Il Dritto e il Rovescio: possibili considerazioni su sei romanzi libertini – Parte IV

Questo pezzo è la quarta, e ultima, parte di una serie di articoli correlati. Puoi leggere la terza parte qui.

4. Il teatro francese tra rifiuto dell’aristocrazia e moralità borghese: Voltaire e l’allineamento della tragedia.

Come la narrativa, anche il teatro francese del Settecento presenta delle contraddizioni la cui insolvibilità è indice dei grandi cambiamenti socio – culturali verificatisi nell’arco dell’intero secolo: per questo possiamo effettivamente affermare come, assieme alla ragione e alla legittimità del cuore e dell’intelligenza, elemento costitutivo di questo periodo sia proprio la “contraddizione”, non solamente politica, ma soprattutto culturale.

Cultura e politica sono, in ogni tempo, indissolubilmente legati da un rapporto di reciproca esistenza – o, meglio, sussistenza: un quadro storico privato di una delle due componenti, quanto meno nel suo sguardo complessivo, non potrebbe avere nessun tipo di lettura critica e sistematica, nessun punto di riferimento al quale sia possibile riallacciare scelte e mutamenti collettivi o individuali: filogenesi e ontogenesi hanno, nello sviluppo di una ricostruzione storico – culturale, ben poche voci in contrasto.

Così, quando nel suo Turcaret (1709), Lasage dipinge la figura dell’astuto finanziere, speculatore di borsa al quale ben pochi favori possono essere domandati senza cadere in ricatti e perdite, si limita a narrare, più che ad attaccare: la commedia, in effetti, ha un sapore anti – aristocratico (i servi sono più capaci e astuti dei padroni, hanno più potere di incidenza di quanto non ne abbia un’intera classe ormai prossima al collasso), ma siamo ancora lontani dal filo – borghesismo che sarà, invece, la cifra connotativa del teatro successivo.

Ma gli esempi non sono ascrivibili unicamente alla commedia: l’impossibilità, nella prima parte del secolo, di creare un teatro filo – borghese, è ravvisabile anche (e, forse, soprattutto!) nella tragedia e nei tipi di tragedie che si vengono a formare.

La tragedia raciniana aveva avuto il merito di creare una mitologia nazionale nella quale la Francia del XVII secolo aveva potuto non individuare le proprie origini passate, ma i propri vizi presenti; tuttavia, la purezza del teatro di Racine non poteva più collimare con meccanismi che iniziavano a mutare la propria sovrastruttura (termine da intendersi nel suo significato filosofico, ovvero di ideologia posta sui rapporti primari intessuti dall’essere umano, economici, sociali, desiderativi).

Per questo motivo, il Voltaire dell’Edipo (1718) poteva ancora utilizzare il mito pur riconoscendo alla tragedia tutti i suoi limiti formali e semantici: il personaggio di Philoctete altro non è che il tentativo di descrivere (non narrare), all’interno di una tragedia raciniana (quindi, impossibile), quel contrasto che solo poteva esprimere un mutamento sovrastrutturale già, in qualche modo, avvertito dall’autore: il personaggio è dinamico, vivo più degli altri che si limitano a gravitargli intorno, attendendo da lui il motivo per cui agire; è lui il vero protagonista dell’opera mentre Edipo, di riflesso, viene a rappresentare il vecchio mondo nobiliare accecato da se stesso e, tuttavia, privato di quello slancio eroico che ormai l’accecamento non può più dargli perché non più età di onore.

Questa irrisolutezza dell’opera spinse Voltaire, dunque, a radicalizzare l’indagine teatrale, la quale non poteva più essere una semplice descrizione dei mutamenti, ma avrebbe dovuto assumere su di sé le nuove sovrastrutture morali della società.

Il cambio di prospettiva è ravvisabile già dalle opere che Voltaire scrive tra gli anni “30 e gli anni “60 del secolo: la stesura delle Lettere inglesi (1734) e, poi, del Dizionario filosofico (1764), intervallate dai racconti filosofici (Micromegas, Zadig, Candido) e, soprattutto, dalle opere storiche (Storia di Carlo XII, re di Svezia, Il secolo di Luigi XIV, Trattato sui costumi), dimostra il cambio di rotta intrapreso da Voltaire sul senso della cultura e della sua legittimità: l’idea di una filosofia della praxis si fa largo nel mondo illuminista affinché le ricerche intellettuali possano allinearsi con i nuovi meccanismi sociali, etici e morali richiesti dalla borghesia.

Da questo momento, l’interet teorizzato da Crebillion e l’indagine amorosa di La Motte vanno a confluire nella tragedia volteriana in quanto espedienti adatti a veicolare, attraverso un nuovo linguaggio, una nuova morale: Voltaire, allargando lo spazio di azione oltre i confini francesi ed europei (Zaire, Le fanatisme), assottiglia la distanza ideologica che un occidentale interponeva tra sé e il mondo esterno, proponendo una originale interpretazione delle strutture umane; tale espediente permise alla tragedia di uscire dal suo spazio classico, ormai angusto e soffocante, acquisendo legittimamente un valore paideutico: così facendo, Voltaire riuscì ad allineare la sua azione teatrale a quella borghese, proponendo un’opera che si fondasse sull’insegnamento morale: si apre, così, la stagione di quel dramma che, da Diderot in poi, sarà denominato dramma borghese e che avrà, con alcune eccezioni, largo seguito nel teatro successivo.


Filippo Casanova

Redazione

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