“L’amore Inutile” di Gianfranco Fiore: un’esplorazione del linguaggio

L’amore Inutile, G. Di Fiore
Wojtek, 2023

L’ultimo romanzo di Gianfranco Di Fiore, “L’amore Inutile” (Wojtek, 301 pag), è un’esplorazione delle possibilità espressive dell’Italiano, una sfida su dove può venir spinta la parola e le sue ramificazioni metaforiche nel descrivere stati emotivi complessi senza affidarsi ai luoghi comuni.

Il linguaggio, che si fa strada anche nel poetico, porta chi legge a confrontarsi con un mondo che assume significato e spessore nel modo in cui assorbe e rifrange tutta la sfera emotiva dei due personaggi principali. La loro caratterizzazione si libera infatti da elementi che per l’uno o per l’altra risultano superflui: non conosciamo i loro nomi – vengono identificati solo come lui e lei -, né quelli dei membri della loro famiglia, e gli ambienti che vivono appaiono sulla scena scolpiti dalle loro sensazioni più che dalla solidità di edifici e paesaggi, sia naturali che cittadini. Tutto ciò che emerge e rimane sono le cause e le conseguenze delle proprie scelte che vanno a strutturare il rapporto con il mondo. Quando lui si ritrova ad affrontare l’insorgere della depressione, descrive così il suo stato d’animo:

 “Il giorno lo escludeva, la fissità dell’erba e l’odore di fieno duplicavano la sua sensibilità: lui era un fiore, un fuscello, era una foglia di platano nell’ombra, sudava e piangeva, sistemava al meglio l’oscurità nella mente, rifiutava qualsiasi aiuto, i suoi morbi non li portava tra la gente e non andava al mare, non correva e non passava dai prefabbricati.”

Lei invece comunica così il suo malessere:

Adesso lei sentiva di naufragare verso una zona oscura del cervello, e tra  le onde dei giorni senza ombra, distesa di schiena, ammirava ponti di abbandono sospesi tra rancori e perdita di lucidità.”

A metafore che creano sensazioni di dolci stoccate si affiancano momenti crudi e dolorosi, immersi nel reale al punto da richiedere a lei tutto lo spazio del romanzo per riviverli e raccontarli prima a sé stessa e poi a lui. La viva lucidità di alcuni passaggi si contrappone quindi a momenti che sembrano quasi onirici. Alcune sezioni più fumose possono essere il risultato della sperimentazione succitata, e a fronte di qualche piccolo momento d’incertezza, la missione è certamente compiuta con successo dall’autore campano.

Se l’attenzione all’espressività del linguaggio è lo scheletro della narrazione di Di Fiore, è una storia d’amore a darle carne e movimento: i due personaggi si vedono nell’albergo di proprietà della famiglia di lei per puro caso, e lui cerca un contatto che avviene telefonicamente e si mantiene per tre anni solo in questa forma. Per lei, alle prese con il difficile processo di accettare e risolvere dei traumi molto gravi, è impossibile accettare l’affetto ingenuo e sincero di lui, che si innamora dei suoi “occhi color mare” e cerca di accompagnarla in questo processo di guarigione.

Il loro rapporto telefonico, spesso anche sporadico, diventa però un modo per entrambi per conoscersi e arrivare a capire ciò di cui avevano realmente bisogno, fallendo nel comunicare questa necessità e l’affetto che provano l’uno per l’altra. Le loro voci narranti si alternano da un capitolo all’altro, diventando una forma di comunicazione ulteriore, che non possono esperire e che viene offerta al lettore come un gesto affettuoso, forse, o più probabilmente come qualcosa da imparare a riconoscere. Non per questo il romanzo di Di Fiore ha mire moralistiche, tutt’altro, ma diventa chiaro come uno dei luoghi di una cattiva educazione alla comunicazione resti la casa in cui si cresce, anche se il romanzo sembra indicare come la mancanza di empatia sia più feroce e problematica nella vita di lei, forse alludendo alle problematiche in seno ad una famiglia facoltosa, ma non per questo felice.

A conclusione della lettura, i due protagonisti sono caratterizzati al punto da rendere complessa (se non impossibile) una descrizione generale. Per questo, evito di proporla, cercando invece di enfatizzare le capacità di Di Fiore nello strutturare una dinamica interpersonale verosimile, umana e, proprio per questo, alle volte banale, sincera e, per certi versi, angosciante.

La ricerca di una dimensione condivisa dai due protagonisti è uno dei motori della lettura, portandoci a sperare con loro che un lieto fine avvenga, mantenendoci attenti e coinvolti fino alla fine; dove possiamo trovare, se non le risposte definitive, quanto meno uno stato di cose che ci porti a confrontarci con qualcosa che, anche se non ci appartiene del tutto, è ormai parte anche della nostra sfera emotiva.

Proprio la ricerca di nuove risposte e nuove dimensioni è il perno centrale della narrazione. La domanda che più spesso si alza dal cuore dei due protagonisti, infatti, è se sia possibile innamorarsi di una voce; se, quindi, il loro amore sia vero, sincero e – perché no – utile. Se quindi il rapporto che vivono, intriso di desideri inespressi, scleri che non riescono a spiegarsi l’un l’altro e macabra speranza, possa un giorno salvarli dalla passività, dalla vita portata avanti solo per trovare una carriera, un posto utile nel mondo.


Alessandro Di Porzio

Redazione

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