Ha vissuto di espedienti tutti i suoi trentasei anni, cercando la scorciatoia anche dove non c’era. Se la strada per arrivare alla meta fosse stata una serie di tornanti di montagna, lui avrebbe potuto armarsi di corda e piccozza e arrampicarsi pur di raggiungere prima la cima. Un monumento allo spreco di energie, utilizzate per truffare anziché per fare. Soldi raggranellati ingannando il prossimo, soprattutto le assicurazioni. Lui, Roberto, è quello che si inventa di essere stato toccato da un’altra auto mentre guida e pretende un indennizzo, che arriva a frenare di botto per strada sperando di venire tamponato per poi accordarsi con il carrozziere e gonfiare le fatture per una bozza sul parafango.
Ovviamente evita di pagare il bollo auto da una decina d’anni, confidando non a torto nell’assenza di controlli. Se deve pagare un idraulico o un elettricista concorda come da loro richiesta di farlo in contanti e in nero; poi si inventa un pagamento rateale, paga le prime tre-quattro tranches evitando infine di saldare il conto. Truffatore che frega evasori. Potremmo continuare per un bel pezzo, ma vi basti sapere che Roberto unisce a questo atteggiamento una buona capacità di azzeccare i risultati delle partite di calcio. Così, anziché mettersi alla ricerca di un lavoro stabile, in grado di dargli introiti periodici sicuri, naviga su Internet per guardare le statistiche dei campionati di tutto il mondo. Decide poi quali sono le quote della Snai più appetibili e infine scommette. La maggior parte delle giocate è vincente. In questo modo Roberto va avanti, vivendo da un paio di anni da solo nella villetta con giardino che ha ereditato dal padre. Il testamento ha lasciato strascichi nient’affatto sopiti tra l’uomo e l’altra erede, sua sorella Lorella. Il padre, alla morte, divise il patrimonio in parti uguali: la villetta al figlio maschio, un appartamento e i soldi alla femmina. La scelta fu fatta pensando che Lorella, maestra elementare precaria, moglie e madre, necessitasse di liquidità più di Roberto, senza arte né parte ma scapolo. In realtà la donna sperava nella villetta, più spaziosa e quindi accogliente per due bambini che vanno ancora all’asilo.
Di scambiare l’eredità Roberto non ne volle né vuole sapere. Della sorella gli importa poco, dei nipoti ancora meno. Della prossima nascita di un centro commerciale alla destra della casa, che aumenterebbe quindi di valore, gli interessa invece molto di più. Ergo, non vuole neppure ipotizzare una permuta. La madre di Roberto e Lorella prova a tenere in piedi una baracca familiare le cui fondamenta sono irrimediabilmente minate. La domenica invita a pranzo i figli nella speranza di una riconciliazione, di un’intesa di fronte ai cannelloni fatti in casa, ma non ci sono speranze. Quando a mangiare si presenta Lorella con la sua famiglia, Roberto non va, e viceversa.
Così, si arriva al 28 ottobre 2018, giorno in cui all’uomo accade di tutto. Arrivano, distanziate mezz’ora una dall’altra, tre persone alla porta della villetta. La prima è Raffaele, il marito di Lorella. Suona il campanello una volta, ma resta con l’indice a premere il pulsante finché Roberto non gli apre.
Tra i due non è mai corso buon sangue, Raffaele fin da ragazzo ha subito avuto chiaro che la vita si costruisce con il sacrificio e non con l’improvvisazione, quindi, per lui, l’altro è una nullità assoluta, vuoto pneumatico. Dopo la rottura con Lorella, i rapporti sono precipitati: la donna piange tutte le sere in preda a un esaurimento nervoso galoppante. Roberto è la causa di tutti i suoi mali.
La conversazione è breve. Raffaele, più pacato che può, chiede un’ultima riflessione sulla permuta. L’altro gli ride in faccia e dice che prima di fare i figli bisogna pensare a dove metterli. Finisce con insulti e minacce di andare in tribunale. Roberto ne ha abbastanza, ha messo il fegato a dura prova e non vede l’ora che arrivi il ponte di Ognissanti per rilassarsi un po’. Da cosa non lo sa nemmeno lui, ma le feste vanno comunque santificate. Ancora paonazzo per la conversazione con Raffaele, prende il cellulare per avvisare la madre che cenerà da lei. Gli compare una notifica del giornale locale: “Bloccata l’edificabilità dei lotti. Il Centro Commerciale non si farà”.
Roberto si ferma come paralizzato: dalla rabbia allo shock allo stupore. Gli viene per un attimo persino da ridere: a questo punto se la sorella lo trascinasse davanti al giudice farebbe spallucce, è venuta meno la principale ragione di tenersi la villetta. Ma non c’è bisogno di scomodarsi per andare in tribunale. Viene direttamente lui da Roberto tramite un ufficiale giudiziario, il secondo a suonare alla porta. Un doppio trillo ravvicinato. Il padrone di casa pensa sia il postino, ma l’individuo occhialuto di fronte a lui non porta una cartolina dalle vacanze. Gli viene notificata la richiesta di pagamento di anni arretrati del bollo auto. Ma non basta. Riceve pure un avviso di garanzia perché il pubblico ministero sta indagando su una possibile truffa all’assicurazione.
Roberto sembra un bambino capriccioso. Apre le comunicazioni davanti all’incaricato e gli dice: “Non le voglio”. Poi sbatte i piedi a terra, impuntandosi. In realtà sa bene che, volente o nolente, le cose faranno il loro corso. Rientrato in casa con i fogli in mano si muove tra una stanza e l’altra assecondando con il corpo i pensieri agitati. È sempre stato solitario, nell’anima e nel modo di agire, però non si è mai sentito così. Non solitario, solo. Completamente solo. Neppure quando da piccolo si è comunicato credeva davvero in Dio. Ma se Dio c’è, con un peccatore come lui non sta proprio avendo un occhio di riguardo. Mentre è assorto in questi pensieri e si sente lontano anche da se stesso, qualcuno suona nuovamente alla porta.
***
Fin da piccolo era il più basso. All’asilo, alle elementari, alle medie. Poi ha smesso di andare a scuola, altrimenti avrebbe continuato a primeggiare in classifica. E sì che i genitori lo avevano battezzato Lauro perché diventasse forte e robusto come un alloro; in realtà, l’unica cosa che aveva in comune con la pianta era appunto l’altezza. Nel suo metro e cinquantacinque – approssimato per eccesso – il ragazzo crebbe con tutti i complessi possibili. Le coetanee non lo guardavano nemmeno. Alla visita militare lo riformarono sulla fiducia. E al lavoro, la pena del contrappasso: assunto a diciannove anni in magazzino come carrellista. A seguire, vent’anni a portare bancali. Chi lo vedeva guidare per la fabbrica rideva mentre quell’ometto distribuiva fusti di latta più grossi di lui per i reparti. Costantemente ridicolizzato dai colleghi, poco prima di compiere quarant’anni Lauro si dimise. La goccia che fece traboccare il vaso fu un tranello teso da un altro carrellista, fino a quel momento reputato un vero amico, uno che non avrebbe mai riso alle sue spalle. Lauro venne convinto a salire, in piedi, sulle forche del carrello elevatore. Il collega lo sollevò da terra dicendogli che su uno dei ripiani vicino al soffitto c’erano imballaggi recuperabili solo a mano. Una manovra pericolosa, fuori dalle norme di sicurezza, ma necessaria. E Lauro era perfetto per stare in equilibrio sulle forche grazie al fisico minuto. Quando fu portato all’altezza di alcuni metri da terra, l’altro che guidava si fermò, spense il carrello e lo lasciò lassù, come un circense, con la differenza che non c’era nessuna rete sotto di lui. Poco dopo tutti gli operai vennero avvisati dello scherzo e si radunarono intorno al carrello ad osservare la scena. “Gigante! Gigante!” gli urlavano da sotto. Fu così che Lauro, riportato giù, non reagì. Neppure guardò in faccia chi si faceva beffe di lui. Semplicemente lasciò l’azienda.
I genitori avevano trovato conforto nella storia: “Napoleone! Hitler! Non erano famosi per la stazza”, lo esortavano, pensando di addolcirgli la pillola. Però in quegli esempi lui vedeva due dittatori sanguinari, conquistatori senza scrupolo con manie di grandezza probabilmente derivate proprio da tanti complessi irrisolti. Tra cui, ne era certo, quello dell’altezza.
Proprio perché di rospi ne aveva ingoiati molti, temeva di essere arrivato al dunque, a non sapere più gestire le emozioni. Non aveva famiglia né una relazione, i genitori invecchiavano e lo avrebbero lasciato solo di lì a poco, il lavoro era stata fonte di umiliazione per venti anni. Meno male che una cosa girava per il verso giusto. Era figlio unico di persone che avevano dedicato la vita al risparmio, non si erano mai concesse un viaggio né una cena al ristorante. Vivevano di poco, quel che bastava a svegliarsi ogni mattina senza avere fame. Va da sé, quindi, che a Lauro non mancassero i soldi. Se da un lato questa cosa rappresentò a momenti un cruccio – la chirurgia estetica permette di modificare abbondantemente i corpi umani, anche se non riesce ad allungarli di quindici centimetri – dall’altro permise all’uomo di fare scelte radicali. Disoccupato, iniziò a svegliarsi più tardi e a passare le mattinate rinchiuso nella casa natale, uscendo per una passeggiata nel pomeriggio. Fu proprio una di quelle mattine che alla porta si palesò un uomo – anziano, ma non si sarebbe potuto dire esattamente quanto, coperto com’era da una folta barba bianca – con dei volantini tra le mani. “Vuoi farti salvare da Dio?”, disse puntando il dito indice verso l’ometto sbigottito. Lauro obiettò che c’era poco da salvare, ma l’altro insistette al punto da lasciargli gli opuscoli. Uno recitava “Convertiti! La fine del mondo è vicina!”; un altro raffigurava l’anziano totalmente vestito di bianco nuovamente puntare l’indice; sopra di lui una scritta inequivocabile: “Ti aspetto”. Un vero zio Sam. Passarono due giorni di noia, in cui Lauro aprì e chiuse quotidiani, libri, tentò invano di concludere un sudoku semplice, ascoltò trap alla radio, andò a comprare le cipolle per il minestrone della madre e vide la Juventus nuovamente a rischio eliminazione dalla Champions League. Poi, mentre usciva con la lista della spesa della mamma – candeggina e detersivo in polvere, stavolta – diede uno sguardo agli opuscoli sotto il posacenere dell’ingresso. Li riprese in mano e decise che nel pomeriggio avrebbe chiamato il numero di telefono stampato.
La mattina dopo si alzò di buon’ora, come mai gli era capitato dopo le dimissioni, per incontrare la Confraternita del Dio Universale, di cui Barbabianca era uno dei fondatori. Si ritrovò con altri venti individui e subito notò due cose. Era il più giovane. E, ovviamente, era il più basso. Anche delle sette donne presenti. Da come interagivano, intuì che gli altri si conoscessero da un pezzo. Sembravano a loro agio in quel locale diroccato sul cui muro campeggiava una scritta fatta con pennarello Uniposca che diceva: “Tempio dello Spirito del Dio Universale”. Quindi probabilmente era l’unico a non essere stato lì prima di allora. Barbabianca, che dai presenti si faceva chiamare Maestro, entrò per ultimo. Cominciò a parlare del cosmo, che emanava calore al punto da scaldare l’anima di tutti. Ma solo loro, i venti individui davanti a lui, ne erano consapevoli. La sua missione era divulgare il messaggio che il Dio Universale gli aveva affidato: convertire tutti al Tempio dello Spirito (marchio che aveva registrato nel corso degli anni) prima che fosse troppo tardi. Diceva infatti che in assenza di conversione collettiva, nel febbraio del 2020 una grande epidemia avrebbe causato milioni di morti. E, indicando Lauro, specificò che il Dio Universale non distingueva gli uomini per l’aspetto esteriore. Poi disse anche: “Sta scritto: nelle botti piccole c’è il vino buono”. Le capacità oratorie del Maestro erano eccellenti e l’ometto rimase colpito, tanto era affabulato dalle parole, lusingato dall’attenzione ricevuta e coinvolto dalla devozione generale. Al punto da ritornare al Tempio dello Spirito il giorno successivo. E quello successivo. E quello successivo di nuovo. Finché Barbabianca non lo ritenne pronto. Il Maestro prese lui e una vedova sulla settantina, tale Maria Grazia, che essendo alta poco meno di un metro e sessanta poteva formare con Lauro una coppia bene assortita. Impartì nuovamente le istruzioni ripetute negli incontri precedenti e diede loro l’incarico più prestigioso della Confraternita: convertire la popolazione. Si trattava di fare propaganda porta a porta e per strada, dicendo: “Scusi, lo sa che la fine del mondo è vicina?”, ma per i due adepti era il compito a cui erano stati addestrati, quindi sacro. Per Lauro forse il più importante della sua vita. Nessuno lo avrebbe più deriso, finalmente si sarebbe visto in lui un apostolo del Dio Universale, un discepolo del trascendente, e il trascendente, si sa, non è misurabile in altezza. Vestito con un husky trapuntato blu, iniziò a interloquire con sconosciuti, pensando di riuscire nell’obiettivo proprio come aveva fatto il Maestro con lui. Evidentemente, però, il carisma di Barbabianca non era facilmente eguagliabile, perché le porte non si aprivano, la gente per strada rispondeva sarcastica e anche i bambini arrivavano a ridacchiare di quei due buffi personaggi con cartellina in mano ed espressione serissima. Alla fine, i più gentili erano quelli che voltavano le spalle senza parlare.
Inizialmente Lauro pensò che il Maestro dovesse dedicarsi di più alle celebrazioni e all’ascetismo e meno all’insegnamento: lui non faceva presa sulle persone, perciò il messaggio gli era stato impartito in modo inefficace. Il Dio Universale lo proteggeva, comunque, e finalmente si sentiva un individuo di caratura superiore.
Non c’era da preoccuparsi, anche se le cose non ingranavano. Successivamente se la prese con Maria Grazia: va bene essere seri, ma quando parlava lei il tono era così apocalittico da invitare anche le persone più educate a fare gesti scaramantici. Per non parlare del fatto che, a causa della pressione, faceva colazione con aglio crudo e questo rappresentava un micidiale deterrente anche per quelli potenzialmente interessati. Continuava a non mettere in dubbio le proprie capacità, lui era stato scelto e, anche se non capiva perché, un motivo c’era di sicuro.
Alla fine, però, fece breccia tra i pensieri di Lauro l’idea di essere inadeguato. Di non essere all’altezza, in ogni senso. Il complesso di inferiorità fisica deflagrò nuovamente. Dove vuoi andare, con un eloquio di uno con la terza media, insieme a una vecchia con la dentiera che balla e soprattutto con un fisico di un metro e cinquantacinque – arrotondati per eccesso – che nemmeno ti si intravede oltre un cancello o una siepe? I giorni successivi girò per la città sempre meno convinto; anzi, ogni volta che approcciava gente si immaginava anche di essere deriso per l’altezza. Partiva sconfitto in partenza.
Così si sente Lauro il 28 ottobre 2018 quando, dopo due tentativi di conversione andati a vuoto, suona il campanello di Roberto.
***
La porta di casa si apre e il proprietario guarda in faccia i due sconosciuti. A parlare stavolta tocca a Lauro.
“Ha mai pensato che la fine del mondo è vicina?”, dice, sorridendo per non spaventare troppo l’interlocutore. Se c’è qualcuno lassù, non solo mi ha abbandonato, mi irride pure, mandandomi davanti questi disperati, pensa Roberto. “Non mi serve nulla”, dice mentre già stringe con la mano destra il pomello del portone, pronto a rinchiudersi di nuovo in casa. “Ma qui si tratta della sua anima, vuole convertirsi al Dio Universale?”, insiste l’ometto. Le discussioni con Raffaele e l’ufficiale giudiziario sono ancora in fase di digestione che, ecco qua, risalgono come il sangue al cervello di Roberto. “Ho detto di no, sei sordo? Fammi il favore di levarti dai coglioni”. Ora con la mano destra il pomello sembra stritolarlo. “Ci vuole pensare qualche ora? Le lascio nella cassetta della posta l’opuscolo con il mio recapito”. Lauro di psicologia ne sa evidentemente poco, ma di come sia fatto Roberto ne sa ancora meno.
“Se non sparisci dalla mia vista entro cinque secondi o osi ripresentarti ti pianto in giardino con Biancaneve e gli altri nani”, urla, indicando le statuine in gesso di Mammolo e Brontolo. Sbatte la porta in faccia ai due e dallo spioncino continua a guardare finché non se ne vanno. Non può immaginare che quella sera, alle ventuno e trenta, un’ombra scavalcherà il cancello della proprietà e darà fuoco alla villetta.
***
Roberto viene a sapere dell’incendio dal vicino mentre è ancora a cena a casa della madre, lascia fare ai vigili del fuoco il loro mestiere e corre subito dal maresciallo Caputo. Racconta della giornataccia avuta e confida i suoi sospetti. Tiene fuori il vicino – non lo avrebbe mai avvisato altrimenti, la vita non è un giallo di Agatha Christie – ma si concentra su sorella e cognato. Il carabiniere ascolta, conoscendo a menadito il dossier non incoraggiante che ha su Roberto. Visti i precedenti, potrebbe essere stato pure lui ad architettare una truffa dopo aver saputo del blocco dei lavori per il centro commerciale. La mattina seguente, però, tutto si risolve. Il brigadiere porta con sé il filmato delle telecamere del benzinaio posizionato a due chilometri dalla casa bruciata. La registrazione è del tardo pomeriggio: un tizio riempie di benzina sette taniche e sale su una Renault Twingo. Non si riconoscono i lineamenti perché indossa cappuccio, grandi occhiali scuri e un husky trapuntato. Ma, mentre cammina vicino all’auto per risalire a bordo, non dà l’impressione di essere un gigante. È bastato chiedere al PRA chi fosse il proprietario del veicolo per risolvere il caso.
Due ore dopo Lauro è in caserma e racconta tutto.
Il 28 ottobre 2018, dopo l’alterco con Roberto, torna a casa, la madre ha pronto un bel minestrone per pranzo. Ma lui dopo due cucchiaiate si alza da tavola e si rinchiude in camera. Si toglie la cinta dei pantaloni e poi si corica un attimo, ma non riesce a superare lo stupore per gli insulti ricevuti. Anzi, lo stupore si tramuta pian piano in qualcosa di più profondo. Si rivolge al Dio Universale chiedendogli la pace interiore, ma non funziona. Rabbia. Rabbia che sale e lo costringe, come punto da uno spillone, a balzare di nuovo in piedi. Prende uno degli opuscoli, Barbabianca continua a puntare il dito verso di lui, ma stavolta più che dargli dell’eletto sembra colpevolizzarlo. Il Maestro ha fatto tanto, ma non sempre i fedeli sono all’altezza delle aspettative. Lui non ci sta riuscendo, anzi, è evidente, non c’è riuscito. Zero conversioni. E adesso pure gli insulti. I soliti, quelli sul suo fisico. Quelli che pensava di aver definitivamente archiviato per l’importanza del compito a cui il Dio Universale l’aveva destinato. Prende la cintura in mano e con la fibbia colpisce il pavimento, come un domatore che ha davanti il muro e non i leoni. Ma c’è tempo, il pomeriggio è lungo, pensa, Roberto si calmerà, chiamerà, si scuserà e si convertirà. Sarebbe un caso di redenzione al fulmicotone, d’accordo, ma anche un segnale che lui, Lauro, è sulla strada giusta per diventare un grande profeta. Si stende di nuovo e riesce a sonnecchiare per mezz’ora. Appena si desta, si fionda sul cellulare per vedere se Roberto si è fatto vivo. Niente. Torna a ribollire dentro. Nano da giardino, lo ha chiamato quel tizio. Ogni dieci minuti controlla lo smartphone, senza novità. E ogni dieci minuti la rabbia sale, mentre la statura gli sembra scendere di pari livello. Continua così, tra una preghiera e un’imprecazione, fino alle diciannove, quando sale sulla Twingo e passa all’azione. Dopo aver riempito le taniche, sta un paio d’ore in auto a chiedere al Dio Universale la forza per fare quello che è giusto. Poi si sente totalmente pronto, è di nuovo l’adepto perfetto. Alle ventuno e trenta parcheggia vicino casa di Roberto. Le luci nella villetta sono accese – Lauro non sa che servono a dissuadere i malintenzionati quando dentro non c’è nessuno – ed è meglio così: che la fine del mondo per chi non si converte avvenga subito. Scavalca il cancello e cosparge i muri di benzina, poi appicca il fuoco. Prima, però, fracassa i nani da giardino.
“Che ti è saltato in mente?”, gli chiede Caputo.
Lauro tace per un attimo, si mangia l’unghia del pollice sinistro.
“Gli avevo dato anche il tempo di pentirsi”, dice soltanto.
Giulio Natali, nato a Corridonia (MC) nel 1975, è un direttore delle risorse umane che ha girato mezzo mondo per lavoro e vive tra Toscana, Marche e Abruzzo. Ama la musica rock e passeggiare in mezzo alla natura. Era ghiotto di formaggi, ma il colesterolo gli ha vietato di mangiarne come un tempo.
Ha pubblicato con Edizioni La Gru la prima raccolta di racconti, intitolata “Questioni di Testa”, nel 2020, in cui il tema di fondo era l’esplorazione di comportamenti umani dagli esiti più imprevedibili (catastrofici, comici) di fronte a banali eventi della vita quotidiana, per concludere, forse, che ci sono tante realtà quante la mente possa inventarne. Alcuni racconti inediti sono stati pubblicati su “Il foglio letterario” e “Crack”. Da luglio 2021 collabora anche con la rivista “Rive Gauche – Magazine di cinema e arte”.