Un paese governato da uomini integri

Quel vicolo era stretto e buio come il buco del culo.

Quella sera tornavo da una giornata piena: ero riuscito a parlare con lei, Katie, l’ultima persona che aveva visto Malcom prima che collassasse a terra.

Venni colpito da dietro, all’improvviso, mentre ero intento ad accendermi una Lucky Strike. Erano in due, i figli di puttana: parlavano con un accento strano, non mi riuscì di capire bene. Quello era solo un avvertimento, si sarebbero fatti di nuovo vivi se avessi continuato. Da terra, vidi due grosse ombre nere correre via. Dopo qualche minuto, cercai di rimettermi in sesto. Così, mi alzai e raccattai da terra il cappello. Avevo un gran dolore alla schiena: probabilmente, mi avevano colpito con un ferraccio o roba del genere. Presi un taxi per raggiungere casa.

Incominciai a farmi domande. Pensai che allo Speakeasy, il posto dove avevo incontrato Katie Melville, eravamo in pochi e non notai nessuno di sospetto. Per entrare usai la parola segreta che mi aveva suggerito Tony, proprietario del barbershop dove si nascondeva il bar e mio ex compagno di scuola. Era filato tutto liscio fin lì. Mentre pensavo, la testa mi scoppiava. Aprii il frigo, era vuoto: nemmeno un po’ di ghiaccio per mettermelo sulle spalle. Ripensai a tutta la storia di Malcom.

Un uomo collassato, così, all’improvviso dopo una cena con amici in un ristorante di lusso. Il giorno dopo avrebbe iniziato la campagna elettorale. Correva per diventare Governatore per lo stato del New Jersey. Era un democratico, Malcom Green. Con la sua morte era incominciata una vera e propria mobilitazione di indagini e di ansia popolare. Come detective privato, ero stato ingaggiato da Sarah Holmes, sua moglie. Aveva dei sospetti e non si fidava della polizia. Ci conoscevamo da un po’ di anni. Sapeva che avevo fatto carriera, se così si può dire, come investigatore privato. Il mio passato da poliziotto di quartiere, durante gli anni, mi aveva aiutato ad avere le conoscenze giuste per risolvere qualche caso. Sarah la vidi a sette giorni dalla morte di Malcom. Era convinta che suo marito fosse stato avvelenato. La polizia, invece, stava indagando e seguendo piste fuori da questa ipotesi. Così, iniziai a fare luce sulla figura di Malcom Green e su tutto ciò che gli ruotava intorno. Venni a sapere che aveva una relazione con una prostituta. Me lo confessò suo cognato, Murphy.

Mi disse: «Lower, te lo dico anche se, forse, non dovrei. Malcom ultimamente si vedeva spesso con una certa Katie. Non so il cognome, ma so che… si, dai, so che potresti rintracciarla».

«È una squillo?», replicai di getto.

«Malcom voleva portarci anche me. Una sera, eravamo sbronzi, e mi chiese di unirmi a lui dicendomi che ci saremmo divertiti un po’ con Katie, la donna dalle grandi doti. Così, mi disse: “la donna dalle grandi doti”».

«E allora scopriamo queste doti», replicai facendomi suggerire una scorciatoia per rintracciarla.

La trovai facendo il numero di telefono che mi aveva lasciato Murphy. Disse che aveva un fogliettino con un recapito, glielo aveva lasciato Malcom.

Katie accettò subito l’incontro. Si mise a disposizione e durante la nostra chiacchierata sembrò collaborativa. Mi dette un po’ di informazioni e altre curiosità che potevano farmi comodo. Come, per esempio, che se la faceva anche con altri politici. Disse anche che i democratici, solitamente, erano i migliori a letto.

Dopo, a casa, mi sdraiai. Ci volle un po’, prima di prendere sonno. La mattina mi svegliò il campanello: era Sarah. Quando le aprii ero mezzo assonnato e in mutande.

«Oh, scusami! Mi metto qualcosa», esclamai sorpreso vedendola alla porta.

«Fa’ niente, non ti preoccupare, John».

Mi misi un paio di jeans e feci del caffè.

«Quei bastardi continuano a dire che Malcom è morto per un infarto».

«Be’, ci può anche stare, Sarah».

«Credimi, John: l’hanno ammazzato!».

Mi accesi una sigaretta e versai il caffè ancora bollente in due tazze.

«Dalle prime indagini, mi è sembrato di capire che Malcom era benvoluto da tutti, però».

«Oh, sì, certo. Lui si faceva benvolere, era un politico nato. Questo è sicuro».

«Ma…», dissi coperto da una nuvola di fumo.

«Ma, non è del tutto vero. Nel clan, c’erano e ci sono tanti invidiosi».

«Quindi, tu pensi che è stato uno dei suoi a farlo fuori?».

«Io non penso niente. Ti ho ingaggiato per questo, John. Per trovare una soluzione. Cazzo, non puoi chiedere a me chi è stato. Hai da accendere?».

Le passai l’accendino. Sarah fumava e guardava fissa la parete ingiallita. Dopo poco, dissi: «Devo andare. Ho un incontro».

«Vengo con te!».

«Va’ a casa e riposati. Ieri sera qualcuno mi ha aggredito. È troppo pericoloso».

Mi misi su il cappotto e il cappello ed uscii di casa. In realtà, non avevo nessun appuntamento, ma dovevo sbarazzarmi di lei.

Il giorno prima di morire, prima di vedere Katie, Malcom aveva fatto una partita a bowling con gli amici. Me lo aveva detto proprio Katie. Così, raggiunsi il Goodnight Bowling. Chiesi del titolare e mi misi a parlare con lui.

«Quindi, nessuno degli amici, secondo te, era membro del partito?».

«Forse, uno! Ha blaterato qualcosa a proposito delle elezioni. E direi che, nel caso, era un Repubblicano».

«Perché?».

«Aveva un portachiavi con su un elefante rosso».

Non ribattei e presi nota. Continuai a fare domande al gestore del bowling e appuntai tutto sul mio taccuino.

Uscendo dal locale, mi guardai intorno: avevo paura che quei due brutti ceffi si sarebbero presentati di nuovo e questa volta mi avrebbero fatto più male. La sera, decisi di incontrare di nuovo Katie, aveva tante cose da dirmi, così diceva. Cambiammo bar e zona. Decisi di vederla a cena fuori. Non mi potevo permettere chissà quale ristorante: optai per una pizzeria.

«Nessuno dei clienti mi ha mai portato in una porcheria del genere», disse quando si mise a sedere in uno dei tavoli.

«Be’, io non sono un cliente», ribattei.

«Potresti diventarlo e chissà quale altra bella informazione riusciresti ad avere».

«Senti: non sono qui a perder tempo. Dimmi quel che sai e ti ricompenserò come si deve».

«Fanculo! Potrei andarmene anche ora, sta’ attento detective da quattro soldi», e incrociò le gambe catturando il mio sguardo.

«Katie Melville: tu sai che potresti essere nella lista dei sospettati?».

«Mi stai minacciando?».

«Sei l’ultima persona ad aver visto Malcom e, magari, gli hai offerto un goccio…».

«O, forse, gli è preso davvero un colpo. Tu non sai cosa vuol dire farsi scopare da me!».

Decisi di non replicare per non farmi sfuggire altre informazioni, così abbassai i toni.

«Oh, non oso immaginare! L’altra sera, dopo averti vista, mi hanno aggredito due uomini che parlavano in modo strano. Secondo te ci ha sentiti qualcuno allo Speakeasy?».

«Non credo. Eravamo soli. Lower, tutti sanno che stai indagando sul caso. Malcom Green era un personaggio importante. Ci sono tanti interessi dietro, non puoi pretendere di avere vita facile».

Katie aveva ragione, ma volevo vedere la sua reazione a quelle parole. In fondo, poteva aver parlato anche lei. Anche se non ne vedevo il motivo, sinceramente. Le avevo promesso tanti soldi.

«Si, è vero», concordai accendendomi una sigaretta.

Continuammo a parlare e, tra le tante cose, Katie mi disse che Malcom ultimamente era pensieroso e, una volta, le fece un nome: J.J. Southgate. Non aveva la benché minima idea di chi fosse: Malcom gliene parlò soltanto per dirle che, quel giorno, J.J. Southgate aveva minacciato di sputtanarlo con sua moglie a proposito della loro relazione.

Finita la cena, ci separammo: Katie andò verso Main Street, io invece mi diressi a casa.

Accesi la lampada della scrivania e misi su carta tutti gli schemi mentali che mi ero fatto. Avevo una gran confusione in testa e non ne venivo a capo.

L’indomani mattina, suonai a Sarah. Mi fece accomodare e mi offrì del tè. Le chiesi se potevo fumare.

«Oh, certo. Anzi, offrimene una, ho ripreso a fumare anch’io».

«J.J. Southgate: ti dice niente?», feci ad un tratto.

«Malcom e J.J andavano a pescare insieme, ogni fine mese. Anche lui è membro del partito. Perché mi fai questo nome? Sospetti di lui?».

«Ho saputo che ultimamente avevano discusso».

«Non ne so niente. L’ultima volta insieme, erano al Lago Secret, qua vicino. Se non sbaglio erano venti giorni fa, non di più».

Buttai in aria il fumo, poi afferrai la tazza e detti un sorso.

«Aveva mire di leadership, che tu sappia?».

«Oh, be’, non credo proprio. J.J. è uno “scansafatiche”: così mi ripeteva sempre Malcom».

«È anche vero che una persona può voler essere leader e nullafacente allo stesso tempo».

Continuammo a parlare un po’, poi per pranzo mi spostai al Vinni’s. Lì, aspettando un humburger, mi misi a leggere il quotidiano locale. Al caso Malcom Green erano dedicate due intere pagine: si diceva che la polizia stava indagando, ma che la pista “infarto” sembrava la più probabile e che, nonostante la richiesta di autopsia fatta dalla famiglia, il caso si stava chiudendo senza bisogno di andare troppo oltre.

C’era un’intervista a lato della seconda pagina. Era proprio Southgate, l’intervistato.

Malcom Green era un vero uomo democratico. Credeva in un paese governato da uomini integri, fatti di valori e legati alla famiglia. Era il futuro del New Jersey, uno che avrebbe combattuto con tutto se stesso contro le ingiustizie e la criminalità. Dovesse esserci bisogno, sarei pronto a seguire il suo credo per un New Jersey migliore.

Lessi quelle parole con interesse: J.J. Southgate elogiava il suo amico mettendo in risalto i valori della famiglia, proprio quelli che, secondo il racconto di Katie, gli aveva contestato pochi giorni prima di morire. E, per giunta, si proponeva come degno successore.

Piegai il giornale e lo misi in tasca. Mentre addentavo il panino e bevevo birra, pensai che dovevo approfondire.

Frugando tra le scartoffie di casa, trovai il numero di Jack Parrie, capo della polizia di New York. Avevo conosciuto Jack tanti anni fa, quando ancora era un pischello e quando nessuno, me compreso, avrebbe immaginato che un giorno sarebbe diventato capo di qualcosa. Lo chiamai.

«Jack, sono io: John Lower di Newark. Ti ricordi?».

«John Lower, mi ricordo. Non mi dire che sei nel bel mezzo del caso Green?!».

«Esattamente».

«Lì non è il mio territorio, lo sai».

«Ma so anche che tu conosci benissimo Donald McFranky, il capo della polizia».

«Che ti serve, John?».

«Vorrei sapere qualcosa in più di un certo J.J. Southgate, membro del Partito Democratico e amico di Green».

«Non ti prometto niente, ma se so qualcosa…».

Gli lasciai il mio recapito e gli dissi di chiamarmi anche di notte, nel caso.

Jack Parrie era uno dei loro, difficilmente avrebbe detto a me qualcosa che la polizia stessa voleva offuscare. Ricordavo bene che era un uomo di un’etica invidiabile. Il pomeriggio feci una camminata per fare chiarezza nella mia testa.

Sarah mi aveva detto che c’era un uomo all’interno della polizia che era molto amico del leader dell’opposizione, ma le sembrava strano sospettare in questo senso perché, Raymond Turner, leader Repubblicano, era un brav’uomo. Insomma, forse per Sarah il male era più interno che esterno, ma io dovevo tenere conto di tutto.

Nei giorni successivi, feci un po’ di indagini su Turner e chi gli stava intorno. Non trovai niente di interessante. Anzi, in effetti, in molti mi confessarono a proposito della sua grande lealtà e amicizia con Green.

Una sera mi squillò il telefono di casa, era Katie.

«Ti devo parlare, troviamoci all’angolo tra la quinta e la sesta avenue tra un quarto d’ora», e abbassò.

Mi misi il cappotto e scesi le scale a passo svelto. Pioveva. Quando arrivai, Katie era nascosta dietro un grosso ombrello.

«Hai da accendere?», mi fece.

Accesi una sigaretta per me e le passai l’accendino. Aveva il labbro rotto e un grosso livido in faccia.

«Cosa ti è successo?».

«I due tipi che dicevi…».

«Cazzo! Che ti hanno detto?».

«Che alla prossima mi infilano un coltello nella vagina».

«Bastardi!».

«John, io ho paura!», crollò a piangere e posò il suo viso malconcio sulle mie spalle.

«Hai qualche idea su chi possa essere? Non so, magari qualcuno dei tuoi clienti…».

«Non lo so», disse piangendo. «Vengono con me, fanno quello che devono fare e poi tornano dalle loro mogli. Difficilmente parlano della loro vita privata, Malcom era un’eccezione».

«Malcom ti raccontava mai di sua moglie Sarah?».

«Si, diceva che era una santa donna, in tutti i sensi. Così, con me, cercava il luna park: niente amore, solo sesso».

Proseguimmo a parlare dentro una tavola calda lì vicino, la pioggia si fece incessante e così cercammo riparo.

«Due Irish Coffee, per favore», feci alla cameriera mettendomi a sedere.

«C’hai preso gusto a portarmi in posti squallidi, John», mi disse Katie osservando il locale.

«Preferivi la pioggia, bambola?».

«Fanculo. Mi hai messo in un gran casino e c’ho ancora da vedere un dollaro».

«Presto avrai la giusta ricompensa».

«Una volta, Malcom, mi ha detto che suo cognato, non ricordo il nome, aveva una cotta per sua moglie».

«Be’, Sarah è molto bella. Continua».

«Niente. Mi disse solo che, fin da giovani, si erano scontrati per far colpo su questa Sarah e che alla fine aveva avuto la meglio lui. Così, di ripiego, si è preso la sorella».

«Suo cognato non è voluto venire da te. Malcom ha provato a suggerirti».

«Che gran figlio di puttana…».

«Ti trovava clienti, cosa volevi di più?».

«Niente, non voglio un cazzo da nessuno. Voglio solo essere lasciata in pace!».

Lasciai perdere e non chiesi altro. Dovevo scoprire chi erano i due scagnozzi e soprattutto chi li mandava.

Katie mi disse che questo era il nostro ultimo incontro e che non voleva più vedermi fino a che il caso non fosse stato chiuso. La salutai con un bacio e tornai a casa.

Prima di fare le scale, notai una vecchia Ford parcheggiata dall’altro lato della strada.

Salii in casa, poi mi affacciai: l’auto era sempre lì, ma non riuscivo a vedere se c’era qualcuno.

Mi misi seduto alla scrivania. Grattandomi la testa, ripresi in mano il foglietto che mi aveva dato Murphy. Il numero di Katie era stato scritto su un foglio dove c’era riportato il logo “Philly Company”: il posto dove lavorava Murphy. Quando me lo dette, mi disse che il foglietto era di Malcom. Questo particolare, invece, faceva supporre che quel numero lo avesse scritto Murphy in uno dei suoi bloc-notes di lavoro. Forse, aveva procurato una squillo a Malcom per poi spiattellare tutto a Sarah e così provare a far breccia su di lei. Ma perché ucciderlo? Sarebbe arrivato a tanto? Dovevo scoprirlo. Era tardi. Il telefono di casa squillò.

«Pronto?».

«Domattina vai in una cabina e chiamami», e attaccò. La voce era quella di Jack Parrie.

La mattina mi svegliai presto, controllai fuori dalla finestra. La vecchia Ford non c’era più.

A un isolato da casa mia, ricordavo, c’era una cabina telefonica. Chiamai Jack Parrie.

«Ehi, sono io, John».

«Ciao, John. Nessuno conosce Southgate. Ce n’è un altro, però, protetto da qualcuno. Non mi è riuscito arrivare al nome. È un ex rappresentante del Partito Repubblicano che si è fatto amici gli “asinelli”. Indaga su di lui».

Lo ringraziai e attaccai. Mi venne in mente quello che mi aveva detto il titolare del Bowling. Quel giorno, nel gruppo di Malcom c’era anche un tizio che aveva un portachiavi con lo stemma dei repubblicani. Dovevo riuscire a capire chi fosse. Tornai in casa e ripresi il foglio di giornale dove lessi l’articolo su Southgate. Nell’intervista si chiedeva anche chi, oltre lui, poteva sostituire Green. Lessi queste parole: Siamo in pochi: Green era unico. C’è un giovane che ha il carattere giusto: si chiama Terence Garlic, ne sentirete presto parlare.

Terence Garlic: bingo! Era lui il mio uomo. Chiesi a Sarah se poteva mettermi in contatto con J.J. Southgate. Mi dette l’indirizzo: mi misi subito in macchina per raggiungerlo.

La sua casa era una di quelle in campagna in stile vittoriano, aveva un bel portico. Quando arrivai, Southgate, era proprio lì.

«Buonasera», urlai dalla staccionata.

«Salve».

«John Lower, detective privato. Posso farle qualche domanda?».

«È qui per Green, immagino», esclamò con fare astuto.

Annuii ed entrai. Mi fece accomodare e mi offrì del caffè.

«Vengo subito al dunque: mi piacerebbe sapere qualcosa a proposito di Terence Garlic».

«La polizia ha chiuso il caso, quale dubbio ha ancora? Garlic, come saprà, si candiderà al posto di Green. Ciò non lo rende, però, un assassino».

«Senza dubbio! Ma dubitare di qualcosa è lecito. Terence Garlic conosceva Murphy, il cognato di Green?».

«Lo chieda direttamente a Murphy. E comunque, sì, lo aveva conosciuto insieme a me, un giorno, a pescare».

Parlammo per più di un’ora. Venne fuori che Garlic era un ex repubblicano e aveva uno zio nella polizia. Erano gli indizi che volevo. Con la scomparsa di Green, Terence Garlic poteva avere il via libera per la candidatura e Murphy poteva definitivamente riprovare a conquistare Sarah Holmes.

Malcom era stato sicuramente avvelenato, non era stato un infarto la causa della sua morte.

Chiamai Sarah e la incontrai per raccontarle tutto. Mi disse che, in effetti, Murphy ultimamente si era riavvicinato molto a lei e che sua sorella era un continuo lamento per la lontananza di suo marito.

Organizzammo un incontro: Sarah lo chiamò fingendosi bisognosa di aiuto. Lui si fiondò a casa di lei. In quel momento sbucai io, dalla cucina.

«Cosa mi dici a proposito di questo?», e gli sventolai addosso il biglietto dove c’era scritto il numero di Katie.

«E tu cosa vuoi da me? Quello è di Malcom: aveva un’amante!».

Sarah scoppiò a piangere.

«E questa spasimante gliela avevi procurata te, così da poter provare, ancora, con sua moglie… giusto, Murphy?».

«Stronzate!».

«Hai avvelenato tuo cognato favorendo la candidatura di Terence Garlic».

«Stai delirando, detective». Murphy si alzò in piedi ed incominciò a gesticolare dal nervoso.

«Volevi vendicarti. Non ti è mai andata giù la sconfitta in amore. Hai conosciuto Garlic a pesca ed è lì che hai escogitato il piano con lui. Terence Garlic ti ha parlato un po’ di sé e ti ha assicurato che ti avrebbe protetto tramite i suoi amici poliziotti. In cambio dovevi far fuori tuo cognato, così lui avrebbe potuto prendere il suo posto come leader di Partito e tu…be’, tu lo abbiamo già detto, tu avresti potuto consolare Sarah per la sua perdita e, allo stesso tempo, farle capire che Malcom non l’amava perché la tradiva».

«Tutto questo non ha senso!».

«È così, fottutissimo figlio di puttana?».

Murphy sudava e scuoteva la testa di continuo. Era in preda al panico. Poi ammise piangendo: «Sarah io ti amo! Malcom non ti ha mai voluta davvero. Dovevo farlo, meriti di meglio».

Uscì da quella casa con le manette. Stessa sorte toccò al giovane Terence Garlic.

Pochi giorni dopo, mentre ero a farmi una birra al bancone di un bar di periferia, vidi le immagini di J.J. Southgate come nuovo candidato democratico a Governatore del New Jersey. Mi girai verso Katie, che era lì con me:

«Non te l’ho mai detto, bambola: potrei essere uno dei migliori, anch’io sono un Democratico».


Daniele Pratesi

Redazione

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