L’uomo che ormai ha preso il posto di Luca nel cuore di Clara è un batterista grosso e barbuto. Si chiama Giorgio. È lui che invita Luca a prendere qualcosa al bar. Clara tiene il capo chino, i bellissimi occhi nascosti dietro un paio di occhiali scuri. Luca prende un bicchiere d’acqua. «Non bevo nient’altro» dice.
«Mi fa piacere» fa Clara. Giorgio tiene la scorzetta di limone tra i denti e si liscia la barba. Luca non è capitato in quel bar per caso. Sono settimane che li segue, che si nasconde e li spia. Dopo l’aperitivo, se ne vanno quasi sempre a pranzo in una piccola trattoria poco lontano dal bar e poi a casa di Giorgio, in un vicoletto poco distante. Mentre è lì, in quel bar, Luca si sente un po’ un idiota e si vergogna per tutti i giorni che è stato a pedinarli, ma nello stesso tempo è felice di aver trovato la forza di farsi avanti e di aver messo fine a quel gioco perverso. Si sente leggero, come liberato da un peso. È bastato fare qualche passo in più e guardare il tutto da una nuova prospettiva; è bastata una stretta di mano, un abbraccio.
Escono dal bar. Fuori fa sempre freddo ma il cielo adesso è limpido e la strada è piena di gente. «Noi andiamo a pranzo, vieni con noi?» fa Giorgio. Luca guarda Clara, e finalmente Clara solleva il capo e dice: «Dai, su, ci fa veramente piacere se vieni.». «Va bene» risponde Luca, con un filo di voce, un po’ spiazzato dalla loro inaspettata cordialità. Giorgio cammina qualche metro più avanti, dondolandosi. È felice e muove gli indici picchiettando l’aria.
«Come stai?» chiede Clara. «Bene» risponde Luca. Clara non gli crede, ma è la verità. Tutto quello che fino a mezz’ora prima credeva fosse amore, ora è scomparso, svanito nel nulla. La consapevolezza di questa perdita è per lui un sollievo, un dono.
«Davvero non bevi più?»
«Qualcosina… Ma non come prima. Sto provando a smettere, ce la sto mettendo tutta, credimi.»
Clara allunga una delle sue lunghe, candide mani da pianista, come se volesse fargli una carezza, e dice: «Mi dispiace.»
«E di che?» fa Luca. «Si lasciano in tanti, è una cosa normale.»
«E quella ragazza, quella cantante?»
«Oh, quella! Una pazza. Si credeva Billie Holiday. Diceva che era la sua reincarnazione.» Sorpassano un barbone con un grosso cane al seguito e una chitarra a tracolla. «Pensavo che avrei fatto la stessa fine di quel tipo» dice Luca.
«Beh, sarebbe stato un po’ più difficile portare il tuo amato contrabbasso a tracolla» fa Clara. Sorridono. Clara non sembra più la stessa. Luca non ha il coraggio di chiederle di togliersi gli occhiali, ma sa che se li togliesse, scoprirebbe altri occhi, ugualmente belli ma diversi, diversi da quelli che un tempo aveva amato. Tutto ciò, stranamente, non lo rattrista. Anzi. Il mondo si sta aprendo. Ci sono tante donne intorno a lui, la strada ne è piena. Gli sembra di non averne mai viste tante, di non aver mai sentito tutto il profumo, l’intenso e inebriante effluvio fatto di essenze floreali e di caffè e di sfogliatelle appena sfornate, il vocio ininterrotto, un suono che sembra uscire dalle profondità della terra, dal tufo degli antichi edifici e dalle lastre di basalto calpestate e ricalpestate da milioni e milioni di individui nel corso dei secoli. Raggiungono Giorgio. Camminano tutti e tre sulla stessa linea, Luca in mezzo e Clara e Giorgio ai lati. Si prendono addirittura sottobraccio, camminano così, quasi sospesi dal suolo, come in un sogno, saltellando, al ritmo del jazz.
Mario Greco è nato nel 1959, a Sant’Arsenio, dove tuttora risiede. Nel 2011 ha ricevuto una menzione speciale dalla giuria del Premio Chiara per una raccolta di racconti inediti. Nel 2016 un suo racconto è stato pubblicato nell’antologia “Dieci racconti per Piero Chiara”, edita da Macchione editore. Altri racconti sono stati pubblicati sulle riviste Tuffi, Carie, Grado Zero, Pastrengo, Rivista Blam, il Mondo o Niente, In fuga dalla bocciofila, Formicaleone.