AA. VV., Hotel Lagoverde
LiberAria Editrice, 2021

Mi capita spesso di immaginare un luogo in una dimensione parallela alla realtà in cui fare e dire cose che qui, nel mio oggi, non trovano né spazio né tempo. Un luogo-non luogo, in un tempo-non tempo in cui sperimentare un’altra vita, un altro lavoro, un’altra me stessa. Mi capita di figurarmi questo posto come un bosco in cui mi addentro e mi perdo, imboccando percorsi inesistenti sulle mappe, come un Pollicino scientemente sprovvisto di briciole e sassi con cui segnare la strada del ritorno.
Così, presa dalla curiosità mi sono addentrata anche questa volta e, cammina cammina, ecco un bosco, un lago e un hotel.
Hotel Lagoverde è una raccolta di dieci racconti edita da LiberAria Editrice, uscita lo scorso settembre e curata da Gianluigi Bodi, creatore del sito Senzaudio, recensore per il sito Premio Comisso e autore dell’ultimo dei dieci racconti. Le dieci narrazioni ruotano intorno a un luogo, l’Hotel Lagoverde e ad alcuni personaggi fissi che vi abitano. Il luogo sembra esistere in una dimensione parallela a quella reale; la raccolta comprende storie del tutto originali che alla fine, proprio nell’ultimo racconto, trovano un’ulteriore conclusione narrativa. Gli autori scelti dal curatore sono scrittrici e scrittori di indiscutibile valore: Emanuela Canepa, Michele Orti Manara, Giulia Mazza, Alessandro Cinquegrani, Daniela Morano, Cristò, Paolo Zardi, Ivano Porpora, Domenico Dara.
Quando ho letto Hotel Lagoverde mi sono ambientata subito nelle varie narrazioni perché ho avuto l’impressione che si svolgessero nel mio bosco immaginario e parlassero proprio a me.
La prima lettura è stata rapida e molto piacevole. A libro chiuso, però, ho sentito che la raccolta meritava maggiore attenzione: quindi ho ricominciato a leggere e ho capito cosa mi era tanto piaciuto: la raccolta Hotel Lagoverde è un esperimento a mio avviso ben riuscito di narrazione come processo combinatorio. Dato un luogo, l’Hotel Lagoverde, con certe caratteristiche strutturali, immerso in un determinato paesaggio, e dati alcuni personaggi fissi che svolgono ruoli precisi e immutabili, gli autori e le autrici hanno scritto, ognuno con il proprio stile, una storia diversa. Ne viene fuori, in un modo misterioso, una specie di ingranaggio in cui un racconto muove il successivo, senza che ne rappresenti il seguito; fino ad arrivare all’ultimo che, come un recinto narrativo, contiene, riunisce e dà senso a tutte le altre storie.
L’esperimento della narrazione come processo combinatorio è argomento di un interessante articolo di Matteo Moca apparso l’anno scorso su osservatoriocattedrale.com, che mi ha molto incuriosito. La parte di me che propende per il senso scientifico di tutte le cose si è entusiasmata leggendovi di permutazioni, probabilità e combinazioni; quella innamorata della letteratura si è commossa assaporando le citazioni di Calvino, Eco, Borges, Queneau, Perec.
Nei singoli racconti e nella struttura d’insieme della raccolta Hotel Lagoverde ho ritrovato proprio quella integrazione fra scienza e invenzione che tanto e da sempre mi affascina; i dati iniziali con i quali risolvere un quesito combinatorio e una serie di soluzioni diverse che danno adito a mille altri spunti e possibilità nella mente di chi legge.
L’atmosfera di tutta la raccolta è quella di un territorio come occasione di redenzione o perdizione, di ritorno o esplorazione, di scoperta o ritrovamento. I personaggi che arrivano all’Hotel Lagoverde lasciano indietro la vita precedente per immergersi in una dimensione che turba e al contempo attrae. Ognuno di loro ha qualcosa da rinnegare e qualcos’altro da recuperare. Ognuno di loro ne resta intrappolato come parte di un sogno da cui non ci si può più svegliare. E continua a viverci, in questo posto magico e fantasmico, nel bene e nel male, diversamente da come faceva o fa nella vita reale.
Durante la lettura, ma soprattutto a lettura completata, mentre ancora si riflette sul filo conduttore che lega le storie, sulla trama-non trama e sulle sfumature di ogni racconto, emergono diversi temi: in particolare, quello del doppio e quello della memoria. Ogni ospite che arriva nell’Hotel ha un alter ego nella vita reale, rappresentando ognuno un doppio di se stesso. Perdendosi nel bosco mentre si addentra a cercare la strada che lo conduca al Lagoverde, ogni ospite abbandona qualcosa di sé nella dimensione da cui proviene, portando ciò che resta nella dimensione fantasmica e onirica dell’Hotel Lagoverde. Molto efficace, la metafora della perdita del segnale sui cellulari, dell’assenza del luogo sia sulle mappe cartacee che virtuali, a significare la rottura con il quotidiano da cui si proviene, il totale smarrimento in una sorta di triangolo delle Bermude nel verde fitto di un bosco.
E poi, finalmente, l’approdo nell’atrio dell’Hotel. Qui, indifeso e disorientato, ogni personaggio vivrà qualcosa di diverso e straniante, a lungo evitato, a lungo sognato o totalmente imprevisto. Oppure, rievocherà un ricordo lontanissimo, elaborerà la nostalgia e il rammarico che lo accompagna. Ecco, infatti, l’altro tema, quello della memoria: i ricordi e le esperienze vissute sono la spinta verso quel bosco senza indicazioni né sentieri tracciati. L’Hotel Lagoverde è luogo di recupero; le sue stanze, le scale, il bar e la reception, ma anche la facciata, il giardino e lo specchio d’acqua predispongono al processo di riesumazione, al rinvenimento di fatti e sentimenti passati, di persone e progetti, di perdite e conquiste. Un posto sperduto, a tratti fatiscente e dimesso, che funziona da esorcismo contro la dimenticanza e, allo stesso tempo, suona da esortazione a perdersi, a lasciarsi trasportare da una forza ineluttabile. Che forse è il destino, oppure una coscienza esterna e superiore a ogni storia, a ogni personaggio.
Fra sdoppiamento e memoria, il tempo diventa un altro personaggio che conduce il gioco. Si insinua in ogni storia e tesse la sua tela come un ragno silenzioso, passando sopra alle abitudini e gli attriti di una coppia di lungo corso, i traumi di un bambino maltrattato, i limiti fisici di un disabile, i desideri di un vecchio, i progetti di ospiti attempati, il rammarico di un uomo per il passato, il lutto, il trauma, la prigionia, il disfacimento, la frustrazione, la ricerca di un nuovo lavoro. Tesse e poi si ferma, il tempo, lasciando che i personaggi delle varie storie si muovano nella sua straniante staticità. Ed è proprio questa continua oscillazione fra stasi e movimento, sogno e realtà, dubbio e certezza a rendere Hotel Lagoverde un’ottima raccolta che lascia nel lettore il gusto dell’immaginazione e dello stupore in un universo di infinite possibilità e combinazioni. Caratteristica, questa, della buona letteratura.
Giusi D’Urso