le porse il quotidiano. Lei lo aprì. Si sedettero a una sedia e continuarono a fumare e parlare.

«Sei mai stata in un ospedale psichiatrico?»

«Dovrei offendermi?»

«Come ospite, intendevo. Io sì. Per un mio nipote, un povero ragazzo schizofrenico. Anche loro avevano una saletta del genere, per far fumare gli ospiti dell’istituto.»

«I pazzi.»

«Le persone con disagio mentale.»

«Noi saremmo i disagiati della radio?»

«Mi sento trattato un po’ in questo modo.»

«Che dicono ai piani alti?»

Il conduttore ci pensò su. Decise di non disilluderla di prima mattina. «A me non dicono nulla» disse, finendo di aspirare la sigaretta. «Torno in studio.»

Radio Kappa viveva grazie a una sovvenzione pubblica che era sempre in pericolo di non essere rinnovata. Il precedente direttore e fondatore della radio era molto ammanicato, mentre la sua famiglia, che a quel tempo cercava di mandare avanti l’impresa, non aveva grandi connessioni nel mondo politico. Uno zoccolo duro di appassionati presentava ogni anno una petizione perché fosse nuovamente sovvenzionata da fondi pubblici, ma si sapeva che, da un anno all’altro, questo non sarebbe più accaduto. Quella radio, così come musica che trasmetteva, apparteneva al mondo del passato. Per questo la giornalista aveva chiesto di cosa si discutesse “ai piani alti.”

«Avete appena ascoltato Bach, concerto per oboe e violino BWV 1060, al violino l’esecutore danese Remo Christensern. Ricordo d’averlo conosciuto personalmente, a un suo concerto a Torino. Persona squisita e grande conoscitore del repertorio bachiano per violino, ma anche appassionato di Beatles, di cui discutemmo animatamente, non sapendo decidere quale album fosse il migliore del quartetto di Liverpool. Perché, come ripetiamo sempre, non esiste musica alta o musica bassa, ma solo buona musica e cattiva musica. Tra poco sentiremo l’opinione in merito del professor Guidetti, normalista ed esperto di arte rinascimentale, che ci presenterà il suo ultimo libro Il tempo della bellezza, di cui parliamo oggi. Questo è Ora in onda, il programma di musica e cultura che apre la programmazione di Radio Kappa…»

Silvio, dopo la riunione di redazione, e un’altra sigaretta, doveva recarsi in conservatorio, dove aveva la lezione di composizione alle undici, e poi un’altra riunione, di facoltà, nel pomeriggio. Una giornata impegnata, come tutte. In serata si dedicava allo studio della musica e al sabato o la domenica si concedeva un film. La sua compagna, lo sapeva, avrebbe insistito per andare a vedere quello con Erica. Cominciò ad accampare scuse dentro di sé.

«Il mio compositore italiano preferito» disse la vicina di casa, vedendolo per le scale.

«Non scrivo da tanto.»

«Voi artisti siete così» disse la donna, che ogni tanto seguiva anche il suo programma. «Vi prende un’ispirazione geniale e poi ci deliziate. Se non ci foste voi…»

«Ti devo deludere» disse, cercando il pacchetto di sigarette (buttare la spazzatura era una scusa per uscire a fumare. Ormai non poteva farlo neppure nel suo appartamento) «ma l’arte è più che altro metodo e disciplina.»

«Perché non componi, allora?» chiese la donna, poggiando per terra un gatto che teneva in grembo.

«Nessuno mi commissiona più niente» ammise lui, sospirando, quindi andò di sotto senza aspettare la riposta della vicina, probabilmente delusa. Ma anche il mondo dell’arte è fatto di soldi. Che si crede la gente?

Carlotta aveva lunghi capelli rossi, era dell’età giusta ed era la proprietaria di una piccola galleria d’arte contemporanea in centro. Un suo amico, quando l’aveva conosciuta, si era detto che era perfetta per Silvio (conduttore radiofonico, critico musicale, compositore, esteta, fumatore), perciò con una scusa l’aveva portato a vedere le opere esposte e li aveva fatti conoscere. Da sei mesi convivevano. Entrambi erano intelligenti, avevano molti gusti in comune e presto avevano sviluppato una buona intensa. Carlotta, a trentotto anni, aveva ancora l’età per fare figli, ma non ne volevano. Silvio si sentiva ormai troppo anziano e troppo inciso nelle proprie abitudini per cominciare una famiglia.

Lei, comunque, un poco stava cercando di cambiarlo. Voleva che smettesse di fumare e che trascorresse meno tempo nella teoria musicale, per godersi tutto ciò che la vita ha da offrire.

«Portato la spazzatura?» chiese Carlotta, continuando a cucinare un’omelette per entrambi.

«Sì.»

«Fumato?»

«Mezza.»

«Mezza» rispose lei, divertita. Silvio cominciò a preparare la tavola per la cena.

«Com’è andata la giornata?» chiese  servendo i piatti in tavola.

«Come al solito.» Silvio aprì un rosso corposo. Non era certo un bevitore intensivo, ma non si faceva mancare un buon bicchiere ai pasti. Anche in questo andava in perfetto accordo con Carlotta. «Notizie dai piani alti?»

«Pessime.»

«Ossia?»

«Vogliono che cambiamo programmazione.»

«In che senso?»

«Dobbiamo fare qualcosa di più pop.»

«Tu dici sempre che non esiste buona o cattiva musica…»

«Lo dico più che altro per non far sentire troppo a terra gli ascoltatori che si stanno avvicinando alla musica colta.»

«Non hai bisogno del lavoro in radio.»

«È l’unica cosa che faccio che mi dà ancora soddisfazione» disse Silvio, guardando il suo vino.

«Perché?»

«Riesco a comunicare col pubblico. Li avvicino al bello.»

«Continuerai a farlo.»

«Programmando il trash che ora passa per musica? Diventeremo una radio come tante.»

«“Non esiste musica alta o bassa…”» ripeté Carlotta. «È il tuo motto. Pensavo ci credessi.»

«Ci credo. Ma quella che vogliono farci programmare non è musica. Non parliamo dei Beatles o Miles Davis. È spazzatura.»

«Ti ho mai confessato che ti conoscevo prima che ci incontrassimo?»

«Cosa?»

«Sì. No, non te l’ho mai detto. Ascoltavo il tuo programma, ogni tanto. Non sempre. Sai che mi piace dormire. Poi ci siamo conosciuti, e settimane dopo ho realizzato che eri la stessa persona, mentre parlavamo a tavola e tu mi ripetesti la tua frase famosa, a quanto pare per non farmi vergognare perché non conosco ogni piega della produzione di Bach.»

«Non lo dicevo in quel senso.»

«Fa niente, non mi interessa. Non sono una persona orgogliosa. Sai cosa pensavo, quando ascoltavo il programma, e ancora non ti conoscevo?»

«Sì.»

«Che avevi una bellissima voce.»

«Grazie.»

«E che dovevi essere una persona triste.»

«Tu mi rendi felice» disse Silvio, prendendo una mano della compagna, baciandole il dorso.

«Pensavo anche che dovevi smettere di fumare, e lo penso ancora. Comunque, da domani voglio che ti rilassi.»

«Va bene.»

«Andiamo al cinema. La serata al cinema è sempre un successo. Entri controvoglia e poi passi ore a parlare della storia e degli attori.»

«Va bene.»

La donna s’alzò, andò a prendere il giornale dal tavolino e cominciò a sfogliarlo.

«Questo per me fa al caso tuo. Gli anni dentro. Andiamo a vederlo?»

«Preferirei di no.»

«Perché? Parla di Sessantotto, di contestazioni. Fa al caso tuo secondo me.»

«Sono vecchio, ma non tanto da aver fatto il Sessantotto» si difese Silvio.

«Pensavo ti piacessero i ragazzi. I rivoluzionari. Scommetto che ha anche una bella colonna sonora. Ti piace Janis Joplin, vero? O lo dici solo per comunicare con noi incolti?»

«Preferirei non andare a vedere quel film.»

«Perché… guarda, c’è anche la Erica Sposetti. Uao, sta facendo carriera. Non era tua allieva al conservatorio? Non prendeva lezioni di canto?»

«Mi pare di ricordare.»

«Ti pare di ricordare…» disse Silvia, sorniona. «So che hai un passato. Non devi fare il sostenuto con me.»

Silvio si massaggiò gli occhi. «Ho mal di testa. Spegni la luce. Vorrei stare un po’ al buio.»

«A studiare Bach, certo.»

«Vivaldi.»

«Quello che ti pare. Non mettere le cuffie. Suonalo abbastanza alto perché anch’io lo possa sentire. Io vado in stanza, a farmi bella per te. Gli anni dentro o un chiassoso film di supereroi. Hai tempo un giorno per decidere.»

Carlotta gli diede un bacio sulla guancia e andò nella camera da letto. Silvio era innamorato di lei. Di più: sapeva che lei era una presenza estremamente salutare nella sua vita. Però non era sicuro di poter reggere gli occhi di Erica per due ore di pellicola.

Al cinema c’era una discreta fila. La maggior parte delle persone era ben vestita. Era un film impegnato. Lui cominciò a strangolare il biglietto nella sua mano destra, sudata. Carlotta teneva l’altra mano.

Il volto e gli occhi di Erica s’agitavano sul grande schermo. Dopo cinque minuti, Silvio disse:

«Vado a fumare» e uscì dalla porta di emergenza.

Vide un’altra fila, in fondo alla strada. Ne fu incuriosito. Un venditore di kebab. Ragazzi. Persone straniere. Non mangiava cibo spazzatura da chissà quanto tempo. Entrò.

Il televisore dava un rap. Giudicò la musica e il testo puerili, ma tutti quanti stavano ad ascoltarlo. Annuivano. Quante milioni di visualizzazioni faceva quella musica? Milioni. E il suo programma radio? Poche migliaia. Era una lotta tanto eroica, quanto priva di speranza.

«Lo vuole completo?»

«Cosa?»

«Il kebab.»

«Senza cipolle.»

«Senza cipolle.»

Vide due ragazzini appollaiati al tavolo di fronte.

«Cosa ci trovate?» chiese.

I due lo fissarono. Il soprabito di buon taglio, la cravatta rossa, le scarpe di cuoio. Una presenza incongrua, in quel contesto.

«Niente.»

«Niente?»

«Niente di che.»

«Perché lo guardate?»

«È quello che danno.»

Uno dei ristoratori cambiò canale. Girò a un programma comico. Silvio giudicò le gag volgari e stantie. Qualcuno rideva. La maggior parte, continuava a mangiare e a badare ai fatti propri. La maggior parte del mondo, valutò Silvio, è soltanto rumore di fondo. Gli sembrò un parere profondo. Lo segnò sul taccuino che portava sempre in tasca. Poteva venire buono per Ora in onda.

«Dove sei stato?» chiese Carlotta. Lo aveva atteso sveglia. Era sul divano, cambiava canale senza guardare veramente.

«A fumare.»

Di solito la domenica mattina il curatore del programma gli mandava una copia di cortesia, in versione elettronica, del libro di cui avrebbero dovuto parlare la mattinata successiva. Quel giorno niente. Silvio gli mandò un messaggio.

“Niente libro” rispose.

“Parliamo di una mostra?”

“Un film.”

Silvio non chiese neppure di che film si trattasse, perché lo sapeva già. Presto sulla sua messaggistica si materializzò la locandina col volto di Erica. Poco dopo, il curatore inviò la scaletta dei brani. C’era quello del rapper che aveva ascoltato la sera prima, incongruamente frammisto a pezzi di musica colta. Per la serie, proviamo a cambiare, ma restiamo fedeli a noi stessi. Gli sembrò che il programma, con quella nuova politica, stesse diventando un’immane schifezza, un pasticcio che non avrebbe accontentato nessuno.

«Buongiorno a tutti. Questo è Ora in onda, la trasmissione di musica e parole che apre la programmazione di Radio Kappa, i cui programmi vi accompagneranno per tutta la giornata. Oggi abbiamo una novità. Non parliamo di un libro, bensì di un film, Gli anni dentro, del grande regista Marino Marini. Ospite con noi l’attrice emergente Erica Sposetti, che ci parlerà della sua esperienza sul set. Per cominciare, una sonata di Domenico Scarlatti della durata di sei minuti. Ma restate con noi fino alla fine. Abbiamo un’elettrizzante novità.»

«Un’elettrizzante novità?» chiese la solita giornalista, quando si trovarono fuori a fumare.

«Aspetta a vedrai» disse Silvio. «Anzi, ascolterai.»

«Non pensavo vi occupaste di film.»

«Una delle novità elettrizzanti.»

«Stanno cercando di svecchiare?»

«Cerchiamo di arrivare a un ascoltatore trasversale, che non esiste e basta. Farebbero meglio a licenziare tutti e mettere musica commerciale a rotazione. È quanto succederà comunque.»

«Ti sei svegliato di buonumore.»

Silvio sorrise. Vide il sole alzarsi sui tetti. Il regista venne a richiamarlo, la sua assenza stava per creare un “buco.”

«Erica Sposetti, è un piacere averti con noi.»

«Ciao. Sai che sono sempre stata una grande appassionata del tuo programma.»

«Di cosa abbiamo parlato venerdì?»

«Cosa?»

«Venerdì. Di cosa abbiamo parlato? Hai detto che segui il programma.»

«Forse venerdì dormivo…»

«Non ti preoccupare. Scherzavo. Approfitto per ricordare ai meno mattinieri che possono scaricare il podcast dal sito di Radio Kappa. Ma, come possono saperlo, se ora stanno dormendo? Scusate, oggi sono in vena di humour. Allora, com’è lavorare col maestro Marini?»

«È un genio. Riesce davvero a tirare fuori il meglio dai suoi attori. Con lui sono riuscita ad esprimere una gamma d’emozioni che non credevo neanche esistessero.»

«Peccato che il suo cinema sia giurassico.»

«Cosa?»

«Il cinema del maestro Marini. È giurassico, tanto nei contenuti quanto nella forma. Mi è bastato guardarlo per cinque minuti per capire.»

«Il maestro ha una lunga carriera alle spalle, ma non definirei…»

«Non importa. Il pubblico si beve di tutto. Perché hai accettato di fare questo film?»

«Per lavorare con Marini.»

«Immagino che il lauto cachet offerto dalla produzione non c’entri.»

«Sono una professionista. È normale avere un ingaggio.»

Il regista, dall’altra parte del vetro, cominciava a dare segni di panico. Disse nelle cuffie, ripetutamente, di smettere di mettere in imbarazzo la ragazza.

«Certo, è un mondo di professionisti. Ma parlarci della tua carriera. Come si arriva a diventare Erica Sposetti?»

«Non penso di essere arrivata a diventare nessuno, comunque ho fatto una carriera piuttosto normale. Ho frequentato l’accademia. Poi ho cominciato a notare qualche spot e cortometraggio, e la produzione della fiction Arrivederci amore mi ha notata…»

«Arrivederci amore. Ho visto anche quello. Grande boiata. Complimenti.»

A questo punto, il regista di Ora in onda sfumò nella musica rap. Si chiese cosa avesse Silvio. Non aveva mai fatto qualcosa del genere.

Silvio ed Erica continuarono a parlare.

«Difendo Arrivederci amore» disse Erica, stanca di subire. Se Silvio voleva essere così, avrebbe avuto la sua pariglia. Non era lo stereotipo dell’attricetta senza cervello. Aveva fatto studi seri. «Difendo Arrivederci amore. Sì, è un prodotto che arriva a tutti, ma è un buon prodotto. È sincero e le storie sono ben raccontate. Certo, non è Shakespeare, ma chi fa Shakespeare di questi giorni?»

«Be’, di certo non voi. Hai omesso una tappa nel tuo percorso. Per un anno hai preso lezioni di canto, giusto?»

«Sai benissimo che è così. È come ci siamo conosciuti.»

«Però non lavoravi con me, ma con l’amico Andrea Castani, che saluto. Mi puoi raccontare com’è stata l’esperienza? Sentiti libera di scendere nei dettagli. A giudicare dalla luce spenta non siamo più in onda.»

«Non siamo più in onda?»

«No.»

«Me lo giuri?»

«Sì.»

«Sei un porco. Ancora mi rimproveri di aver scelto Andrea e non te?»

«Non ti rimprovero di questo.»

«Di cosa?»

«Sei il talento più puro che abbia mai visto. Perché fai questi filmetti dozzinali?»

«Perché ci credo. Non possiamo tutti stare rintanati in una mansarda ad ascoltare Bach. Il pubblico ha gusti diversi. Va soddisfatto, in qualche modo.»

«Soddisfatto o corrotto?»

«Mi dai il mal di testa. Il tono di questa discussione di estetica è da liceale.»

«Comunque, hai spezzato il cuore anche  di Andrea. Con chi esci ora?»

«Non è affar tuo.»

«Il più puro talento che abbia mai visto. Reciti con una naturalezza straordinaria. I tuoi occhi, per vaghezza, rivaleggiano con qualsiasi star del cinema muto. Vedendo te, mi sembrava di rivedere Sarah Bernhardt. E che voce. Potevi sfondare anche come cantante, volendo.»

«Grazie, anch’io ne sono convinta. Pensavo anche che sei vecchio, ma non tanto d’aver visto la Bernhardt.»

«L’ho letto in Proust. È quasi la stessa cosa.»

«Proust, certo. L’ho letto anch’io. Tutto quanti lo abbiamo letto. Ma non per questo mi credo migliore di altri. Il cinema è un’arte per tutti, e a me piace per questo. A mia madre piacciono i miei film. Dopo possiamo parlarne. In questo modo comunichiamo.»

«Già che stavamo parlando di discussioni di liceali, sai che due anni fa c’è stata la celebrazione dell’Infinito di Leopardi?»

«Cosa c’entra?»

«Ora ci arrivo. Per tutta la giornata, in ogni programma, ospitavamo un attore che recitava la poesia. All’epoca facevamo ancora quelle cose, era possibile parlare di poesia alla radio. Al terzo o quarto ascolto, mi sono reso conto che non avevo mai veramente capito quel particolare componimento, nonostante al liceo fossi un asso.»

«Non capisco dove vuoi andare a parare.»

«Aspetta che ci arrivo. Mi riferisco ai versi… aspetta» Silvio prese il taccuino «e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Quand’ero un liceale romantico, e sentivo “e il suon di lei,” pensavo il poeta si riferisse a un amore del cui ricordo non s’era riuscito a liberare, di una “lei” che per importanza si poteva paragonare a l’eterno e le stagioni, e perché ero romantico, pensavo che gli occhi di una donna, o “il suon di lei,” fossero l’ossessione più dolce e vera che una persona potesse custodire.»

«Non capisco.»

«Anch’io, non capivo. Poi, a furia di ascoltarla, finalmente ho capito. Quando parla del “suon di lei” si riferisce alla presente stagione, quella presente e viva. Sono un romantico senza speranze. Ti chiedo scusa di averti sottoposto a questa tortura. Volevo solo confessarti che non riesco a dimenticare i tuoi occhi, e ora questi sono dappertutto. Comprendi il mio dramma?»

«Silvio, fra noi c’è stato solo un brevissimo flirt.»

«Sì.»

«Mi spiace ferirti, ma tu per me non sei mai stato importante. Andrea lo è stato. E la cara persona con cui sto adesso, davvero una cara persona, è stata l’unica dopo Andrea. Dovresti essere contento per me e lui. Pensiamo di fare un bambino.»

«Sono contento per voi.»

«Questa è la vita. Questa è la stagione presente e viva. Smettila di vivere nel passato.»

«La vera bellezza può essere intesa da pochi.»

«La bellezza è di tutti» rispose Erica.

Silvio si accese una sigaretta.

«Non ho mai saputo se poi ti siano state utili quelle lezioni di canto.»

«Moltissimo, a quanto pare. Sarò uno degli ospiti dal prossimo Sanremo. Canterò una canzone di Mina.»

«Sono contento per te» disse Silvio.

«È anche per merito tuo» concluse Erica, chiudendo il telefono.

Quando alzò gli occhi, Silvio si vide davanti il regista, il curatore del programma e uno dei giovani dirigenti della radio. Non erano arrabbiati. Erano preoccupati per lui. Era sempre stato un pilastro di quell’emittente.

«È la più bella puntata che abbia mai condotto» disse, spegnendo la cicca sul tavolo. «Peccato che non sia andata in onda.»


Domenico Santoro, nato nel 1986 a Ostuni (Br), dove risiede, laureato in scienze politiche e filosofia, docente di sostegno, scrive narrativa e poesia. Ha pubblicato poesie e racconti su la Repubblica (ed. Bari), A4, Grado Zero, Risme, Il paradiso degli orchi, Spore, L’ircocervo, Quaerere, Bomarscé, Voce del Verbo, Dimensione Cosmica, Avamposto, Lunario, Distruttori di terre, Hook Magazine.

Redazione

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