Luce

Chi è nell’errore compensa con la violenza
ciò che gli manca in verità e forza.
J. W. Goethe 

Mi chiamo Angelo e oggi ho finalmente deciso di mettere nero su bianco quello che mi è capitato due anni fa. Proprio oggi ricorre l’anniversario di quel giorno.

Racconterò i fatti così come si svolsero, non ci sarà nessun proposito di giustificazione.

Qui, a Bagnara di Romagna, siamo circa 1800 animule in un pugno di case, e, in quanto a cordialità, non abbiamo nulla da invidiare a nessuno. Ogni tanto però, come accade in ogni parte del mondo, qualcuno balza alle cronache.

Due anni fa toccò a me.

A farmi evitare il 612-bis fu un anziano carabiniere che prontamente intervenne. Non lo avevo mai visto in paese. In verità nessuno lo aveva mai visto. E non l’ho mai più incontrato.

Accertatosi che la mia ex moglie respirasse ancora, dopo che le avevo strizzato il collo, mi afferrò per un braccio e mi trascinò fuori di casa. Mi invitò a salire in macchina. Era una Fiat Punto e non era un’auto di servizio. Alla guida c’era un ragazzino con i capelli ricci e gialli che ascoltava alla radio una canzone di Jovanotti.

«Non ti arresto» esordì il vecchio.

E in quel momento sembrò leggermi nel pensiero.

Mi aprì lo sportello posteriore.

Salii.

La Punto si fermò in Via Pigno.

Il biondino scese e ci lasciò da soli. Per un attimo pensai che di lì a poco ci avrei lasciato le penne.

Il vecchio carabiniere mi guardò negli occhi per non so quanto tempo, poi iniziò a parlare. La sua voce era soporifera come quella di una mamma che racconta ogni sera la stessa favola. Mentre lo ascoltavo e fissavo le mostrine sulla giacca, mi tornò alla mente la strage dell’88 quando, senza un apparente motivo, nella piccola caserma del paese, il brigadiere Montini scaricò centoundici colpi su cinque dei suoi colleghi.

Quando l’incanutito carabiniere terminò la paternale, non ero più lo stesso. Mi sentivo più leggero. Il biondino – nessuno lo aveva chiamato ‒ si avvicinò all’auto e mi chiese gentilmente di scendere.

«Due passi ti faranno bene» disse il carabiniere.

Come il Saul di Alfieri, mi avviai in solitudine alla mia punizione. Tuttavia, se il protagonista della tragedia si uccise, io, un po’ alla volta, ricostruii le tappe della mia assurda ossessione, tornando alla vita.

Per imposizione della psicoterapeuta che mi tenne in cura per un anno, avrei dovuto appuntare tutte le mie paturnie e le mie ossessioni. Tra l’altro lo comprai un taccuino ‒ è ancora qui da qualche parte, in questa stanza, immacolato.

Il mio disturbo post-separazione, fonte principale dei miei guai, era ciò che mi portava a fare esattamente il contrario di quello che mi dicevano di fare. E la raffinata spocchia della dottoressa non mi aiutava di certo.

Ma riavvolgiamo il nastro. Prima dell’incontro con il carabiniere. E con la dottoressa.

Sono scappata per andare a vivere con un vero uomo.

Certo, me lo meritavo. Nondimeno trovarselo scritto una mattina sul tovagliolo, accanto alla scritta buon appetito, quando ormai a quell’ora Mr. Hyde mi aveva abbandonato, non era proprio un buon modo per iniziare allegramente una giornata.

Dopo undici anni finiva così il mio matrimonio.

Davanti a quel tovagliolo ripresi a bere. Feci scacco matto a quella bottiglia di Ouzo che una coppia di amici ci aveva portato dalla Grecia. L’alcol mi entrò nelle vene come un fil di ferro bollente.

Mio padre mi lega al termosifone.

I miei urlano in cucina.

Mia madre accasciata sul lavandino, sanguina da una tempia.

Mia nonna stesa sul pavimento, zio le solleva le gambe.

Con chi vuoi stare, dice il giudice?  

Con tutti e due!

La morte di mia madre.

Don Paolo ci prova con me.

Poche ore dopo aver letto quel messaggio mi trasformai nel suo e nel mio peggior nemico.

Ogni volta che trovavo il suo telefono spento l’irritazione era così travolgente che un’energia sovrumana mi spingeva a cercarla con ogni mezzo. Provavo piacere nel perseguitarla. Stavo distruggendo gradualmente la salute mentale e la vita sociale di entrambi.

 Le lasciavo numerosi messaggi:

“Leggerò il tuo nome sulla tua tomba.”

“Stai attenta a quando attraversi la strada.”

O, il più viscido…

“Se ti prendo… (E qui davo sfogo alle mie fantasie più macabre)

Avevano tutti lo stesso scopo: farla vivere a braccetto con la paura e l’ansia.

Il giorno dopo, con gli occhi del dottor Jekyll, li rileggevo e mi vergognavo di me stesso.

Solo in quei momenti mi rendevo conto che quelli come me sono una piaga sociale.

Il motivo principale che genera certi comportamenti scomposti è dato da una scarsa capacità di tollerare la frustrazione dell’abbandono. Di solito sono persone fragili che ostentano sicurezza. Grattacieli costruiti sulla battigia, li definisco io.

Ho indotto la mia ex moglie a rinunce spietate, come cambiare numero di telefono e indirizzo di posta elettronica. Alla fine, evitava anche di uscire di casa. Se fin dai miei primi segni avesse denunciato la gravità delle mie azioni, forse si sarebbe sottratta a tutto il resto.

Io, dopo la sfuriata, mi trasformavo nell’uomo più tenero del pianeta, e lei si faceva abbindolare. E il gioco dell’oca ricominciava.

A volte era lei a scusarsi, credendo di aver fatto qualcosa di sbagliato.

Sedici chilometri dopo quell’incontro arrivai a casa. Dalla finestra della mia camera non scorgevo più i miei cattivi pensieri, non sentivo più le voci. Rivedevo il cielo, le punte degli alberi e il profilo delle torri del castello; risentivo il ritmo lento del centro storico. Non avvertivo più quel senso di perdita, quella mancanza d’aria.

Ancora oggi mi risuonano in testa le parole del vecchio carabiniere che mi cullano come una nenia.

Il buio che mi porto dentro è ancora in agguato ma, a poco a poco, sta lasciando il posto a una nuova luce.


Gino Ciaglia

Redazione

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